Il razzismo, lo scarso pluralismo dellinformazione, le leggi ad personam, una classe dirigente che cavalca le paure della gente: Stefano Rodotà risponde alle domande di Step1 e accusa In crisi è lo stesso meccanismo di rappresentanza: oggi abbiamo piccole élite che si riproducono seguendo i propri vizi, in entrambi gli schieramenti- Diritti senza confini
Democrazia sotto osservazione
Stefano Rodotà non è solo un colto professore di diritto civile all’Università La Sapienza. Ex garante della Privacy, continua ad offrire i suoi contributi teorici in settori nevralgici come i diritti e le libertà individuali e il sistema politico.
Rodotà, però, è anche una persona di buonsenso, un opinionista attento a farsi comprendere da chi lo ascolta. Ne abbiamo avuto una prova durante l’incontro “La qualità della democrazia”, organizzato dai Circuiti Culturali all’Università di Catania. Dopo il convegno, abbiamo rivolto al professore le nostre domande.
Professore, gli episodi di razzismo sempre più frequenti – dalle psicosi ingiustificate contro i rom ai pestaggi di cinesi e persone di colore – sono forse il sintomo di un deterioramento irreversibile della qualità democratica del nostro paese?
Spero che non sia irreversibile. Ce la si sta mettendo tutta però per aggravarla. Spesso, per esempio, si sottovalutano le dichiarazioni da parte di alcuni deputati, definendole “battute”. Non ci sono battute quando si hanno responsabilità pubbliche. Carlo Levi diceva a ragione “le parole sono pietre”. In questo modo si legittimano socialmente degli atteggiamenti. Quando si dice “andate a pregare nel deserto”, se lo dice chi ha un ruolo pubblico, chiunque si sente autorizzato a dire “andate via” e a non riconoscere la libertà di culto, che è sancita dalla Costituzione. Quindi i segni ci sono e sono preoccupanti. Mi auguro che gli spazi di discussione aperta facciano nascere un po’ di “anticorpi” e che si torni indietro. Voglio proprio sperare che non sia una situazione irreversibile.
Come si cambia rotta?
Insisto: bisogna prima di tutto fare molta più attenzione al linguaggio e agli atteggiamenti. Commenti come “non ti faccio costruire la moschea”, “porto i maiali sul terreno in cui sorgerà”, “ti impedisco di andare al pronto soccorso perché sei clandestino, “ti denuncio e ti faccio finire in galera” sono sintomi di un atteggiamento, una deriva preoccupante. In questo momento serve, a mio parere, la capacità da parte dell’opinione pubblica, quindi anche di chi ha responsabilità politiche, sia governo che opposizione, di non sottovalutare questi fenomeni.
Eppure gli scontri degli ultras neonazisti allo stadio, le violenze contro ragazzi italiani ma di pelle nera, i raid contro i campi nomadi si susseguono con ritmo crescente. Ma non eravamo “Italiani brava gente”?
Non è vero che l’Italia non ha nessuna venatura razzista, non solo perché ci sono state le leggi razziali nel 1938, ma perché quelle leggi hanno dato origine a comportamenti sociali ignobili. E ricordiamoci anche che quando i siciliani sono andati, negli anni ’40 e ’50, al nord, c’erano cartelli con su scritto “non si affitta ai meridionali”. Il razzismo è una bruttissima bestia e va tenuta sotto assoluto controllo culturale.
Oggi, a suo parere, qual è lo stato di salute della democrazia italiana?
Non sta bene perché si è bloccato il meccanismo rappresentativo. La rappresentanza richiede una capacità di selezione da parte dei cittadini e noi abbiamo un Parlamento nominato, non un Parlamento eletto: le liste bloccate, l’assenza del voto di preferenza, il fatto che questi eletti vengono selezionati da oligarchie strettissime… Penso di essere generoso se dico che quasi 1000 parlamentari italiani sono stati scelti a tavolino da 20 persone! Questo è un indicatore di quanto la nostra democrazia stia male, perché ci sono piccole élite che si riproducono seguendo i propri vizi, più che le virtù molto ridotte che sono riuscite a esprimere in questi anni. E faccio un discorso generale perché la cattiva qualità delle scelte accomuna maggioranza e opposizione.
Durante la campagna elettorale, i due leader facevano a gara per annunciare nomi a effetto…
Nessuna delle due parti ha preso in considerazione la possibilità di rinnovare qualitativamente la classe dirigente italiana, rompendo schemi, andando a cercare competenza, qualità, passione e non soltanto figurine da esibire nel mercato pubblicitario, nel marketing politico. Tutto questo non è avvenuto e mi fa essere pessimista.
