Corte dei Conti: il testo integrale della relazione sui conti della Regione siciliana

Le Sezioni Riunite, benché sostanzialmente in tempi abbastanza ravvicinati rispetto alla già programmata udienza di parificazione del rendiconto generale della Regione per l’esercizio finanziario 2013, accolgono comunque favorevolmente la richiesta, formalizzata dal Presidente della Commissione Bilancio e Programmazione dell’Assemblea regionale siciliana, di audizione sulla tematica dello stato dei conti pubblici regionali.

Relativamente ai risultati del decorso esercizio finanziario, la Corte oggi non è ancora in grado di esprimere una ponderata e documentata opinione: la sede più idonea per formulare le proprie specifiche valutazioni ed osservazioni in merito, sarà, infatti, quella del prossimo giudizio di parificazione del consuntivo regionale. Ed invero, la relazione che accompagnerà la relativa pronuncia richiede una approfondita istruttoria, peraltro su tutti i documenti contabili presentati alla Corte, istruttoria che attualmente è in corso e che richiede adeguati tempi tecnici che mal si conciliano con quelli stringenti richiesti per procedere all’odierna audizione.

Fermo restando tale rinvio per dettagliati approfondimenti relativi al 2013, in questa sede si ritiene, invece, di dover segnalare alcune preoccupazioni della Corte relativamente a significativi profili dei conti pubblici regionali per il corrente esercizio finanziario. Col presente documento, però, non è possibile procedere ad una loro analisi sistematica ed approfondita, talché di seguito si procederà ad effettuare alcuni focus che queste Sezioni Riunite ritengono di dover rappresentare con urgenza alla Commissione.

1. La situazione della cassa regionale

Sulla base dei dati comunicati dal tesoriere regionale – Unicredit S.p.A., alla fine del mese di aprile del corrente anno il fondo di cassa della Regione ammontava complessivamente a poco più di 502 milioni di euro. La situazione di cassa, seppur migliorata rispetto al dato di fine esercizio 2013 (128 milioni di euro), registra, tuttavia, un continuo significativo trend discendente nel primo quadrimestre dell’anno in corso.

Rispetto ai 1.254 milioni di euro al 31 gennaio 2014 (che, comunque, risentivano del blocco della spesa conseguente alla tardiva approvazione della legge di bilancio per il 2014 – avvenuta con la legge regionale 28 gennaio 2014, n. 6 pubblicata in GURS il successivo giorno 31), le giacenze di cassa regionale, infatti, diminuiscono a 842 milioni ed a 650 milioni, rispettivamente a fine febbraio e marzo. Trattasi di dati relativi alle somme effettivamente giacenti in cassa, cioè al lordo degli accantonamenti mensili per pignoramenti e per il pagamento del Servizio del debito, scontando i quali, nel trimestre febbraio-aprile, si perviene, invece, agli importi rispettivamente pari a 690, 421 e 215 milioni di euro, appena sufficienti a garantire il fabbisogno finanziario mensile.

La Corte è ben consapevole che tali tensioni di cassa, anche a causa dell’impatto negativo delle manovre statali che, con il sistema delle riserve e degli accantonamenti tributari, hanno determinato significativi drenaggi di risorse, si sono verificate, seppur in periodi diversi dell’anno, anche nel 2013. In quell’esercizio, però, le carenze di liquidità sono state opportunamente governate tramite un’accorta politica di tesoreria suffragata da conti pubblici sostanzialmente in equilibrio; nel 2014, invece, sulla descritta situazione di cassa, grava un bilancio di previsione al quale, dopo l’impugnativa della legge di stabilità regionale per il medesimo esercizio da parte del Commissario dello Stato per la Regione siciliana, non sono stati apportati gli aggiustamenti necessari per ricondurlo in pareggio. In questa situazione, ad avviso della Corte, vanno evidenziati i rischi molto elevati che le attuali tensioni possano a breve trasformarsi in vere e proprie crisi di liquidità.

2. Il bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2014

Il bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2014 risente degli effetti derivanti dalle vicende legate all’approvazione delle “Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2014. Legge di stabilità regionale”, nonché alla successiva impugnazione della stessa da parte del Commissario dello Stato per la Regione siciliana che, con ricorso alla Corte Costituzionale del 23 gennaio 2014, ha in definitiva “cassato” provvedimenti di spesa per un importo quantificabile in circa 440 milioni di euro. Il laborioso iter di esame parlamentare del d.d.l. n. 724 “Variazioni al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2014 e alla legge Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2014 – Legge di stabilità regionale – Disposizioni varie”, presentato dal Governo regionale il 19 marzo 2014 e, dopo varie riformulazioni e riscritture, recentemente approvato dall’Aula, ha reso più evidente la situazione di incompletezza dello strumento contabile per l’esercizio 2014, per larghi aspetti non in equilibrio. Non è questa la sede in cui la Corte può esprimere le proprie valutazioni circa la politica di bilancio impostata con tale complessa manovra, mentre spetta ad altre Istituzioni della Repubblica la competenza a vagliare la legittimità costituzionale delle norma approvate dall’Assemblea. Non si possono, tuttavia, non esprimere fondati timori circa la tenuta e la sostenibilità dell’insieme di detti strumenti contabili alla luce del principio di equilibrio del bilancio recentemente elevato a rango costituzionale.

La giurisprudenza della Consulta (ex plurimis, sentenze n. 70, 115, 192 e 214 del 2012 e n. 18, 26, 28 e 51 del 2013), come più volte messo in evidenza anche da queste Sezioni Riunite, ha in definitiva ribadito che gli equilibri del bilancio postulati dall’art. 81 della Costituzione vanno attentamente perseguiti sia in sede previsionale, sia nel corso della intera gestione, senza possibilità, peraltro, di sottovalutare voci di spesa, pena la violazione del principio di veridicità del bilancio. Nella fattispecie, pertanto, destano perplessità le numerose disposizioni del d.d.l. n. 724 che hanno autorizzato spese per “assicurare il pagamento degli emolumenti al personale utilizzato nel settore forestale e della prevenzione degli incendi, nonché dagli enti sottoposti a controllo o vigilanza da parte della Regione”…”quanto meno per il primo semestre del 2014” , anche sotto il profilo del principio di annualità del bilancio.

Ed invero, neppure “il momento particolarmente delicato che attraversa le finanze regionali” – che in definitiva ha consigliato la Commissione “di rinviare ad una successiva legge di variazioni di bilancio il reperimento delle risorse necessarie a garantire, oltre che il pagamento degli emolumenti per il secondo semestre, anche il soddisfacimento di ulteriori emergenze che interessano numerosi settori di intervento regionale” – può consentire deroghe agli anzidetti principi che, in effetti, avrebbero dovuto indurre ad interventi più radicali ed efficaci.

Ulteriori elementi che delineano il disequilibrio del bilancio per il 2014 posso trarsi dalle considerazioni svolte ai paragrafi successivi.

3. I residui attivi

La problematica recata dalla presenza di una ingente mole di residui attivi nel bilancio della Regione siciliana ha costituito oggetto di puntuale analisi da parte delle Sezioni Riunite in sede di giudizio di parificazione del rendiconto generale, specialmente dal 2004 in poi, in relazione alla constatazione del progressivo depauperamento del fondo indisponibile di cui al capitolo 215713; quest’ultimo, istituito con l’art. 3 della legge regionale 26 ottobre 2001, n.15, era destinato a fronteggiare la cancellazione per inesigibilità di crediti erariali vetusti che, al 31 dicembre 2000, per le sole categorie I, II e IV del Titolo I dell’Entrata, avevano la consistenza di attuali 4.308 milioni di euro.

