Democrazia partecipata e Comuni che non spendono i fondi «Così aumenta la sfiducia nei confronti di chi amministra»

Democrazia partecipata. Un nome che è solo in apparenza complicato. L’obiettivo di questo strumento è quello di coinvolgere i cittadini nelle scelte di chi governa con progetti specifici che possono essere proposti e votati dal basso per migliorare la vivibilità delle città. Ogni anno in Sicilia i fondi a disposizione dei Comuni – grazie a una legge regionale del 2014, poi limata – ammontano in totale a oltre 4 milioni di euro. Su questi soldi e su come vengono spesi è nato una sorta di monitoraggio civico con il progetto Spendiamolinsieme.it, sostenuto dall’associazione no-profit, con base a Messina, Parliament Watch Italia. E le notizie non sono delle migliori: su 172 Comuni siciliani che hanno a disposizione più di 10mila euro all’anno, soltanto in 50 hanno rispettato le regole.

«La legge obbliga tutti i Comuni a investire il 2 per cento dei fondi che ricevono dalla Regione in progetti di democrazia partecipata. Nel 2015 si è aggiunta una sanzione: per coloro che non portano avanti questi processi c’è l’obbligo di restituire i fondi. Tre anni dopo è entrata in gioco la scadenza del 30 giugno per tutti i Comuni che hanno a disposizione più di 10mila euro», spiega durante la trasmissione Direttora d’aria – in onda su Radio Fantastica e Sestarete tv – Giuseppe D’avella, del progetto Spendiamolinsieme. Avviare il processo significa sostanzialmente fare un avviso pubblico per dare la possibilità ai cittadini di proporre e votare i progetti, senza la necessità di avere già deciso entro la fine di giugno. «Il problema è che pochi cittadini sanno di questa possibilità e quindi non possono fare da pungolo alle amministrazioni comunali – continua D’Avella – È vero, l’impatto di queste cifre spesso è relativo, ma bisogna considerare anche la conseguenza immateriale, il beneficio che il coinvolgimento dei cittadini può portare nel ricostruire la fiducia verso le istituzioni, da tempo in crisi nei nostri territori». 

Un sistema che presenta le sue criticità anche per quanto riguarda le sanzioni: a comunicarle è la Regione, che però dà notizie circa la restituzione dei fondi mediamente due anni dopo quello di riferimento. Chi ha sgarrato adesso, insomma, verrà sanzionato nel 2024. In Sicilia, stando ai dati del progetto di Parliament Watch, sono sei i Comuni che non hanno mai realizzato alcun iter per la democrazia partecipata, dal 2016 a oggi. Sono Palermo e Bolognetta, Paternò e Castel di Iudica nel Catanese, Nissoria e Leonforte nell’Ennese, Chiaramonte Gulfi nel Ragusano. Il che significa che ogni anno sono stati persi circa 300 mila euro a Palermo, 11 mila a Bolognetta, 24mila a Paternò, 18 mila a Castel di Iudica, 14 mila a Nissoria e 13 mila a Leonforte, 17 mila a Chiaramonte Gulfi. 

Per attuare l’iter i Comuni devono dotarsi di un regolamento, utile a definire una serie di elementi: dai soggetti titolati alla partecipazione ai metodi di consultazione. Troppo spesso, infatti, a porre le amministrazioni fuorilegge è anche la possibilità da parte dei cittadini di votare i progetti ma non di proporli. In ogni caso, il documento deve essere approvato dal senato cittadino e proprio quest’ultimo sembra essere uno degli ostacoli nel caso di Paternò. «Finora il Consiglio comunale non è riuscito ad elaborarlo, poi la maggioranza di governo si è assottigliata ed eccoci con questo risultato – spiega il sindaco Nino Naso – Il problema? Che anche uno strumento così importante viene politicizzato. Un po’ com’è stato per la consulta giovanile: appena l’ho proposta, in 15 giorni sono nate 30 associazioni. La partecipazione dei cittadini dev’essere attuata, ma dev’essere vera partecipazione, non politica. Per questo pensiamo di mettere dei paletti e fare partecipare solo le associazioni attive da almeno tre o quattro anni». 


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