Covid e fase 2, quelli che a maggio restano ancora fermi Massaro: «Mesi di parole. Nessuno sta aiutando nessuno»

«Niente». È quello che accadrà, anzi, che non accadrà a moltissimi imprenditori e lavoratori dal 4 maggio. La data stabilita da governo per l’inizio della fase due. Una nuova parentesi di lenta ripresa, si spera, destinata per il momento solo ad alcune attività. «Niente», non a caso, è anche una parola che ricorre spesso nelle riflessioni di Francesco Massaro. Uno di quelli che il 4 maggio non potrà ricominciare a correre verso la normalità di una volta. Cronista di razza per oltre vent’anni al Giornale di Sicilia, oggi gestisce l’omonimo bar-pasticceria di famiglia in via Basile, fondato dal padre 63 anni fa. Un privilegiato luogo di osservazione che gli permette, come ai tempi del giornale, di restare a contatto con la realtà. Quella che tutti i giorni osserva da dietro il suo bancone e che poi restituisce in pillole tra social, chiacchierate e scrittura, attraverso una narrazione ironica e disincantata. Non ha smesso, Francesco Massaro, di raccontare quella realtà che ha toccato con mano tutti i giorni fino a febbraio. Non ha smesso, malgrado le saracinesche chiuse.

«Sono stati e continuano a essere mesi drammatici – dice subito -. Lo sono in generale per tutti, abbiamo stravolto il nostro stile di vita. Ma sono ancor più drammatici per commercianti e imprenditori, per quelli che hanno un’azienda, un negozio, un’impresa, perché al disagio psicologico aggiungiamo anche quello economico. Più che di disagio, parlerei anzi di catastrofe, a cui nessuno sta cercando di far fronte. A parte le parole, sono passati due mesi e nessuno sta aiutando nessuno», osserva con amarezza. «Se un imprenditore chiama la banca e chiede informazioni sui famosi 25mila o 100mila euro che il Governo ha promesso, non dico che rispondono con una risata ma dicono che ancora non sanno nulla, che non hanno direttive. Quindi? Dopo due mesi noi siamo ancora in alto mare, nessuno sa niente di questi soldi, nessuno sta facendo niente per aiutare le imprese, non solo: nessuno sta facendo niente per aiutare i lavoratori». Come quelli in cassa integrazione, che aspettano ancora i soldi e che non percepiscono nulla da due mesi e mezzo.

«Ditemi se questa è una cosa normale – si domanda -. Noi continuiamo ancora a scherzare, a parlare di distanziamento sociale, di mascherine, la messa sì/la messa no, i runner, il mare sì/il mare no. Vogliamo parlare anche dei lavoratori? Cosa stanno facendo per aiutarli? Niente. Non stanno facendo niente. Questa è la situazione». Raccontata senza troppi giri o fronzoli di sorta da uno che da mesi lo vive sulla propria pelle. Come azienda, il bar Massaro ha deciso sin dall’inizio di non chiudere e mantenere i domicili. Un’alternativa in linea alle disposizioni, seppur stringenti, ma pensata come una soluzione tampone, nell’ottica che la situazione potesse protrarsi al massimo per un mese. Solo che finito marzo, è iniziato un aprile anche più blindato. «Alla lunga un’azienda come la mia, che è una macchina complessa che conta 40 persone, non può pensare di sopravvivere con i domicili – torna a dire -. Per cui adesso con questo ulteriore lockdown, visto che i bar dovrebbero aprire solo dal primo giugno, arriva la domanda seria: ma mi conviene continuare in questa situazione? La risposta razionale è “no” naturalmente. Poi però c’è anche una parte di cuore, di sentimento che ti spinge invece a continuare. Vediamo».

Ben conscio che tutti, nessuno escluso, dovremo fare i conti con nuove prospettive e nuovi criteri con cui confrontarci, la domanda torna sempre nei suoi bilanci del momento: «Siamo chiamati a una riflessione – spiega -, siamo sicuri che la vita che abbiamo fatto era la vita che noi volevamo? Alla fine di tutto questo qualcuno potrebbe anche pensare di non riaprire e guardare a un piano b, perché è difficile contare sempre e solo sulle proprie forze a dispetto di tutti e tutto, delle banche, dello Stato, a un certo punto arriverà il momento delle riflessioni radicali. Non riaprire a metà o a tre quarti, ma proprio “riaprire o oppure no“?». Una domanda cruciale, alla quale non ci si potrà sottrarre soprattutto qui in Sicilia. Regione dove i contagi scendono, i numeri migliorano, ma restrizioni e tempi camminano di pari passo a regioni con ben altre situazioni attuali. «Non c’erano motivazioni logiche per prolungare il lockdown come in Lombardia, in Veneto, in regioni dove la situazione è ancora complicata e capisco che lì si debba proseguire per motivi di salute – osserva Massaro -. Ma perché estendere questo tipo di provvedimento anche alle regioni in cui i contagi sono bassissimi? Non capisco perché non si possa fare un ragionamento per regioni. Perché dobbiamo subire le stesse restrizioni della Lombardia a fronte di condizioni sanitarie completamente diverse? Questa differenza imporrebbe delle valutazioni diverse e invece no, e nessuno ci spiega perché».