Particolare allarme ha suscitato, in sede di relazione al rendiconto generale della Regione per l’esercizio 2011, la riduzione del predetto “fondo” a soli 259 milioni di euro, a fronte di uno stock di residui erariali pari a 3.362 milioni, al punto da indurre la Commissione Bilancio della Camera dei Deputati a chiedere, in data 26 luglio 2012, un’audizione alla Corte dei conti per chiarire, tra le altre criticità, anche quella dei residui attivi.

Tenuto conto del forte richiamo della Corte, effettuato nel quadro dei compiti di garanzia dei principi costituzionali posti a tutela degli equilibri dei bilanci pubblici, si sarebbero attesi dal Governo e dall’Assemblea regionale comportamenti coerenti con tali raccomandazioni.

Il quadro innanzi delineato, invece, ha subito ulteriori modificazioni di segno contrario, atteso che, con l’assestamento del bilancio per l’anno finanziario 2012, approvato con la legge regionale n. 45 del 2012, è stata apportata al capitolo 215713, relativo al fondo in questione, una variazione negativa di 273,6 milioni di euro che, di conseguenza, ha interamente azzerato la relativa dotazione finanziaria per lo stesso anno; in sede di relazione al rendiconto generale per l’esercizio 2012, le Sezioni Riunite, ancora una volta, non hanno mancato di sottolineare l’estrema gravità dell’operazione di azzeramento della dotazione finanziaria del fondo di accantonamento dell’avanzo finanziario.

E’, infatti, in corso un’apposita indagine, da parte della Corte, atta a chiarire gli aspetti di carattere giuridico e tecnico-informatico che hanno generato l’ammontare di residui attivi di significativa consistenza e le connesse problematiche relative alla cancellazione degli stessi, laddove di difficile esazione; in questa sede, pertanto, non si ritiene utile ripercorrere la genesi del problema, quanto piuttosto individuare i percorsi virtuosi per arginare le conseguenze di un’eventuale cancellazione delle partite creditorie attive, per accertata inesigibilità o per disposizione di legge, al fine di garantire la complessiva tenuta degli equilibri di bilancio secondo i principi delineati nelle recenti pronunce della Corte costituzionale.

Con la sentenza n. 138 del 2013, la Consulta, infatti, nel ribadire (v. sentenza n. 414 del 2004) che “il coordinamento della finanza pubblica, più che una materia, è una funzione che, in quanto comprende la finanza pubblica nel suo complesso, spetta allo Stato”, stigmatizza la permanenza in bilancio e la relativa contabilizzazione di un numero rilevante di residui attivi, soprattutto se di antica genesi e se la determinazione di questi è avvenuta in assenza dei requisiti minimi dell’accertamento contabile quali la ragione del credito, il titolo giuridico, il soggetto debitore, l’entità del credito e la sua scadenza”.

“È opportuno sottolineare” – continua l’anzidetta sentenza – “come la prevenzione di pratiche contabili – ancorché formalizzate in atti di natura legislativa – suscettibili di alterare la consistenza dei risultati economico finanziari degli enti territoriali sia un obiettivo prioritario al centro dell’evoluzione legislativa determinatasi in materia”.

Al 31 dicembre 2012 l’ammontare complessivo dei residui attivi è risultato pari a 15.002 milioni di euro, con un decremento del 4,63 per cento rispetto alla chiusura dell’esercizio finanziario precedente.

La legge di stabilità regionale per l’anno 2013 ha previsto che si proceda all’individuazione delle somme da eliminare con decreto del Ragioniere generale della Regione, su indicazione delle competenti amministrazioni: ai sensi del comma 1, articolo 4, della legge regionale 15 maggio 2013, n. 9, è stata effettuata l’eliminazione dalle scritture contabili dei residui attivi per i quali non sussiste alcun credito da riscuotere per un ammontare complessivo di euro 50.796.153,03.

Al 31 dicembre 2013 l’ammontare complessivo dei residui attivi è risultato pari a 15.219 milioni di euro, con un incremento di 1,45 per cento rispetto alla chiusura dell’esercizio finanziario precedente.

La Corte ritiene di dover sottolineare, come già evidenziato in sede di relazione al rendiconto generale dello scorso anno, che ad aggravare il quadro innanzi delineato contribuisce un’ulteriore novità normativa: infatti, l’articolo 1, comma 527, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Legge di stabilità 2013), ha previsto che, a decorrere dal 1° luglio 2013, i crediti di importo fino a duemila euro comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni, iscritti in ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999, siano automaticamente annullati. Ai fini del conseguente discarico ed eliminazione dalle scritture patrimoniali dell’ente creditore, con decreto da emanarsi a cura del Ministero dell’Economia e delle Finanze, saranno stabilite le modalità di trasmissione agli enti creditori interessati dell’elenco delle quote annullate e di rimborso agli agenti della riscossione delle relative spese per le procedure esecutive poste in essere.

Il successivo comma 528, poi, ha previsto che, per i crediti diversi da quelli di cui al comma 527, ovvero di importo superiore a duemila euro, iscritti in ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999, esaurite le attività di competenza, l’agente della riscossione provveda a darne notizia all’ente creditore, anche in via telematica, con le modalità stabilite nel predetto decreto ministeriale.

Il Dipartimento Finanze e Credito dell’Assessorato regionale all’Economia, al fine di ottenere una quantificazione – anche in termini generali – delle somme che andrebbero discaricate per effetto delle disposizioni sopra elencate, ha acquisito dalla società Riscossione Sicilia S.p.A. i seguenti dati contabili, relativi ai crediti erariali iscritti in ruoli pre-riforma:

1) i crediti erariali inferiori a 2000 euro (comma 527) ammonterebbero a complessivi € 740.296.389;

2) i crediti erariali superiori a 2000 euro (comma 528) ammonterebbero a complessivi € 2.575.627.529.

Le disposizioni sopracitate non sono ancora operative in ordine alle modalità di discarico ed eliminazione dal bilancio, in quanto non risulta emanato il decreto attuativo del Ministero dell’Economia, né le relative indicazioni circa le modalità di rimborso dei connessi oneri all’Agente della riscossione.

Tuttavia, allo stato attuale, ancorchè non si possa procedere alla concreta eliminazione dalle scritture contabili delle partite creditorie inferiori a 2000 euro, è certo che per queste ultime (per complessivi 740 milioni di euro) la pretesa erariale risulta già annullata ex lege.

Da quanto sopra esposto emerge urgente la necessità di appostare idonee risorse destinate a compensare la cancellazione di residui attivi per i quali, come espressamente previsto al comma 529 della legge citata, risulta inapplicabile la complessa procedura di discarico per inesigibilità prevista dagli artt. 19 e 20 del D.lvo n. 112 del 1999 e che, pertanto, potrebbero dover essere cancellati – cumulativamente – nel corso del corrente anno o in quello successivo, con un impatto in termini finanziari che si aggira intorno ai 3.300 milioni di euro.

