Dai «soldi delle patate» a panettoni e spumante Gli affari del clan nel silenzio di Giarre e Riposto

I tentacoli di Cosa nostra sugli ormeggi delle barche all’interno del porto di Riposto. Parola di Aldo Carmelo Navarria, spietato killer, reggente mafioso nel territorio di Belpasso e, dall’estate del 2017, passato tra le fila dei collaboratore di giustizia. «Il porto è controllato da Benito, nel senso che i gestori dei posti per le imbarcazioni pagano il pizzo al suo gruppo». Un racconto con pochi giri di parole, contenuto in uno dei verbali confluiti nel fascicolo dell’operazione Iddu. L’inchiesta della procura di Catania che nei giorni scorsi ha fatto luce sugli affari di Cosa nostra tra Giarre e Riposto. Sotto i riflettori è tornato anche Benedetto La Motta, da tutti conosciuti con il nome di Benito. Un pezzo grosso del panorama mafioso tanto da avere avuto in dote l’incarico di reggere l’articolazione locale della famiglia mafiosa dei Santapaola. «Può rapportarsi alla pari con i reggenti dei gruppi di Acireale, Aci Catena e Catania», aggiunge Navarria a verbale.

Insieme a La Motta dietro le sbarre è finita anche la moglie Grazia Messina, mentre è ancora ricercato il nipote Antonino Falzone, destinatario di un mandato di cattura europeo. Il protocollo del clan era abbastanza semplice da decifrare: il controllo del territorio passa anche dalle piccole cose. Come possono essere decine di panettoni, con annessa bottiglia di spumante, da recuperare a cinque giorni dal Natale del 2017. Il saccheggio avviene davanti agli occhi del «piagnucolante» proprietario di un’attività a marchio Punto convenienza. Sconsolato dall’essere rimasto, senza essere stato avvertito prima dai picciotti del clan, con il magazzino svuotato. «Anzi gliel’abbiamo fatta da fratelli», diceva, ridendo, il nipote del boss mentre una microspia registrava. «Quelli buoni gli ho preso – continuava – al limoncello, alla crema… che spacchio mi conti. Non ci sucare la minchia».

Qualche istante dopo, la discussione continua. «Prendine uno con la bottiglia e mettilo di lato – diceva Falzone al complice – che me lo devo mangiare io stasera […] che alla mia fidanzata le devo mettere lo spumante nel pacchio». Mentre gli investigatori indagano, i microfoni registrano anche alcuni dialoghi riguardanti le amministrative. «Le attività – si legge nell’ordinanza – hanno rivelato il coinvolgimento del clan nelle elezioni comunali del 2016». Una delle piste che porta a questa considerazione è l’intercettazione tra Andrea Sapienza e Liborio Previti. Sono loro a lamentarsi di alcune telecamere istallate vicino alla chiesa nei pressi delle case popolari. «Il prossimo sindaco che sale … vuole i voti? Deve fare la bonifica di tutte cose».

Poi ci sono i ragionamenti su una lettera anonima ritrovata nella stanza del sindaco di Riposto, Enzo Caragliano. «Si stanno mangiando tutto il Comune – si lamentava il boss La Motta – Chi si può mettere qua. Nella stanza del sindaco chi ci può andare?». «Siccome ci sono le elezioni – replicava il nipote – lo fa apposta il sindaco. Tipo che lo minacciano». Come nell’indagine Jungo anche in quest’ultima inchiesta emerge l’assoluta omertà delle vittime. A denunciare non ci pensa nessuno e così, anche da dietro le sbarre, boss e gregari riuscirebbero a gestire le estorsioni. «Ogni aprile – racconta il collaboratore di giustizia Gaetano Mario Vinciguerra – vengono corrisposti 5.000 euro da un commerciante della zona che immagino si occupi di patate, perché in gergo tra di noi si parla di soldi di patate».


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