Costituzione: sessant’anni portati male?

Ripudiare. Un termine aspro, perentorio, che rimanda all’allontanamento di qualcosa che ci apparteneva ma di cui ci vergogniamo. “L’Italia ripudia la guerra” recita l’articolo 11 della nostra Costituzione. E proprio da quest’articolo è partita una serie di quattro incontri organizzati da Claudio Fava per parlare dell’effettiva applicazione della Costituzione stessa, a sessant’anni dalla sua nascita. Al primo incontro, che si è svolto venerdì 22, è stato ospite Moni Ovadia.
«Il motivo del ripudio – ha spiegato Ovadia, – è che al momento in cui la Carta costituzionale è stata redatta uscivamo da un conflitto che aveva fatto oltre 50 milioni di morti». Ma sembra che basti un aggettivo “buono” per cambiare l’orientamento dell’opinione pubblica. Guerra umanitaria. Guerra chirurgica.
«L’esercito israeliano – spiega ancora Ovadia – è il più chirurgico del mondo. Eppure hanno ammazzato prevalentemente bambini». Anche qui le parole hanno la loro importanza. L’uccisione di civili – tecnicamente – è definita con l’espressione “effetti collaterali”. Il problema è che gli effetti collaterali sono più numerosi degli obiettivi colpiti. «Le guerre di oggi fanno morti al 95% tra i civili». Esempio è l’Afghanistan: una guerra in piena regola a cui l’Italia ha partecipato chiamandola “missione di pace”.
Secondo Fava «attraverso il gioco delle parole, il nostro Paese non ha applicato l’articolo 11». Da qui la domanda al suo ospite: «Perché non abolire questo articolo?» Ovadia risponde che ormai tutta la Costituzione è applicata in modo parziale, a partire dall’articolo 1. «L’Italia non è più una Repubblica fondata sul lavoro ma sulla speculazione. La figura del lavoratore è sempre meno importante mentre si fa strada quella dello speculatore, che produce soldi dai soldi». E le guerre sono affari. C’è da chiedersi perché l’ONU e la NATO non si occupino di altre zone del mondo in cui vengono trasgredite le regole internazionali, come il Kurdistan o il Tibet. «La verità è che non si occupano del Tibet perché con la Cina si fanno affari fantastici. Sono molti a trasgredire queste regole, anche gli Stati Uniti e Israele, ma non tutti vengono attaccati. La pace non deve essere manipolata a seconda degli interessi, ma deve essere affermata come valore radicale non negoziabile e costruita attraverso un costante controllo».

La seconda guerra mondiale è scoppiata perché Hitler non è stato fermato all’inizio. Ciò che è successo in Danimarca ne è la dimostrazione. «Gli ebrei danesi morti durante l’occupazione nazista sono stati 48», racconta Fava. «Quando le leggi razziali sono arrivate sotto forma di ordinanza, il Re si è fatto cucire la stella di David sul cappotto ed ha sfilato per le strade di Copenaghen. Lì Hitler ha fatto un passo indietro, ha capito che conveniva trovare un accordo con la Danimarca».
Moni Ovadia ricorda che anche la Bulgaria si è opposta. «Peshev, ministro di Giustizia, ha fatto firmare un documento contro le deportazioni sia al Re sia ai deputati del governo. E il capo della Chiesa cristiano-ortodossa ha minacciato i nazisti urlando di non azzardarsi a toccare i cittadini bulgari. Ora, non è che bastasse semplicemente dire di no, ma un’opposizione ferma poteva legare le mani ai nazisti, che volevano apparire perbene». Mantenere la maschera nazionalista.
Perché il nazionalismo è un pericolo vero. «Non è un’identità, è un mestiere molto redditizio, è il rifugio dei mascalzoni che fanno leva sulla paura di ogni popolo che la propria cultura non regga il confronto con le altre. Il concetto nazionalistico di Patria esclude l’articolo 3 della Costituzione Italiana».
Ma per Ovadia questo concetto è ormai superato.  «In Europa siamo testimoni di un miracolo. Popoli che si sono scannati per secoli, si sono ora riuniti aprendo i loro confini. Le patrie sono sensate solo se hanno confini mobili. E’ questa mobilità che permette di accogliere il talento cosmopolita. Patrialismo è un concetto antilogico, antiumano e discriminatorio. Dobbiamo affermare lo jus soli – appartenere al luogo in cui si vive – e non lo jus sanguinis». Poi la voce di Ovadia cambia. Quasi si rompe. Quasi urla. «Vivi da duemila anni in una terra e nel ’38 arriva un tizio a dirti che tu non sei italiano!»

Ma non esiste solo il concetto nazionalistico di Patria. «I tedeschi hanno due modi di dire questa parola: Vaterland e Heimatland. Vaterland è la patria nazionalista e guerrafondaia, Heimatland è il focolare, quell’insieme di colori, profumi, canti». Non importa il passaporto, tanto che per lui «l’esilio non è una punizione ma un dono, perché permette ad un popolo di guardarsi dentro e formare la propria identità. Gli ebrei, nei loro 3500 anni di storia, ne hanno passati 3300 in esilio, eppure sono riusciti a formare la loro identità, perché hanno potuto guardarsi dentro». Solo questo tipo di introspezione rende possibile risolvere i problemi senza la forza. «L’uomo che confida nella forza ha paura».
Oltre alla paura, l’altro grande problema è la mancanza di informazione.  «Arriveremo alla fine delle guerre quando non ci sarà più nessun uomo disposto ad andare in guerra perché informato di cosa accade realmente in quelle zone». La guerra in Iraq, dice Ovadia, si poteva evitare: «Saddam Hussein aveva accettato di andarsene per una manciata di denaro. Ma gli Stati Uniti avevano la necessità di sperimentare nuove armi e fare affari. Non si può rispondere al terrorismo ammazzando innocenti, bisogna dimostrare di essere differenti dai terroristi. Gli USA sono usciti dalla seconda guerra mondiale come degli eroi. Ora la loro fama è coperta di fango e sangue». Ma non solo la loro. «Tutte le nostre grandi civiltà occidentali si sono ridotte al consumismo e agli affari». Come quello delle mine antiuomo, di cui l’Italia è la maggiore produttrice. «Sappiamo che su ogni mina si guadagnano da 50 cents a 1 dollaro. E sappiamo che chi ci finisce sopra sono bambini, perché non sanno cosa siano, e vecchi che non vedono bene».
Non ci interessiamo abbastanza di ciò che succede fuori dai nostri Paesi.  «Solo il 17% degli americani – conclude Ovadia – ha il passaporto. Il Paese che governa il mondo non ha alcun interesse per il mondo. Solamente quando riconosceremo lo straniero che è in noi potremo arrivare alla pace. Gli uomini hanno dimenticato che la Terra è di Dio e che per Lui siamo tutti stranieri residenti».

 
 
 
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Un ciclo di incontri per misurare quanto è stato realmente applicato degli articoli della nostra Carta costituzionale. A organizzarli è stato Claudio Fava. Il primo a discuterne è stato Moni Ovadia, chiamato a riflettere sull’articolo 11: quello secondo cui «l’Italia ripudia la guerra». Un articolo intorno al quale si gira spesso con le parole

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