Risulta di tutta evidenza come la problematica dei residui attivi si sposti, invero, sul piano della consistenza dei “fondi” destinati a compensare – in un’ottica di mantenimento dell’equilibrio finanziario – la cancellazione dei suddetti crediti.

Il Bilancio della Regione siciliana dispone dei seguenti fondi per far fronte al suindicato fenomeno:

Cap. 215713 – “Fondo corrispondente alla quota non utilizzabile del maggior avanzo accertato”–

Ai fondi del suddetto capitolo, istituito con l’art. 3 della L.R. 15 del 2001, si è già fatto cenno: la dotazione finanziaria, azzerata al 31 dicembre 2012, permane invariata nel 2013 e 2014, in quanto il capitolo risulta iscritto “Per memoria”;

Cap. 215727 – “ Fondo destinato a fronteggiare gli effetti finanziari sui saldi di bilancio conseguenti all’eliminazione dei residui attivi cui non corrispondono crediti da riscuotere”-

Tale capitolo risulta istituito con l’art. 5 della legge regionale n. 11 del 2010, con una previsione iniziale di 5 milioni di euro per ciascuno degli esercizi 2010 e 2011 e di 70 milioni di euro per l’esercizio 2012.

Nel rendiconto dell’esercizio 2012 risulta stanziato l’importo di 70 milioni di euro, che ha costituito “economia” al 31 dicembre dell’esercizio.

Nell’esercizio 2013, con legge di bilancio n. 10 del 17 maggio 2013, il capitolo risulta iscritto “Per memoria”.

In sede di assestamento di bilancio, operato con la legge n. 13 del 7 agosto 2013, per effetto dell’art. 4, 3° comma, è stata apportata una variazione in aumento per complessivi 86 milioni di euro e, ai sensi dell’art. 5, 1° comma, una variazione in aumento per complessivi 37 milioni di euro: lo stanziamento complessivo del fondo, pertanto, ammontava al 31 dicembre 2013 a 123 milioni di euro, somma che al 31 dicembre 2013 ha costituito “economia”.

Con la medesima legge è stato previsto, altresì, all’art. 6, 1° e 2° comma, che il fondo di cui all’art. 5 della legge regionale 12 maggio 2010 (UPB 4.2.1.5.99, capitolo 215727) venisse incrementato del 50 per cento delle somme residue corrispondenti ai ribassi d’asta dei lavori finanziati dall’Amministrazione regionale con fondi propri, di cui all’art. 6, 28° comma, della legge n. 12 del 2011, nonché del maggior gettito rispetto agli stanziamenti previsti in bilancio derivante dalla valorizzazione dei beni immobili della Regione e dei beni non strumentali degli Enti regionali.

Nell’esercizio 2014, con la legge di stabilità n. 5 del 28 gennaio 2014, all’art. 3, 13° comma, al fine di garantire gli equilibri finanziari del bilancio della Regione, il fondo (di cui in questione al capitolo 215727) risulta incrementato dell’importo di 59,5 milioni di euro, di cui 27,5 milioni mediante riduzione della dotazione finanziaria di alcuni capitoli di spesa e, quanto a 32 milioni di euro, dal recupero di risorse regionali derivanti dall’attuazione del precedente comma 12°.

Per effetto della legge di bilancio n. 6 del 28 gennaio 2014, al capitolo 215727 attualmente risulta una dotazione finanziaria complessiva di competenza pari a 99,5 milioni di euro.

All’art. 4, 5° comma, della legge di stabilità per il 2014 è previsto, altresì, che il suddetto fondo venga incrementato da:

1) minori oneri che dovessero essere recati al bilancio regionale quale effetto del minore concorso al risanamento della finanza pubblica per il triennio 2014-2016;

2) da tutte le somme iscritte in bilancio che dovessero rendersi disponibili a seguito della non operatività delle relative previsioni di spesa, a qualsiasi titolo dichiarata;

3) dagli eventuali risparmi che dovessero conseguire dalla applicazione per il triennio 2014-2016 dell’art. 2, 3° comma, della legge regionale n. 9 del 2013.

Cap. 215732 – “ Fondo per la salvaguardia degli equilibri di bilancio”-

Il suddetto fondo risulta istituito con l’art. 6 della legge regionale 1 giugno 2012, n. 33, con una dotazione finanziaria iniziale, al capitolo 215732, pari a complessivi 23 milioni di euro.

Dal rendiconto approvato per l’esercizio finanziario 2012 risulta per il suddetto capitolo una dotazione complessiva di 106 milioni di euro, che al 31 dicembre ha costituito “economia”.

Tale fondo, tuttavia, secondo la previsione della legge istitutiva, essendo destinato unicamente alla salvaguardia degli equilibri di bilancio, non poteva (almeno nel 2012) considerarsi equipollente a quello di cui al cap. 215713.

Nell’esercizio 2013, con legge di bilancio n. 10 del 17 maggio 2013, al capitolo 215732 risulta una complessiva dotazione finanziaria di 110 milioni di euro, che ha costituito “economia” al 31 dicembre 2013.

Con la legge di assestamento n. 13 del 7 agosto 2013, all’art. 5, comma 2°, è stato previsto che il predetto fondo possa essere destinato, altresì, a fronteggiare gli effetti finanziari sui saldi di bilancio conseguenti alla eliminazione dei residui attivi cui non corrispondono crediti da riscuotere.

Nell’esercizio 2014, con la legge di bilancio n. 6 del 28 gennaio 2014, il capitolo 215732 risulta iscritto “Per memoria” ed è, pertanto, privo di stanziamento.

Il disegno di legge n. 724, approvato dall’Assemblea regionale nella seduta del 28 maggio 2014, non ha recato modifiche alla dotazione finanziaria dei citati fondi.

Ciò premesso, la Corte ritiene che lo stanziamento dei suddetti fondi sia assolutamente insufficiente e debba essere annualmente incrementato, secondo un piano pluriennale coerente con le previste cancellazioni di partite creditorie, al fine di scongiurare situazioni di squilibrio di bilancio.

Inoltre, poiché i fondi annualmente stanziati ai capitoli 215727 e 215732 costituiscono “economia” di bilancio a fine esercizio, occorrerebbe apporre un vincolo di indisponibilità ai suddetti stanziamenti al fine di consentire un graduale accumulo di risorse finanziarie per far fronte alla cancellazione dei residui attivi inesigibili.

 4. La spesa sanitaria

La spesa sanitaria regionale, sulla base degli ultimi dati disponibili (esercizio finanziario 2013), risulta pari a 8.893 milioni di euro ed assorbe il 54,66 % dell’intera spesa della Regione, pari a 16.270 milioni di euro.

La situazione del finanziamento della stessa si è andata aggravando negli ultimi anni per effetto dell’incapacità del bilancio regionale di sostenere il peso della maggiore compartecipazione alla stessa che, per effetto del disposto della legge finanziaria statale per il 2007, è passata dal 42,5% del 2006 al 49,1% a partire dall’anno 2009. Si è pertanto passati da una compartecipazione regionale al finanziamento sanitario pari, nel 2007, a 3,3 miliardi di euro (42,5 %), ad un concorso che supera i 4 miliardi di euro a partire dal 2009.

