Dietro l'omicidio del 27enne, avvenuto nel 2016 a Riposto, ci sarebbero motivi passionali. La vittima intratteneva un rapporto con l'ex compagna di Paolo Censabella. Le carte dell'inchiesta mettono in fila decine di intercettazioni e messaggi
Delitto Chiappone, le confidenze in carcere e «il baffo» Pagati 12mila euro in due rate per assoldare i killer
«ll baffo» avrebbe pensato a tutto o quasi. Dai soldi per pagare l’onorario del consulente a quelli per il mantenimento di chi era finito dietro le sbarre. Ci sono diversi colloqui in carcere che collegano l’omicidio del 27enne Dario Chiappone a due uomini: Paolo Censabella e Benito La Motta. Venditore di bevande il primo, acclarato capo della famiglia mafiosa di Cosa nostra dei Santapaola di Riposto il secondo. Entrambi sono finiti dietro le sbarre perché accusati dalla procura di Catania di essere mandante e organizzatore del delitto. Dietro l’omicidio del giovane, ucciso con 18 coltellate al collo e al torace, ci sarebbe una storia che la vittima intratteneva con Maria Alessandra Rapisarda, ex compagna di Censabella e sua socia nella rivendita di bevande. Nelle carte dell’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo, sono finite intercettazioni ambientali in carcere e decine di riscontri. Compresa una foto di Chiappone, scaricata dal suo profilo Facebook, che prima dell’omicidio sarebbe rimbalzata da un telefono all’altro.
La storia di questo delitto può essere paragonata a un puzzle. Il primo pezzo è quello che porta ai killer. Salvatore Di Mauro e Agatino Tuccio vengono processati e a marzo scorso condannati in primo grado rispettivamente a 23 anni e all’ergastolo. Di Mauro dopo tre anni dall’omicidio non si è mai trovato e al momento risulta latitante: «Quello se n’è andato in Romania», si sussurra nelle intercettazioni contenute nei faldoni dell’indagine. C’è però un terzo uomo che avrebbe colpito mortalmente Chiappone. Si tratta di Antonio Marano, 76 anni e quarantanove dei quali trascorsi dietro le sbarre, conosciuto da tutti come lo zio Nino, il killer delle carceri. A lui l’ordinanza di custodia cautelare gli è stata notificata direttamente in prigione a dicembre 2019. Mesi dopo l’arresto avvenuto a maggio perché trovato con una pistola con matricola abrasa e il colpo in canna. Ed è proprio dal carcere che emergono gli altri pezzi per completare il puzzle del delitto.
Gli inquirenti hanno ascoltato diversi colloqui di Marano al Pagliarelli di Palermo. A trovarlo andava sempre la moglie Rosaria, accompagnata da altri parenti. Nelle loro discussioni spesso si mimavano i baffi. Riferimento che i carabinieri collegano alla figura di La Motta e al suo inconfondibile aspetto estetico. Il boss adesso è accusato di essere stato pagato per assoldare i tre sicari per l’omicidio. «Qui l’ergastolo lo prende lui – diceva Marano alla moglie – e si pente subito. Gli diminuiscono la pena e poi se ne deve andare con tutta la famiglia». Per portare a termine il delitto sarebbero stati sborsati dei soldi, a quanto pare 12mila euro pagati in due rate da Censabella. «Ti mangi le patate e adesso non vuoi cacare l’osso?» si domandava Marano sempre a colloquio con i familiari. Il killer delle carceri in realtà spesso e volentieri si lamentava del comportamento del boss e della sua famiglia, compresa una figlia troppo incline a spendere denaro. A lui però non avrebbe pensato, al punto da spingere Marano a ipotizzare di sollecitare una colletta tra i venditori di pesce di Riposto, per remunerare i soldi per le spese legali.
Di Censabella, i magistrati si erano già occupati subito dopo il delitto ma la sua posizione venne archiviata. Adesso lo scenario è sensibilmente cambiato. Gli inquirenti si sono soffermati sui contatti con uno dei presunti killer: Agatino Tuccio. Dovuti secondo Censabella al mancato pagamento di due bottiglie all’interno del suo centro di distribuzione bevande. In realtà prima del delitto i due entrano in contatto 32 volte, poi cala il silenzio. Uno dei retroscena sarebbe legato anche a un messaggio che Censabella inviò all’ex compagna con il quale, nonostante la fine della relazione, condivideva il tetto di casa: «Io ti venero come una dea e tu ti butti via per niente in una stradina senza sbocco, in tutti i sensi». Chiappone il 31 ottobre 2016 trovò la morte in via Salvemini, arteria senza uscita nei pressi della Sale del regno dei Testimoni di Geova. Il puzzle secondo gli inquirenti adesso è completo.