Sullo sfondo di una Napoli oscura e multietnica Stefano Incerti ci regala una delicata storia damore tra un silenzioso contabile napoletano e una giovane ragazza cinese. Il film può vantare una splendida interpretazione di Toni Servillo- Gorbaciòf, Charlot napoletano
Comico, coraggioso Gorbaciòf
È un trama fatta di silenzi quella a cui assiste lo spettatore di Gorbaciòf , dall’inizio alla fine del film. Poche le musiche di sottofondo, quasi assenti i dialoghi tra personaggi. Una bella storia d’amore sullo scenario di una Napoli cosmopolita e degradata, le cui vicende si costruiscono attraverso sguardi, cenni del capo e dialoghi tra sordomuti. In questo coro di silenzi è il personaggio di Marino Pacileo (interpretato dal mimetico Toni Servillo) con le sue gestualità eccezionali a farsi perno attorno al quale ruota l’intero film. Uscito nelle sale il 15 ottobre, Gorbaciòf è la settima regia firmata da Stefano Incerti – tra i suoi ultimi film ricordiamo “Complici del silenzio” (2009) e “L’uomo di vetro” (2007). Il regista, intervistato di recente da Radio Zammù, aveva definito il suo film come «la storia di un piccolo non eroe, di un uomo apparentemente comune, che vede cambiare la sua vita improvvisamente da quando decide di aiutare una giovane cameriera».
Una storia d’amore improbabile, dunque, per parlare di Napoli. Lui, Marino Pacileo – detto Gorbaciòf (pronunciato alla napoletana) per la vistosa voglia sulla fronte che ricorda quella dell’ex presidente dell’Unione Sovietica – è un contabile del carcere di Poggioreale con il vizio del gioco. Un uomo ermetico e dalle poche parole. Lei, Lila (Yang Mi), è la giovane figlia del proprietario di un ristorante cinese. Immersa in una realtà a cui è totalmente estranea, Lila si muove a tentoni per le strade di Napoli. Non parla l’italiano e tantomeno capisce il napoletano con il quale le si rivolgono i clienti del ristorante. E’ in balia di un destino i cui fili sono mossi dal padre (Al Yamanouchi), che arriva a contrarre debiti di gioco tali da rischiare di mettere in palio la stessa figlia. A quel punto per Gorbaciòf il gioco d’azzardo diventa l’unica possibilità attraverso la quale poter salvare Lila e riscattarla da una realtà che la vuole vittima silenziosa.
Poche e dense le pennellate con cui il regista ci restituisce il ritratto di questa Napoli multietnica e violenta: le bische clandestine che fanno da sfondo agli incontri tra Lila e Gorbaciòf, nel retrobottega scarsamente illuminato del ristorante; le scene di prepotenza di alcuni giovani napoletani, sulla metro e nel ristorante di Lila; pedinamenti, minacce e qualche rissa. Il tutto sapientemente equilibrato, dato che, come lo stesso Incerti ha affermato, “Gorbaciòf” non ha nulla del carattere documentaristico che caratterizzava “Gomorra”.
In questo universo di malefatte e di corruzione, il protagonista è un antieroe positivo. Ruba dalle casse del carcere e reinveste nel gioco per salvare la donna che ama. Un circolo vizioso che tuttavia lo porterà a una strada sneza ritorno. Toni Servillo è il protagonista indiscusso di questo film. Non ha bisogno di parlare, sono le rughe d’espressione che di volta in volta cambiano disegno sul suo volto a sostituire le parole. E questa immagine dalla camminata goffa, dalla giacca con la vita strettissima, non puà che suscitare un doppio effetto di comicità e dignità al tempo stesso. E’ un uomo normale, ma riesce a guadagnarsi il rispetto dei prepotenti con la sua sola forza e a difendere la donna amata. Una tigre, come la stessa Lila lo definisce, in un mondo in cui “in mancanza di tigri, le scimmie si elevano a tali, ma rimangono scimmie”.
Anche Lila, che spicca di continuo con i suoi abiti accesi in un realtà dalle tinte chiaroscure, comunica solo con la mimica, anche se non per scelta. I dialoghi tra lei e Gorbaciòf si compongono solo di sguardi e gesti. Eppure riescono ad emozionare lo spettatore meglio di come farebbero con le parole. I pochi momenti felici che i due trascorrono insieme, li vedono stupirsi e ridere di cose semplici come una vasca piena di pesci rossi o la corsa al galoppo di un carrello. Sono gli unici sorrisi che si aprono nei volti di entrambi quando si trovano in reciproca compagnia.
Il finale non è forse così eroico come lo spettatore potrebbe aspettarsi. Tuttavia è l’immagine delle mille espressioni di Toni Servillo a rappresentare il valore più riuscito del film e ad imprimersi nella memoria di tutti.