La finanziaria del 2007 prevedeva (art. 1, comma 832), come contropartita della maggiore compartecipazione, che fosse riconosciuta “la retrocessione alla Regione siciliana di una percentuale non inferiore al 20 e non superiore al 50 per cento del gettito delle accise sui prodotti petroliferi immessi in consumo nel territorio regionale; tale retrocessione aumenta simmetricamente, fino a concorrenza, la misura percentuale del concorso della Regione alla spesa sanitaria, come disposto dal comma 830 (…)” . Fino ad oggi, tuttavia, tale retrocessione non ha avuto attuazione.

Nessun risultato hanno d’altronde sortito i due ricorsi alla Corte Costituzionale proposti ad oggi dalla Regione ed incentrati sulla natura eccezionale e temporanea della anzidetta disposizione.

Anche gli ulteriori tentativi di riportare la compartecipazione alla misura del 42,5%, effettuati attraverso i disegni delle leggi di stabilità regionali del 2011 e del 2012, hanno sortito esito negativo, trovando il veto del Tavolo ministeriale, con il blocco dei finanziamenti destinati all’Isola.

Alla fine, all’esito di una lunga interlocuzione tra Governo regionale e Ministero dell’Economia, con ripercussioni anche sul blocco delle risorse destinate alla Sicilia, l’art. 3, comma 1, della legge regionale 9 maggio 2012 n. 26, ha previsto la misura della compartecipazione al 49,11 per cento, sia pure “nelle more della pronuncia della Corte Costituzionale adita in materia (…)”. Ma, a tutt’oggi, non si hanno notizie in merito al pronunciamento della Consulta.

La Regione si è trovata, perciò, negli ultimi anni, in una situazione di grave difficoltà finanziaria, dovuta alla necessità di reperire dal proprio bilancio oltre 600 milioni di euro, somma corrispondente alla maggiore compartecipazione rispetto a quella fissata al 42,5%.

Pur trattandosi peraltro di un contributo al finanziamento sanitario ormai destinato ad essere annualmente ricorrente, la legislazione regionale ha fatto ricorso, sin dal 2009, a strumenti di copertura straordinari e congiunturali, che hanno aggravato il già critico stato in cui versa il bilancio regionale.

I problemi di copertura della spesa sanitaria regionale si ripresentano anche per l’esercizio in corso.

Per il 2014, infatti, in assenza di una proposta ministeriale sul riparto del Fondo Sanitario Nazionale 2014, la quota indistinta di fabbisogno sanitario a carico del bilancio regionale è stata stimata in 4.302 milioni di euro, mentre non è stata stanziata attualmente alcuna quota regionale per i progetti di Piano Sanitario Nazionale anno 2014, che, sulla base del criterio della spesa storica, dovrebbe comportare l’iscrizione di un importo pari a circa 62,5 milioni di euro.

Rimangono inoltre scoperti oltre 8 milioni di euro afferenti alla compartecipazione regionale alle altre quote vincolate.

A fronte di tale situazione, la Ragioneria generale della Regione riferisce che una delle possibili soluzioni per la copertura del deficit potrebbe essere quella di integrare gli stanziamenti nel corso del 2014 utilizzando, a tal fine, risorse pari a 189,184 milioni di euro che si rendono disponibili solo per l’anno in corso. Tale somma corrisponde ai maggiori gettiti accertabili nel solo esercizio 2014 in relazione alle maggiorazioni dell’aliquota IRAP e dell’addizionale IRPEF (art. 1, comma 174, della legge 311/2004) a seguito della modifica del sistema di contabilizzazione introdotto dall’art. 20 del titolo II del D.lgs. 26 giugno 2011 n. 118.

La disposizione citata, prevedendo l’accertamento dei gettiti in argomento secondo il criterio di “competenza” e non di “cassa”, determinerebbe infatti, per il solo esercizio 2014, un corrispondente maggiore accertamento, rispetto a quanto previsto attualmente in bilancio (326,810 milioni di euro), di circa 189,184 milioni .

Per il 2014, inoltre, secondo quanto riferisce la Ragioneria, ove fosse effettuata tale operazione, altre risorse, destinate inizialmente alla sanità, potrebbero essere liberate per far fronte, in questo momento di estrema criticità per i conti regionali, a finalità extrasanitarie. A tal fine, occorre far riferimento al disposto dall’art. 2, comma 6, del D.L. 15 ottobre 2013, n. 120. Tale norma consente alle Regioni, in presenza di alcune condizioni predeterminate, la riduzione delle predette maggiorazioni, ovvero la destinazione del relativo gettito a finalità extrasanitarie riguardanti lo svolgimento di servizi pubblici essenziali, in misura tale da garantire al finanziamento del Servizio sanitario regionale un gettito pari al valore massimo annuo del disavanzo sanitario registrato nel medesimo triennio. Le predette riduzioni o destinazioni a finalità extrasanitarie sono consentite previa verifica positiva dei medesimi Tavoli e in presenza di un Programma operativo 2013-2015 approvato.

Per quanto riguarda la Sicilia, il valore massimo del disavanzo registrato nel triennio di riferimento comporta la necessaria destinazione di circa 105 milioni di euro al finanziamento del SSR (Sistema Sanitario Regionale)  -secondo il valore calcolato dal Tavolo di verifica ministeriale – mentre il restante gettito (circa 200 milioni) può essere destinato a finalità extrasanitarie riguardanti lo svolgimento di servizi pubblici essenziali.

Per il 2014 la Ragioneria generale della Regione riferisce che, in attuazione dell’ art. 2, comma 6, della citata normativa, si è proceduto a destinare prudenzialmente la somma di 108,343 milioni di euro – invece di 105 milioni di euro – alla copertura dell’eventuale disavanzo del SSR per l’anno 2013 (che dovrà essere accertato dal Tavolo di verifica ministeriale), mentre la rimanente quota dei maggiori gettiti di cui alla massimizzazione delle aliquote, pari a circa 218 milioni di euro, risultano già essere stati destinati dal Governo regionale (art. 3, comma 12, della legge regionale n.5/2014) alla copertura dei costi del trasporto pubblico locale ed ai collegamenti con le isole minori.

Risulterebbe dunque possibile, successivamente all’accertamento del risultato di gestione 2013 da parte del Tavolo di verifica ministeriale (gli ultimi dati riferiti dall’Assessorato della Salute rappresentano un avanzo di circa 6 milioni di euro) ed ove si applicassero, a copertura della maggiore spesa sanitaria, i maggiori accertamenti per una quota dei 189 milioni di euro, la “liberazione”, per finalità extrasanitarie, dei 108 milioni già prudenzialmente accantonati.

In tal senso si è recentemente provveduto con l’art. 15 del DDL 724, approvato dall’Assemblea regionale siciliana il 28 maggio 2014, norma che dispone in materia di destinazione di parte del risparmio di spesa conseguente all’accertamento del risultato di gestione del SSR per l’anno 2013, stimato in 100 milioni; di tale importo, 20 milioni saranno destinati all’autorizzazione di spesa di cui all’art. 3 del citato DDL (riorganizzazione delle risorse umane nel settore forestale e della prevenzione degli incendi), mentre i rimanenti 80 milioni andranno a finanziare il fondo perequativo comunale di cui all’art. 6, comma 2, della legge regionale 28 gennaio 2014 n.5 (comma 5). L’operazione resta subordinata alla verifica del risultato di gestione per l’anno 2013 da parte dei competenti Tavoli tecnici (comma 6).

