Da dietro le sbarre controllava il trasporto delle arance. I motivi della confisca dei beni a Filadelfo Ruggeri

Da quasi trent’anni in carcere, ma comunque capace di fare affari e accumulare ricchezza. Il procedimento che ha portato alla confisca dei beni di Filadelfo Ruggeri, 55enne esponente del clan Nardo, racconta le difficoltà delle istituzioni nel bonificare il tessuto economico infiltrato dalla mafia. Nel caso delle aziende di Ruggeri, attive nel settore dei trasporti nella parte orientale della Sicilia, più che di infiltrazioni si può parlare di dominio indiscusso da parte dei clan. Nel Siracusano, i Nardo rappresentano la longa manus della famiglia catanese Santapaola-Ercolano, il cui secondo ramo – guidato fino alla morte dal boss Pippo Ercolano – ha avuto nel trasporto sul gomma il proprio core business. «Il gruppo Nardo è strettamente legato al clan Santapaola, nel senso che siamo sotto a quel gruppo», ha dichiarato ai magistrati Alfio Ruggeri, collaboratore di giustizia e cugino di Filadelfo. L’uomo, in passato, ha più volte raccontato i rapporti avuti con il capomafia etneo – «ricordo di aver parlato del previsto avvio dei lavori sulla Catania-Siracusa e di avere concordato che avrebbe avuto una parte dei guadagni» – e del raggio d’azione garantito alle due imprese di famiglia, formalmente guidate da uno zio, per via degli accordi tra le cosche. «Ero socio con mio cugino Filadelfo della ditta di mio zio Francesco Ruggeri, che aiutavamo anche a ottenere lavori e a ottenere il pagamento dei crediti – ha raccontato Alfio Ruggeri ai magistrati nel 2014 –. Gli imprenditori e i titolari dei magazzini di stoccaggio dei prodotti agricoli di Lentini, Carlentini, Francofonte e Scordia per il trasporto dei loro prodotti sono costretti a rivolgersi alla ditta Ruggeri».

Secondo il collaboratore di giustizia, per sperare di riuscire a far viaggiare gli agrumi, i commercianti sarebbero costretti a passare prima da un’agenzia di mediazione di trasporti e poi, su indicazione di quest’ultima, a rivolgersi alla ditta che materialmente avrebbe messo a disposizione i mezzi. Un iter funzionale a garantire guadagni a tutte le consorterie criminali coinvolte e da cui, stando a quanto ricostruito nel corso delle udienze svoltesi nella sezione Misure di prevenzione del tribunale di Catania, sarebbe stato complicato scostarsi. Un commerciante, chiamato a testimioniare in aula, «ha dichiarato di essersi sempre avvalso dell’agenzia e di aver smesso di affidare commesse all’impresa di Ruggeri – si legge nel decreto di confisca – quando questa è stata sequestrata e l’amministratore giudiziario ha comunicato che non si sarebbe più rivolto alla predetta agenzia, pur offrendo uno sconto del cinque per cento, pari all’incirca alla provvigione pagata all’agenzia, ritenendo – ha sottolineato il testimone – irrinunciabile l’intervento di quest’ultima». A collegare le attività economiche della famiglia Ruggeri alla mafia non solo siracusana ma anche catanese, è stato Aldo Crisafulli, un altro collaboratore di giustizia. L’uomo, già un decennio fa, «ha riferito che 1’impresa agíva su Lentini in condizione di sostanziale monopolio, con prezzi imposti da Aldo Ercolano (il figlio di Pippo, ndr)».

I beni confiscati a Filadelfo Ruggeri hanno un valore che si aggira sui cinquanta milioni di euro e furono sequestrati nel 2020. Per i giudici, Ruggeri, che sconta un ergastolo dopo essere stato condannato a inizio anni Duemila per avere commesso diversi omicidi, sarebbe riuscito a garantirsi la possibilità di gestire le attività aziendali anche da dietro le sbarre. Ciò grazie alla capacità di mantenere un filo quasi diretto con l’esterno. «Mio cugino, benché da tempo detenuto, continua a comunicare con gli affiliati in libertà – rivelò nel 2014 Alfio Ruggeri –. In particolare ha mandato messaggi consegnando dei biglietti scritti ai propri familiari, occultati nei vestiti che riconsegnava alla famiglia, oppure per lettera, usando termini criptati». A questi elementi si sono aggiunti quelli ricavati dall’analisi patrimoniale dei parenti dell’ergastolano. Incrociando le spese compiute nel corso degli anni dalla moglie e dai figli e i relativi redditi dichiarati, il tribunale ha stabilito «l’incapacità di far fronte agli impegni economici assunti». Decenni in cui i Ruggeri avrebbero avuto «un tenore di vita decisamente elevato e incongruo» traendo «i propri mezzi di sostentamento da redditi di provenienza illecita».


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