Il giro di corruzione che passava dalle mani del cardiochirurgo Carmelo Mignosa era dell’ordine di decine di migliaia di euro. I sospetti, sorti subito dopo l’arresto in flagranza avvenuto lo scorso agosto, mentre il primario del Policlinico intascava una mazzetta dall’imprenditore Valerio Fabiano, si sono cristallizzati attorno al nome di Carmelo Riela. 74enne titolare della […]
Corruzione al Policlinico, il secondo imprenditore che pagò le mazzette al primario Mignosa. Procura: «Dati oltre 25mila euro»
Il giro di corruzione che passava dalle mani del cardiochirurgo Carmelo Mignosa era dell’ordine di decine di migliaia di euro. I sospetti, sorti subito dopo l’arresto in flagranza avvenuto lo scorso agosto, mentre il primario del Policlinico intascava una mazzetta dall’imprenditore Valerio Fabiano, si sono cristallizzati attorno al nome di Carmelo Riela. 74enne titolare della Cardiosud, società attiva nel settore del commercio all’ingrosso di articoli medicali. È il suo il nome del secondo imprenditore coinvolto nel nuovo scandalo corruzione che ha travolto il polo ospedaliero universitario etneo, a tre anni dall’inchiesta che, nel 2019, portò all’arresto dell’urologo Giuseppe Morgia, poi diventato a inizio di quest’anno primario all’Asp di Enna.
La scorsa settimana Riela, così come Mignosa e Fabiano, ha ricevuto l’avviso di chiusura delle indagini da parte della procura di Catania. Nei suoi confronti l’accusa è di avere corrotto Mignosa con l’obiettivo di condizionare la calendarizzazione e la scelta della tipologia di interventi da effettuare su pazienti per i quali era necessario l’utilizzo dei dispositivi commercializzati dalla Cardiosud. Sotto la lente del magistrato Fabio Regolo è finita la gestione delle valvole e degli anelli mitralici trattati dalla società che ha sede a Tremestieri Etneo. Il 74enne imprenditore avrebbe pagato la disponibilità del cardiochirurgo con dazioni di denaro che ammontano complessivamente a 25.400 euro. In mano agli inquirenti ci sono oltre trenta intercettazioni che dimostrerebbero il patto corruttivo tra il primario – ritenuto un luminare della materia – e i due imprenditori. A fare il nome di Riela ai militari della guardia di finanza, indicando in otto mesi l’arco di tempo durante il quale sarebbero state pagate le mazzette, era stato lo stesso Mignosa, dopo il ritrovamento dei soldi nel corso della perquisizione domiciliare. I contanti erano stati nascosti in camera da letto, tra giacconi da sci e cassetti.
L’arresto del medico era stato eseguito poco prima di ferragosto, dopo che gli investigatori avevano monitorato il pagamento di una tangente da parte di Valerio Fabiano, il legale rappresentante della Aretè, altra società – con sede a Trecastagni – specializzata nelle forniture di prodotti medicali. In quella circostanza, la consegna della bustarella era avvenuta all’interno dell’ufficio di Mignosa al Policlinico. Fabiano lasciò il denaro nel bagno, per poi andare via e dare la possibilità al medico di recuperarlo. L’imprenditore, che secondo gli inquirenti sarebbe stato interessato ad accaparrarsi uno dei lotti della gara da oltre 17 milioni indetta dall’azienda ospedaliera, si è difeso sostenendo che la somma di denaro era stata data sì nel tentativo di ingraziarsi le future simpatie di Mignosa, ma escludendo di essersi adoperato per turbare la gara d’appalto. Prima di allora, a detta di entrambi gli indagati, tra i due ci sarebbe stata soltanto una cena pagata dall’imprenditore e nulla più.
A stabilire i contorni esatti del rapporto corruttivo saranno i prossimi passaggi giudiziari. All’avviso di chiusura delle indagini, seguirà la richiesta di rinvio a giudizio e bisognerà capire se – di fronte all’evidenza degli elementi raccolti dagli inquirenti – Mignosa e gli imprenditori decideranno di affrontare un processo oppure cercheranno di trovare una mediazione, puntando al patteggiamento della pena.
Per Mignosa – tornato al Policlinico nel 2021, dopo le grane seguite all’inchiesta sugli abusi sessuali che sarebbero stati commessi oltre un decennio fa dal suo braccio destro – si tratta della seconda vicenda professionale che finisce al vaglio dei giudici. Al tribunale del lavoro è infatti pendente un ricorso in merito alla sua nomina a direttore dell’Unità operativa complessa di Cardiochirurgia nell’azienda ospedaliera universitaria etnea. A contestarla è stato uno degli aspiranti primari, secondo il quale la selezione sarebbe stata inficiata da una incompatibilità tra Mignosa e il presidente della commissione di valutazione.
(Foto di Natanael Melchor – Unsplash)