Tale disposizione, che postula l’affrancazione della somma indicata dal vincolo di destinazione di cui all’art. 2, comma 6, del D.L. 15 ottobre 2013, n. 120, presenta, ad avviso della Corte, elementi di incoerenza con le valutazioni già espresse dal Tavolo di verifica ministeriale. Infatti, come risulta dal verbale di verifica degli adempimenti del 15 aprile 2014, il Tavolo, sulla base dei dati disponibili al IV trimestre, ha calcolato per il 2013 un risultato di esercizio con un avanzo di circa 6 milioni di euro, proprio facendo affidamento sull’applicazione dell’intera somma di 108,343 milioni di euro a copertura del disallineamento, stimato in 97,796 milioni di euro, tra la spesa sanitaria effettiva e gli stanziamenti di cui al bilancio regionale per il 2013, con riferimento al mancato completo conferimento delle risorse di competenza regionale.

Ulteriori osservazioni vanno poi riferite all’utilizzabilità del maggiore accertamento di 189 milioni di euro. Tale problematica è di estremo rilievo, in quanto involge non solo la copertura della maggiore spesa sanitaria per il 2013 e 2014, ma anche la possibilità di destinare ad emergenze extrasanitarie la somma di 100 milioni, già stanziata per le finalità di cui al DDL 724.

In proposito la Corte deve rilevare come tale maggiore accertamento si riferisca al solo esercizio in corso, in quanto dal 2015 in poi entrerà a regime il sistema di accertamento per sola competenza di cui al D.lgs. 118/2011, con conseguente minore accertamento di risorse per tale voce. Inoltre, essendo tale maggiore accertamento legato non ad un reale aumento del gettito, ma solo alla modifica dei criteri di contabilizzazione dello stesso, esso potrebbe alimentare ulteriormente i già gravi problemi della cassa regionale, traducendosi in un minore importo effettivo delle risorse derivanti dalla manovra fiscale che finanzia l’esercizio.

Tanto in contrasto con i principi di veridicità del bilancio e di prevalenza della sostanza sulla forma che costituiscono norme basilari per la corretta redazione e gestione del bilancio .

Vale peraltro in questa sede di audizione – precipuamente dedicata all’analisi della situazione finanziaria regionale – evidenziare come anche tale rimedio, consistente nell’utilizzazione di risorse che transitano una tantum nel bilancio regionale solo per effetto della modifica dei criteri di contabilizzazione delle entrate, si presenti congiunturale, straordinario e inidoneo, per sua natura, a dare copertura ad una maggiore ed ormai consolidata spesa.

Tutto quanto sopra per la situazione contingente.

Aprendosi invece a riflessioni di più ampio respiro ed a scenari di medio lungo periodo nella valutazione della sostenibilità della maggiore compartecipazione regionale alla spesa sanitaria, occorre rilevare come nemmeno il disposto di cui all’art. 2, comma 6 del D.L. 120/2013 valga a dare sicura e durevole copertura alla stessa e cioè non solo in considerazione dell’originaria destinazione di quello che doveva essere un rimedio straordinario alla eliminazione dei deficit sanitari (le maggiorazioni sulle aliquote Irap e Irpef), ma soprattutto in ragione della modesta entità di tali somme (pari a poco più di 300 milioni annui), la cui effettiva utilizzazione è peraltro subordinata agli accertamenti ministeriali in ordine al deficit registrato nell’esercizio.

Inoltre le stesse rimangono vincolate solo nella misura di circa 105 milioni al finanziamento della spesa sanitaria, potendo, per il resto, essere destinate a finalità extrasanitarie, come peraltro già avvenuto (art. 72 della legge regionale n.9/2013 e art. 3, comma 12, della legge regionale n.5/2014).

Avviandosi sul punto alla conclusione, la Corte deve rilevare, come già in più occasioni effettuato ed anche in sede di specifica Audizione svoltasi dinanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali del 7 novembre 2012, la necessità – ormai non più rinviabile – di addivenire ad una soluzione, condivisa col Governo nazionale. E ciò, come più volte suggerito da queste Sezioni Riunite attraverso l’attivazione di un meccanismo pattizio che, sulla falsariga di quanto già sperimentato nel settore sanitario, consenta di affrontare in maniera trasparente, seria e stabile, le varie problematiche attinenti il risanamento dei conti regionali.

A tal fine potrebbe darsi concreta attuazione al meccanismo, già previsto dalla legge finanziaria 2007 e rimasto inattuato, della individuazione di strumenti che, a fronte di una compartecipazione regionale alla spesa sanitaria anche maggiore rispetto alla attuale misura, consentano di attivare nuove fonti di entrata di specifica competenza regionale, permettendo al contempo di liberare risorse per affrontare le altre spese correnti, sia pure in un’ottica di razionalizzazione e risanamento strutturale, secondo una precisa calendarizzazione degli obiettivi da raggiungere.

5. Lo stato della finanza locale in Sicilia – (I Comuni siciliani)

1. Il presente paragrafo mira a fornire sinteticamente primi elementi conoscitivi sullo stato di salute degli enti locali siciliani, anticipando alcuni contenuti dell’apposita relazione sulla finanza locale, destinata a confluire anche quest’anno nella relazione sul Rendiconto generale della Regione.

Nel rinviare, pertanto, alla predetta sede per una compiuta disamina, si forniranno di seguito alcune brevi considerazioni sulle principali criticità gestionali che connotano l’attuale sistema di finanza locale.

L’analisi comparativa dei dati rispetto agli anni precedenti evidenzia una condizione di preoccupante peggioramento.

Tra le principali cause del fenomeno, si segnala la progressiva e consistente riduzione dei trasferimenti di provenienza statale e regionale, non adeguatamente compensata da un corrispondente incremento di entrate proprie, a causa delle esigue capacità di prelievo dai territori.

Con riferimento ai trasferimenti regionali, si fornisce di seguito un’evidenza grafica della consistenza del Fondo autonomie locali negli anni 2009-2013.

Da ultimo, l’art. 6 della legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5 ha disposto la soppressione del predetto fondo di parte corrente, istituendo al contempo, in favore dei Comuni, la compartecipazione al gettito regionale IRPEF e un Fondo perequativo comunale, da erogare in quattro trimestralità posticipate.

A fronte del progressivo decremento delle entrate, si registra, sovente, la mancata adozione di efficaci misure strutturali, tese ad una riduzione e riqualificazione della spesa corrente, anche per via dell’elevata incidenza della componente relativa al personale. Quest’ultima incide mediamente sulle spese correnti per il 48 per cento, con punte massime del 73,2 per cento .

Nel delineato contesto, particolare attenzione merita l’analisi di sostenibilità finanziaria nel medio e lungo periodo delle spese di carattere permanente, la cui programmazione non può prescindere da un’accurata analisi degli effettivi fabbisogni, in un’ottica di razionale ed efficiente utilizzo delle risorse pubbliche.

Molto preoccupante risulta, nell’attuale fase congiunturale, la costante flessione dei livelli di spesa d’investimento (che, in termini di cassa, arriva a meno di otto euro pro capite, con totale azzeramento in molte realtà locali), che testimonia l’urgente necessità di politiche di sostegno allo sviluppo locale e, al contempo, di ridimensionamento della spesa corrente nell’alveo delle reali capacità di bilancio.