«E allora – continua – ecco la stanchezza, deriva anche dalla mancanza di interlocutori, cioè con chi ti confronti? Con gente che neanche ti sta a sentire? Con le banche? La banca è il nemico dell’imprenditore, figuriamoci se in una situazione così complessa viene e ti presta dei soldi. La stanchezza deriva anche da questa mancanza di interlocutori, da questa sensazione di essere solo a lottare contro tutto e contro tutti. Poi a un certo punto pensi…”sai che c’è…?” Ecco». Disincantato, come nei suoi racconti. Ma mai arreso. Francesco Massaro sembra tutto tranne uno che ha intenzione di gettare la spugna. Vuole, piuttosto, capire cosa ne sarà, di lui come di tutti gli altri come lui. Sapere come, quando, perché. E agire di conseguenza. «Intanto, devono ancora spiegarci dall’1 giugno come dovere riaprire. Coi clienti che entrano uno a uno, contingentati? È pensabile che un’attività come la mia, un bar con un grosso afflusso di clientela, possa ricominciare a lavorare così? -si chiede -. Coi dipendenti a un metro di distanza l’uno dall’altro, coi clienti con mascherine al viso e tutto il resto? Ho una sala self service che può accogliere cento persone, dovrei riceverne 50. Sono tutte considerazioni, queste. Diventa una cosa antieconomica, quelli del bar devono rimettere in moto una macchina complessa e per accenderla serve uno sforzo importante, naturalmente lo fai se hai un ritorno. Altrimenti non la accendi e stai fermo ai box ad aspettare quello che succede o che non succede».

Valutazioni che non toccheranno di certo solo lui, ma ad ogni commerciante. «Mi rendo conto che quelli che propongono questo tipo di provvedimento non hanno nessun tipo di dimestichezza con questo lavoro, non sanno cosa significhi avere un bar, una cartolibreria, un ristorante – osserva ancora -. Non hanno idea, non sanno che significa avere un negozio, quindi sono dei provvedimenti fatti da persone che non avrebbero nessun titolo per farli. Perché chi prende questi provvedimenti deve sapere che significa gestire un negozio, deve sapere cosa significa avere a che fare con la clientela. Invece ci ritroviamo a dover subire dei provvedimenti da chi non ha la percezione della realtà, di che cos’è l’economia nostra spicciola, del cliente che viene e ti paga cornetto e caffè». Ragioni che lo portano a credere che i dettagli dell’imminente nuovo provvedimento dedicato alla fase due saranno attuabili alla lettere solo teoricamente. «Questa sarà una settimana di riflessioni, dovrò decidere se fare questo asporto o meno – dice, alludendo alla novità resa possibile a bar e ristoranti dal 4 maggio -, rimettendo in moto sempre quella famosa macchina, ma che costo e con quale ritorno economico?». Il bilancio di questi ultimi mesi diventa, per forza di cose, quello di un anno ancora da affrontare fino alla fine e che al momento non promette nulla di buono. 

«Da qui a dicembre vivremo un periodo di recessione drammatica – dice -. Noi quest’anno non vedremo i turisti che nei mesi caldi per noi sono quasi una boccata d’ossigeno, non potremo contare su questo, un’ulteriore variabile negativa. Perciò io ho il dovere di avere un atteggiamento positivo, visto che ho un azienda con 40 dipendenti, ma dovremo tutti ricominciare da zero e ripensare alle nostre vite professionali e private, ripartire con altri criteri, di certo non potremo ripartire con quelli usati fino a pochi mesi fa, è impossibile per ogni settore. Prevedo centinaia di migliaia di disoccupati nuovi e non so chi potrà accogliere le loro istanze. Perché se dopo due mesi ancora non sono riusciti a erogare la cassa integrazione, mi chiedo a lungo raggio cosa potrà succedere per chi non avrà più un lavoro? Perciò ho il dovere di essere positivo, ma dentro di me so che la situazione non è rosea e non lo sarà per molto tempo ancora».


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