Oltre 420 chilometri di ex binari che potrebbero essere trasformati in percorsi cicloturistici o, per usare un anglicismo, in greenway. È il dato che viene fuori dall’Atlante delle ferrovie dismesse, presentato nei giorni scorsi da Rfi e Ferrovie dello Stato. Il documento raccoglie i tratti un tempo erano percorsi dai treni e che poi, per motivi diversi, sono stati abbandonati. Ma che potrebbero rivivere sotto una nuova forma, esperimento che in altre nazioni, ma anche nel Nord Italia, ha avuto un grande successo.
Nel panorama nazionale, la Sicilia è tra le regioni con più ferrovie dismesse. A dichiararlo è lo stesso direttore generale di Ferrovie dello Stato, Renato Mazzoncini. «Solo in Sicilia esiste un terzo del patrimonio italiano di linee dismesse. Immaginiamo cosa potrebbe essere il turismo se queste linee fossero trasformate in piste ciclabili, le vecchie stazioni in ostelli e ristoranti o centri di vendita di prodotti tipici locali. Arte, archeologia, cultura, artigianato, tradizioni, turismo, sarebbero come d’incanto- scrive Mazzoncini nella prefazione del documento – messi a sistema creando occupazione e spingendo le eccellenze dell’isola a emergere».
Le ex ferrovie siciliane si trovano in diversi punti del territorio, toccando tutte le province. Sia lungo i litorali che nell’entroterra. Questi nello specifico l’elenco dei tratti che potrebbero essere rilevati dagli enti locali per essere trasformati in greenway: Terme Vigliatore-Messina Scalo (24,2 chilometri), Fiumefreddo di Sicilia-Catania Ognina (28,5 chilometri), Randazzo-Alcantara (37,5 chilometri), Regalbuto-Schettino Santa Maria di Licodia (35,1 chilometri, di cui 20,7 di proprietà di Fs spa), Dittaino-Caltagirone (71,2 chilometri, di cui 35 di Fs spa) e Leonforte-Dittaino (14,7 chilometri, di cui 7,1 di Fs spa), Noto-Pachino (27,5 chilometri), Agrigento-Bassa Licata (60,8 chilometri, di cui 48 di Fs spa), Canicattì-Margonia Bivio (12,4 chilometri, di cui otto di Fs spa), Lercara Bassa-Magazzolo (67,2 chilometri, di cui 40 di Fs spa), Filaga Bivio-Palazzo Adriano (13,8 chilometri), Castelvetrano-Porto Empedocle (123,7 chilometri, di cui 94 di Fs spa), Salaparuta Poggioreale-Castelvetrano (28,5 chilometri), Salemi-Santa Ninfa Scalo (10,5 chilometri).
Una rete che, alla luce dell’interesse internazionale per il cicloturismo, potrebbe diventare trampolino di lancio per l’economia isolana. Tuttavia, tra dire e il fare c’è di mezzo il ritardo nella pianificazione che fa sì che i percorsi realizzati siano ancora molto pochi. «Di esempi positivi ne abbiamo – dichiara Giampaolo Schillaci, referente per la Sicilia della Fiab, la Federazione italiana amici della bicicletta -, come nel caso della Castiglione-Rovittello, nel Catanese, o il percorso a Menfi, ma finché non si creerà una rete sarà difficile uno sviluppo del cicloturismo. Ed è un peccato perché la nostra regione a livello europeo è apprezzatissima».
Tra le occasioni sprecate, c’è senz’altro il tratto di ferrovia che ricade nel territorio di Noto. Qui, l’ipotesi di una riqualificazione è stata rilanciata in campagna elettorale dall’attuale sindaco Corrado Bonfanti, ma al momento rimane nell’agenda politica del primo cittadino. E tra i sogni nel cassetto del Comitato per il recupero della ferrovia Noto-Pachino. «A lavorare a un progetto per far rinascere il tratto ferroviario è anche l’Università di Bergamo che sta preparando uno studio di fattibilità – commentala presidente Francesca Sara Perna -. L’idea è bellissima, ma per ora sembra essere rimasto uno slogan elettorale e poco altro. Ed è un peccato, perché il percorso attraversa luoghi molto belli». Il centro del Siracusano, peraltro, a inizio anni Duemila fu beneficiario di un finanziamento. Risorse che, però, non sarebbero state sfruttate per via delle differenti vedute dei sindaci che si sono succeduti in quegli anni.
A raccontare le difficoltà di realizzazione dei percorsi cicloturistici è Gaetano Brucoli, esperto e tra i progettisti del tratto Godrano-San Carlo, in provincia di Palermo. «Lì ci siamo riusciti e oggi è fruito seppure solo in parte – spiega -. Questo perché, nel corso del tempo, i Comuni non si sono occupati come avrebbero dovuto della manutenzione». Per Brucoli, tuttavia, il futuro delle greenway deve passare inevitabilmente per un impegno diretto della Regione. «Non è solo una questione di risorse, ma anche di pianificazione e di capacità di risolvere questioni che potrebbero sembrare banali, ma che per un ente locale spesso non lo sono». Tra questi, il fenomeno delle occupazioni. «Ci sono diversi casi, specie nell’entroterra, di tratti che sono stati occupati da privati. Addirittura – conclude l’esperto – in alcuni posti è stato passato il trattore per cancellare le tracce della vecchia sede ferroviaria».
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