In questa prospettiva si colloca l’istituzione, da parte dell’art. 6, comma 5, della legge regionale n. 5/2014, di un Fondo per investimenti, della consistenza di 80 milioni di euro, i cui trasferimenti, finalizzati alla realizzazione di specifici obiettivi di infrastrutturazione e riqualificazione del territorio, possono, tuttavia, essere espressamente destinati al pagamento delle quote capitale delle rate di ammortamento dei mutui, di norma finanziate con entrate correnti.

Per quanto riguarda la gestione di cassa, particolare attenzione va posta alle lunghe tempistiche di riscossione dei trasferimenti, anche regionali, e di talune tipologie di crediti, spesso contabilizzati in modo irregolare, cui fa fronte un’elevata mole di spese correnti ripetitive.

L’indebito procrastinarsi di questo disallineamento temporale tra incassi e pagamenti, sia in competenza che in conto residui, causa veri e propri squilibri di cassa e finisce per snaturare il ruolo delle anticipazioni di tesoreria, che da temporaneo ed eccezionale rimedio per sopperire a momentanee carenze di liquidità si trasforma in ordinario strumento di finanziamento a breve, senza il quale gli enti non riescono a soddisfare le proprie esigenze di spesa.

In assenza di misure correttive, questa situazione può degenerare in una permanente carenza di liquidità, in grado di compromettere gravemente la solvibilità delle amministrazioni locali, ovvero la continuità dell’erogazione dei servizi indispensabili.

Per fronteggiare la grave condizione d’illiquidità in cui versano molti enti, la cui sostanziale insolvenza si riverbera negativamente sui già deteriorati sistemi economici locali, il legislatore ha recentemente introdotto con l’art. 1, comma 13, del D.L. 8 aprile 2013, n. 35 (cd. “sblocca debiti”), convertito in legge n. 64/2013, un’anticipazione straordinaria di liquidità da parte di Cassa Depositi e prestiti spa, da restituire entro un massimo di trent’anni.

Sulla base dei dati acquisiti in sede istruttoria, hanno fatto richiesta di anticipazione ben 176 enti locali siciliani (tra cui due province regionali, un’unione di Comuni e 173 Comuni) per un importo complessivo di 642 milioni di euro circa, a fronte dei quali sono stati concessi poco più di 400 milioni di euro, quasi interamente erogati.

2. Con riferimento all’esposizione debitoria, particolarmente problematica appare la situazione dei debiti fuori bilancio riconosciuti, che nel 2012, ultima annualità disponibile, ammonta quasi 100 milioni di euro (di cui circa 87,6 milioni per i Comuni e i restanti nove milioni le Province regionali), in gran parte riconducibili a passività derivanti da sentenze esecutive, che costituiscono spesso la degenerazione giudiziale di originarie acquisizioni di beni e servizi rimaste insolute per indisponibilità di risorse.

Il diffuso stato di sofferenza nel regolare pagamento delle obbligazioni, che degenera in alcuni casi in vera e propria insolvenza, è testimoniato innanzitutto dall’incremento di pignoramenti ed azioni esecutive – i cui importi nel 2012 ascendono a quasi 23 milioni di euro – ma anche dai pagamenti coattivi non ancora regolarizzati, che ammontano ad oltre 17 milioni di euro.

Non meno preoccupante la situazione delle Province regionali, che nel 2012 hanno ricevuto pignoramenti ed azioni esecutive per quasi 40 milioni di euro.

Ancora più significativa risulta la situazione dei debiti fuori bilancio da riconoscere, che nel 2012 quasi raddoppia, arrivando a circa 491 milioni di euro per i Comuni ed a 41 milioni di euro per le Province regionali.

Questo incremento dell’esposizione debitoria trova riscontro nell’elevato importo dei debiti fuori bilancio censiti, ma non ancora finanziati, risultante dai piani di riequilibrio finanziario pluriennale approvati tra la fine del 2012 e i primi mesi del 2014 (art. 243 bis, comma 5, del Tuel), pari a quasi 275 milioni di euro.

2.1 Sempre a proposito di passività latenti, estremamente problematica risulta l’esposizione debitoria dei Comuni per l’integrale copertura dei costi del servizio d’igiene ambientale, di cui sono ex lege responsabili in via sussidiaria.

In tale ambito, la Regione, al fine di fronteggiare temporanee carenze di liquidità degli ATO, talvolta culminate in vere e proprie emergenze ambientali, è intervenuta attraverso consistenti anticipazioni o nei confronti delle società di gestione degli ATO o – a seconda dei casi – nei confronti dei Comuni.

Sommando gli importi delle varie anticipazioni concesse sulla base delle varie normative succedutesi nel tempo e dei provvedimenti emergenziali, risultano passività ancora da recuperare per 498 milioni di euro.

L’ammontare complessivo delle passività che gravano sul sistema, tuttavia, risulta molto più elevato se si considera anche l’esposizione debitoria delle società d’ambito e dei consorzi nei confronti di fornitori, banche ed altri creditori, quantificata, in base alle certificazioni dei liquidatori aggiornata al 3 luglio 2012, in circa 781 milioni di euro.

Chiaramente, un fenomeno degenerativo così radicale, oltre che sulle modalità di gestione degli ATO pone inevitabili interrogativi anche sulla capacità – e sulle annesse responsabilità – degli enti locali di contrastarne per tempo le manifestazioni patologiche, attraverso un adeguato sistema di indirizzo e controllo nei confronti delle proprie società.

L’esiguo numero di piani di rientro approvati – 98, a fronte dei quali sono state richieste anticipazioni per oltre 156 milioni di euro – è imputabile all’insostenibilità dell’esposizione debitoria, ma anche all’opacità delle risultanze contabili di enti locali e società d’ambito che, impedendo un corretto allineamento dei reciproci rapporti di debito / credito, ha spesso determinato l’insorgenza di contenzioso.

A causa della carenza di risorse da parte dei Comuni, il recupero delle somme anticipate si sta rivelando estremamente difficoltoso, sia per gli enti formalmente in procedura di rientro, sia, soprattutto, per i restanti enti (pari al 75 per cento del totale), per i quali l’importo da recuperare in un arco triennale attraverso ritenute sulle trimestralità del Fondo Autonomie Locali in alcuni casi risulta esorbitante rispetto ai trasferimenti da erogare.

In termini generali, si osserva che l’enorme mole di passività ancora da recuperare, pur dilazionate, risulta scarsamente sostenibile per gli enti locali e finisce per riverberarsi negativamente sulla gestione del bilancio regionale, di per sé connotata da forti tensioni di liquidità, nel difficile contemperamento tra ragioni creditorie, istanze debitorie ed esigenze di continuità del servizio.

Le gravi criticità gestionali accumulate negli anni hanno in molti casi provocato il procrastinarsi delle gestioni liquidatorie, tutt’ora in corso, e il rinvio della transizione verso i nuovi assetti gestionali, nell’ambito di un quadro regolatorio regionale non sempre di facile attuazione, anche per gli evidenti profili di novità rispetto alle discipline civilistiche e giuscontabili che trovano uniforme applicazione sul territorio nazionale.

