Cosa nostra, la ricerca dei voti per le Regionali 2017 Clan a Mascalucia pretendeva «posti fissi» nei rifiuti

«Alla segreteria di Catania hanno detto che Barbagallo è avanti». Il 6 novembre 2017 è scattato da pochi minuti e nonostante l’orario i telefoni sono bollenti. Si gioca la partita delle Regionali in Sicilia e sul tavolo ci sono risultati che cominciano a definirsi. Nel Partito democratico Luca Sammartino ha staccato tutti i contendenti e per il secondo seggio nell’area etnea lo scontro è tra Anthony Barbagallo e Angelo Villari. Fabio Frisina – indicato come sorvegliante della società dei rifiuti Dusty (ereditato dall’appalto ponte del 2018) , da ieri finito dietro le sbarre perché accusato di associazione mafiosa ed estorsione, quella sera è particolarmente attivo per capire come andrà a finire la partita. Secondo gli inquirenti dietro il suo interessamento ci sarebbe stata l’ombra dei fratelli Salvatore e Giuseppe Puglisi, figli del boss ergastolano Pietro. Tutti e tre finiti coinvolti nell’inchiesta Malupasso perché ritenuti figure di primo piano nel panorama di Cosa nostra a Mascalucia.

Dalle nove di sera dividevano i soldi per le fotografie

Villari, ex assessore al Comune di Catania e attuale segretario del Pd in città, non è indagato. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, fatta di decine di intercettazioni contenute nei documenti dell’indagine, Frisina si sarebbe mosso per lui, «avendo ricevuto la promessa, in caso di vittoria alle Regionali, di un avanzamento di incarico rispetto al ruolo di sorvegliante». L’esito delle urne viene monitorato praticamente in diretta, fino a quando la sconfitta di Villari diventa ufficiale. A questo punto scattano lamentele e attriti e gli inquirenti registrano i racconti che Giovanni De Caudo, lavoratore del settore rifiuti e sindacalista Cgil (non indagato), fa allo stesso Frisina. «Se tu ti facevi vedere nei quartieri vedi che non ne prendevi 30 di voti – racconta De Caudo parafrasando un discorso che avrebbe fatto a Villari – Dalle nove di sera in poi qua iniziavano a dividere i soldi per le fotografie e noi abbiamo fatto la campagna elettorale dei poveri. Gli ho detto: “La facciamo la campagna elettorale come loro. Avevi un paio di valigie di soldi, me li davi nelle mani e andavamo a comprarci i soldi (voti, ndr)».

Cosa c’è di vero in questo parole? «Nulla». Contattato telefonicamente da MeridioNews il segretario del Pd smentisce di avere mai fatto promesse elettorali. La famiglia Puglisi di Mascalucia? «Non la conosco». Discorso diverso per Frisina: «Lo conosco perché abita a Mascalucia e può essere che abbia votato per me, ma io non ho mai scambiato nulla. Frisina era un primo livello e gli toccava il secondo e per farlo doveva parlare con il sindacato, che è l’Rsu di Mascalucia. Nient’altro».

Secondo gli inquirenti i tentacoli del clan di Mascalucia si sarebbero allungati sia verso alcuni funzionari comunali che in direzione della Mosema, impresa pubblica di raccolta dei rifiuti oggi in liquidazione. A poche settimane dalle regionali Salvatore Puglisi, l’uomo accusato di essere stato il reggente del clan, durante un incontro avrebbe concordato il faccia a faccia con un politico – non identificato però dagli inquirenti – «per concordare lo scambio di voti controllati dalla cosca a fronte della garanzia di posti di lavoro nella ditta Mosema», si legge nell’ordinanza di custodia cautelare. Le richieste non si sarebbero limitate alle assunzioni ma, forte del suo presunto ruolo, Puglisi avrebbe preteso «dieci posti con rinnovo trimestrale». Uno spartito, quello delle assunzioni nel settore della raccolta dei rifiuti solidi urbani, che in passato aveva provato a portare a termine anche il cugino di Puglisi, l’ex rapinatore, poi diventato figura di riferimento del clan, Mirko Casesa Pompeo. Quest’ultimo finito però denunciato, e poi condannato, dall’ex sindaco di Mascalucia Salvatore Maugeri

Altamente significativa, per delineare la forte influenza di Puglisi «nei confronti di alcuni dipendenti del Comune di Mascalucia», è poi la vicenda in cui il presunto reggente del clan interviene in prima persona. Un ambulante del posto si sarebbe rivolto alla criminalità organizzata per alcune diatribe con altri venditori in merito a una storia di autorizzazioni. Puglisi, stando ai documenti, avrebbe detto al commerciante di recarsi in municipio a suo nome e di cercare l’impiegato Rosario Nicoloso (non indagato, ndr). «Mi ha detto mio cugino Salvuccio – erano le parole che avrebbe dovuto pronunciare – fammi firmare la carta subito».


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