Eppure, andando molto in giro, ho continuamente conferma del fatto che ci sono grandissime energie in questo paese. Questo aumenta, per un verso, il mio scoramento, perché una classe politica che non si accorge di questa ricchezza non può far bene al paese. Altrove succede il contrario: negli Usa un nero e una donna si sono contesi la candidatura per i democratici. Avremmo bisogno di questo.
Come giudica la concessione dell’immunità alle alte cariche dello Stato? Che effetti potrebbe avere una simile legge sulla qualità democratica italiana?
Considerando che questa proposta è un unicum nel panorama delle democrazie, l’immunità estesa alle alte cariche mi sembra una violazione del principio dell’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Dire “Berlusconi è stato eletto con un enorme consenso e deve essere lasciato lavorare” è una bestemmia dal punto di vista della legalità e della democrazia perché il rispetto per la legalità è uno degli elementi costitutivi del sistema democratico e prescinde dall’investitura popolare. Ritengo la proposta di legge una ferita grave per la democrazia.
Qualità della democrazia è anche pluralismo dell’informazione. Tra i tagli dei contributi all’editoria (che rischiano di far chiudere giornali come Il Manifesto e Liberazione) e ridimensionamenti per mancanza di ascolti di alcune emittenti (come La7), non si rischia un impoverimento eccessivo del panorama informativo italiano?
Certamente. Già soffriamo molto di un’informazione che non è abbastanza articolata, nel sistema televisivo soprattutto. L’accenno a La7 mi preoccupa perché questa rete non solo ha conquistato un suo spazio, ma punta su un tipo di informazione abbastanza diversa da quella che viene fatta dalle altre reti.
E nella carta stampata?
La situazione è certamente meno drammatica nel settore della stampa che in quello della televisione. Tuttavia il fatto che una serie di testate quantitativamente minori ma che contribuiscono alla discussione delle idee, al confronto culturale, alla circolazione delle informazioni, con una selezione diversa da quella che possono fare i grandi giornali, rischiano di scomparire, provoca un arretramento e un impoverimento grave, che si aggiunge al fatto che ormai il 15% circa del Paese non è rappresentato in Parlamento. Se poi non ha neanche voce nella società…
Internet e citizen journalism possono sopperire in parte a questi cambiamenti?
Sono certamente strumenti importantissimi. Io li apprezzo molto. Solo che, almeno nel breve periodo, non si può dire “Chi se ne importa se chiude “Il Manifesto” e se le tre reti pubbliche e le tre reti di Berlusconi tendono ad omologarsi, tanto c’è Internet”, perché l’80% dei cittadini italiani dipende, per l’informazione, dalla televisione generalista tradizionale. Internet va tenuta al riparo da tutta una serie di operazioni che possono diminuirne l’efficacia. Per esempio, la conservazione dei dati di accesso a determinati siti scoraggia i cittadini dal visitarli.
Professore, lei parla giustamente di una maggiore penetrazione della tv rispetto a Internet. Ma anche i giornali non sembrano svolgere quel ruolo di “cani da guardia della democrazia” di derivazione anglosassone.
Le considerazioni da fare sono due: da una parte la quota minoritaria di persone raggiunte dalla stampa, quindi c’è una ridotta capacità di incidenza dal punto di vista quantitativo. Però non è tanto questo che mi preoccupa e sul quale si dovrebbe riflettere, perché ormai il rapporto tra stampa e sistema televisivo è in tutti i paesi squilibrato a favore del sistema televisivo. Quello che mi preoccupa è il fatto che i giornali sono diventati molto ripetitivi, molto inclini al pettegolezzo, al guardare dal buco della serratura, al considerare anche la politica come un puro spettacolo. Sicuramente c’è e c’è sempre stato un aspetto di spettacolo nella comunicazione della politica, però se si guarda alla grande stampa degli altri Paesi, quella che forma l’opinione pubblica, ci si accorge che non è fatta in questa maniera. Si dovrebbe puntare più sull’attenzione ai fatti, sulla ricostruzione, sull’inchiesta, sulla conoscenza di come vanno effettivamente le cose nel paese, sui fatti che ci restituiscono un’immagine vera e profonda della società.
Si dice che i giornali si sono accodati alla tv…
Di più. Se da una parte si nota una ridotta incidenza della stampa dal punto di vista percentuale, dall’altra siamo di fronte a una riduzione dei contenuti informativi, una banalizzazione e una selezione a rovescio delle notizie nella televisione.