3. Un evidente sintomo del progressivo peggioramento dello stato di salute degli enti locali siciliani risulta dal crescente numero di enti in condizione di deficitarietà strutturale, che nel 2013 passa da 22 a 26, cui si aggiungono ulteriori 31 enti soggetti in via provvisoria ai controlli previsti per gli enti deficitari, a seguito della mancata presentazione del certificato al rendiconto (art. 243 comma 6 del TUEL).

3.1. L’art. 6, comma 2, del D. Lgs. n. 149/2011, che ha introdotto la procedura del cd. “dissesto guidato” , ha avuto un’applicazione differita in Sicilia per il rinvio operato dall’art. 13, successivamente dichiarato incostituzionale con sentenza n. 219 del 19 luglio 2013.

Nel limitato arco temporale di vigenza, tale procedura è stata avviata nei confronti di cinque enti locali, ed è culminata in due casi con l’accertamento dello stato di dissesto.

La sua attuazione, tuttavia, anche a causa di una non felice formulazione legislativa, ha risentito del frequente intervento del giudice amministrativo, successivamente riconosciuto sprovvisto di giurisdizione in materia dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nei termini di cui all’ordinanza n. 5805 del 25 febbraio 2014.

3.2 Elevato, inoltre, è il numero di enti siciliani che hanno fatto ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, introdotta dall’art. 3 del D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, per prevenire l’insorgenza del dissesto in amministrazioni che versano in grave difficoltà finanziaria.

Risultano attualmente in procedura di riequilibrio 21 enti locali siciliani, di cui ben 11 hanno chiesto di accedere al fondo di rotazione previsto dall’art. 243 ter del Tuel, per un importo complessivo di oltre 158 milioni di euro.

L’elenco degli enti in procedura di riequilibrio è in continuo aggiornamento, in relazione all’evolversi degli eventi.

Allo stato degli atti, infatti, quattro Comuni hanno deliberato dissesto, mentre un altro ente ha avviato la relativa procedura.

Nel merito, sono stati approvati tre piani di riequilibrio, due dei quali sono stati oggetto di diniego di approvazione da parte della Sezione di controllo, con conseguente attivazione della procedura di dissesto.

Un Comune e una Provincia regionale, infine, hanno revocato l’adesione al piano.

In materia, è da registrare il recente intervento del legislatore nazionale, che con l’art. 1, commi 573 e 573 bis, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, ha consentito, ad alcune condizioni, il riavvio nel 2014 di procedure di riequilibrio precedentemente definite.

3.3. Complessivamente, il numero di amministrazioni che nell’ultimo biennio hanno formalizzato il dissesto finanziario – spontaneamente o in via commissariale – ammonta ad otto.

In tale ambito, è da segnalare la recente introduzione – ad opera dell’art. 6, comma 10, della legge regionale 28 gennaio 2014, n.5 – di un contributo decennale erogato dalla Regione per gli enti in gravi difficoltà finanziarie.

Alla scadenza dei termini previsti, al Dipartimento Autonomie locali risultano pervenute cinque richieste di accesso alle risorse (un milione di euro annui) per gli enti in dissesto e ben ventinove (pari a quattro milioni di euro annui) per gli enti che intendono avviare la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale (il cui numero, pertanto, è destinato ad aumentare).

4. La situazione appena tratteggiata, peraltro in costante evoluzione, costituisce il prevedibile epilogo degenerativo di una serie di gravi criticità gestionali, più volte segnalate dalla Sezione di controllo e da queste Sezioni Riunite, che postula l’imprescindibile attuazione di urgenti misure di rientro da parte di tutti i livelli di governo.

A questo riguardo, di estremo interesse risulta il disegno istituzionale di riordino delle funzioni di governo di area vasta, avviato con legge regionale 27 marzo 2013, n. 7, e tutt’ora in fase di attuazione, a seguito della legge regionale 24 marzo 2014, n. 8.

In esso si prevede, nella prima fase, l’istituzione di nove liberi consorzi comunali, attualmente coincidenti con le soppresse province regionali, nonché la creazione delle Città metropolitane di Palermo, Catania e Messina.

Nel rinviare qualsiasi considerazione all’esito del processo di effettivo riordino delle circoscrizioni territoriali, queste Sezioni Riunite si limitano in questa sede ad auspicare un attento governo della delicata fase di transizione, affinché la riforma delle funzioni di area vasta si coniughi in modo ottimale con le imprescindibili esigenze di riduzione della spesa pubblica, d’incremento dei livelli di efficienza ed efficacia dei servizi erogati, e, soprattutto, di razionalizzazione del numero complessivo di centri di spesa pubblica, in armonia col processo già in atto nel restante territorio nazionale.

Parimenti auspicabile, inoltre, è che l’allocazione delle funzioni tra i vari livelli di governo sia rispondente a criteri di economicità di gestione, nel contesto di una più generale visione strategica dell’intero sistema.

6. Le partecipazioni societarie della Regione siciliana.

La Corte ha più volte evidenziato, nel corso degli ultimi giudizi di parificazione, l’esigenza che l’attività delle società partecipate rientri pienamente nel perimetro del sistema dei conti e dei controlli dell’Amministrazione pubblica, e, da ultimo, ha dedicato al fenomeno un’approfondita indagine (cfr. il referto approvato con deliberazione n. 417/2013/GEST).

L’occasione per avviare un percorso virtuoso – rispondente a tali imprescindibili esigenze di monitoraggio delle gestioni esterne ed alle istanze di trasparenza e armonizzazione dei conti pubblici poste dall’ordinamento comunitario e dal rinnovato quadro costituzionale – è stata inopinatamente disattesa a seguito della decisione della Regione di abbandonare l’adesione alla procedura di sperimentazione dell’armonizzazione dei sistemi di bilancio. Oltre alla perdita del beneficio previsto a favore degli enti sperimentatori, consistente nella riduzione della manovra posta a loro carico dal Patto di stabilità interno, ciò ha privato la Regione di un valido strumento informativo che avrebbe potuto favorire la razionalizzazione del settore e del sistema di governance regionale (cfr. cap. 1.2 dell’indagine).

L’indagine svolta dalla Sezione ha messo in luce le dimensioni significative del fenomeno, un quadro complessivo di devianza da basilari principi di economicità e razionalità, la presenza di gravi criticità sui singoli aspetti esaminati (stato di salute delle società, relazioni finanziarie con la Regione, piano di riordino, governance, sistema dei controlli, ecc.):

– la Regione siciliana è quella che detiene il maggior numero di partecipazioni societarie, ed in particolare di quelle totalmente pubbliche, nonché il primato per quanto riguarda i costi del personale, il numero di addetti, l’incidenza costi del personale/costi di produzione (cfr. all. 1):

il valore complessivo delle partecipazioni societarie, in termini di patrimonio netto regionale, supera la cifra di 530 milioni di euro (ancorché il dato sconti numerose società con patrimonio netto negativo e l’incidenza deflattiva di costanti perdite d’esercizio che, nel tempo, hanno contratto i patrimoni netti sociali).

La legge di stabilità regionale per il 2014 (legge regionale 28 gennaio 2014, n.5) ha modificato il piano di riordino di cui all‘art. 20 della l.r. 12 maggio 2010, n. 11, riducendo da 14 a 11 le aree strategiche di intervento e disponendo il mantenimento, per ciascuna di esse, del soggetto societario di riferimento; mentre per quelle non strategiche ha disposto l’avvio entro 60 giorni delle procedure di evidenza pubblica per la cessione delle partecipazioni.

I costi per mantenere le strutture societarie in termini di personale ed organi superano nel quadriennio la cifra di 1 miliardo di euro (1.176 milioni, senza considerare i dati incompleti per il 2012).

In media, ogni società nel quadriennio oggetto di rilevamento ha assorbito risorse per 718.700 euro solo per la corresponsione di emolumenti agli organi sociali.

I flussi finanziari erogati nell’arco del quadriennio 2009-2012 dalla Regione a favore delle 34 società censite supera l’importo di un miliardo di euro (1.091 milioni di euro) (cfr. capitolo 3.4 dell’indagine), in gran parte riconducibili a corrispettivi per commesse pubbliche; mentre è emerso il non corretto rilevamento da parte della Regione dei flussi finalizzati a copertura di disavanzi e perdite, nonché il ricorso reiterato ed improprio a interventi di “mero soccorso finanziario” a favore di società prive di valide prospettive di risanamento.

Tra i costi societari la gran parte è riferita a costi del personale.

Il valore di tale voce è di oltre 1.089 milioni di euro nel quadriennio analizzato, a fronte di un dato di circa 7.300 dipendenti, pressoché costante negli ultimi esercizi, che non ha pari nel resto delle regioni italiane.

Il costo annuale, prendendo a riferimento il 2011, è stato di 312 milioni di euro, ed in una prospettiva di consolidamento dei conti sarebbe imputabile in capo al socio Regione per oltre il 70% (223 milioni), ciò che corrisponde annualmente a un quinto delle spese lorde del personale di ruolo della Regione, già di per sé assai elevato.

Il consistente impatto della spesa del personale delle società partecipate sul bilancio regionale non ha prospettive deflattive. Anzi, la Corte ha già evidenziato – sin dal giudizio di parificazione del rendiconto 2011 – le preoccupazioni di un transito generalizzato e pressoché automatico del personale dalle società regionali dismesse nelle nuove compagini scaturite dal piano di riordino, ove si prescinda, da una parte, da puntuali valutazioni del fabbisogno rispetto all’assetto organizzativo e finanziario delle società destinatarie dei nuovi dipendenti, e, dall’altra, da una selezione delle professionalità e delle tipologie contrattuali dei lavoratori interessati al trasferimento.

Sul punto, la disposizione contenuta nell’art. 23 della legge regionale n.5/2014 prescrive in capo a ciascuna società partecipata interessata dal processo di riordino l’adozione, entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge, di un Piano dei servizi e del personale che determini il reale fabbisogno di personale e gli eventuali esuberi. A ciò si accompagna la previsione del divieto di assunzione e l’obbligo per le società poste in liquidazione di attivare per l’intero organico aziendale le procedure di cui alla legge 23 luglio 1991, n. 223.

La Regione dovrà attentamente vigilare sulla corretta applicazione delle predette disposizioni – che peraltro ribadiscono princìpi già vigenti ed immanenti, a lungo trascurati- e garantire l’effettivo raggiungimento delle finalità di razionalizzazione dichiarate.

Ulteriori oneri derivano dalle diffuse irregolarità in ordine al ricorso a forme di lavoro flessibile ed alla gestione dei relativi rapporti, e dalla conseguente affermazione, in via giudiziale o transattiva, della contrattualizzazione a tempo indeterminato dei lavoratori interessati: si tratta di un fenomeno piuttosto diffuso presso le società partecipate che si pone in termini elusivi dei divieti di assunzione e del divieto imperativo di trasformazione dei rapporti di lavoro a tempo determinato.

Passando ai fondamentali profili contabili e gestionali, emerge in maniera netta, sulla scorta dell’evidenza empirica riferita a una serie storica significativa (ultimi quattro esercizi 2009-2012), la ridotta redditività, rectius la “areddittività”, delle società partecipate dalla Regione.

Si tratta di un carattere a tal punto comune, reiterato nel tempo e trasversale rispetto al grado di partecipazione e agli ambiti di attività sociale, da connotare in negativo l’intero sistema-partecipazioni (cfr. i capitoli 3.3.1 e 3.3.2. dell’indagine, nonché la tabella riassuntiva allegata):

– nel triennio 2009-2011 i risultati d’esercizio aggregati di tutte le società partecipate registrano un saldo nettamente negativo, oscillante tra i 27,8 (esercizio 2009) ed i 23,9 milioni di euro (esercizio 2011);

– l’esame dei dati di bilancio relativi agli esercizi 2009-2012 evidenziano che ben 14 società, ossia il 41% del totale, registrano nell’arco del quadriennio perdite d’esercizio addirittura per tre esercizi consecutivi;

– tutte le società a capitale interamente pubblico mostrano costanti e rilevanti perdite.

In siffatto quadro di aredittività e di sofferenza strutturale andrebbero attentamente vagliate le erogazioni finanziarie della Regione a favore delle proprie partecipate, in particolare molti trasferimenti straordinari erogati nell’ultimo quadriennio appaiono, di fatto, finalizzati a tamponare perdite ed inefficienze gestionali in una perversa logica di “salvataggio a tutti i costi” di soggetti in evidente stato di crisi, senza le necessarie valutazioni sulle prospettive di risanamento o di riequilibrio dei conti; in taluni casi gli interventi sul capitale sono stati disposti, addirittura, in prossimità della messa in liquidazione della società.

Le gestioni liquidatorie – che pesano per il 18% del patrimonio netto delle partecipazioni regionali e per il 45% delle perdite d’esercizio aggregate – si trascinano nel tempo senza giungere a chiusura. Ciò determina pesanti ricadute in termini finanziari ed evidenti difficoltà gestionali in quei casi in cui si è disposta l’autorizzazione a continuare le attività d’impresa. Anche in tal caso, appaiono ispirati a principi di mero “soccorso finanziario” molti degli interventi, qualificati come “anticipazioni” o con altro titolo, dichiaratamente finalizzati a garantire la continuità delle gestioni liquidatorie o a sopperire alla mancanza di mezzi propri delle società.

Diffuse criticità presenta il sistema di governance e dei controlli interni da parte della Regione sia nel complesso sia in riferimento ai singoli aspetti esaminati (strutture preposte al controllo, controllo societario, controllo contrattuale e controllo economico-finanziario, cfr. capitolo 5 dell’indagine).

Infine, in merito ai gravi profili di criticità rilevati la Sezione di controllo, nell’approvare il referto conclusivo dell’indagine, ha disposto l’adozione da parte della Regione delle necessarie misure correttive.

Tuttavia, nonostante siano già decorsi i termini assegnati, ad oggi non è stata comunicato alcun intervento correttivo, né sul piano programmatico né su quello gestionale e dei controlli; così come, in riferimento alle richiamate disposizioni della legge regionale di stabilità per il corrente anno, non sono state comunicate le misure applicative adottate né è dato conoscerne lo stato di attuazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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Dall’agricoltura alle soluzioni per il caro energia; dalle rinnovabili di difficile gestione pubblica allo sviluppo delle imprese bandiera del governo di Renato Schifani. Sono tanti, vari e non semplici i temi affidati alla commissione Attività produttive presieduta da Gaspare Vitrano. Deputato passato dal Pd a Forza Italia, tornato in questa legislatura dopo un lungo processo […]