Come i Sanfilippo diffondevano la paura tra i campi Il ruolo del legale e del prete negli interessi del clan

Mazzarino non somiglia a Derry dei romanzi di Stephen King, anche se di scene raccapriccianti ne ha viste, ma un po’ ricorda la campagna lombarda di Alessandro Manzoni. Per la vocazione agricola, ma anche per i personaggi che la popolano. A leggere le carte dell’inchiesta Chimera della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta, ci si ritrovano dentro non solo i bravi al soldo dei tanti don Rodrigo che popolano la famiglia stiddara dei Sanfilippo, ma anche don Abbondio e l’Azzeccagarbugli, l’avvocato che come il prelato preferiva non avere grattacapi con i forti. Per il resto, le storie raccolte nell’indagine che ha azzerato il clan guidato dall’ergastolano Totò Sanfilippo non hanno nulla di lirico, mentre sono ricche di soprusi e miserie. In larga parte si svolgono tra i campi, dove gli uomini del clan imponevano la propria presenza con costanti angherie ai danni di braccianti e proprietari terrieri

«Circa tre anni fa, sono stato convocato dall’avvocato Nicastro il quale, in modo amichevole, mi rappresentava che avrei dovuto aiutare Liborio Sanfilippo». A parlare così, a fine 2017, è una delle tante vittime che, secondo gli inquirenti, avrebbe subito le estorsioni da parte dei Sanfilippo. Si presenta davanti ai carabinieri di Gela, accompagnato dal comandante della stazione di Mazzarino. La scelta del luogo non è casuale: c’è il timore che, se visto aggirarsi nei pressi della caserma del piccolo centro nisseno, l’uomo potrebbe finire nel mirino della cosca. Non senza ritrosia, ai militari spiega di gestire, insieme alla moglie, alcuni ettari di terreno di proprietà della parrocchia di Santa Maria della Neve. «Con il raccolto riesco a mantenere la mia famiglia», dice. A mettere gli occhi su quei campi, però, è anche Liborio Sanfilippo, uno dei tanti fratelli di Totò. L’uomo, che è stato arrestato insieme a larga parte dei parenti, vorrebbe entrarne in possesso non tanto per fare pascolare i propri animali ma per accaparrarsi, tramite l’intestazione alla figlia, i fondi dell’Unione europea. Perpetuando una delle frodi più remunerative della mafia

A veicolare il messaggio sarebbe stato l’avvocato Ridolfo Nicastro. Sessantasei anni, Nicastro è stato sospeso per un anno. Il gip, che non ha accolto la richiesta dei domiciliari presentata dalla procura, ritiene che il legale si sia reso responsabile della «mortificazione della professione forense che è stata asservita agli interessi» della consorteria mafiosa. «L’avvocato – ha rivelato la vittima dell’estorsione – mi riferiva che mi aveva convocato in quanto i terreni di proprietà della sua famiglia (Nicastro, ndr) non potevano essere concessi al Sanfilippo perché vi erano dei vincoli sui terreni e per questo motivo decideva di rivolgersi al sottoscritto per fare un favore». Poco dopo, nello studio dell’avvocato arriva Sanfilippo in persona. L’uomo promette che in cambio di due ettari, che poi diverranno quattro, i restanti terreni della coppia non subiranno i danni che periodicamente si verificano: l’invasione da parte del bestiame dei Sanfilippo, incuranti delle proprietà private. In realtà, si tratterà di una delle tante false rassicurazioni fatte dal mafioso, ma la vittima, già provata e in pensiero per le possibili ritorsioni, lo scoprirà soltanto dopo. 

Per formalizzare il passaggio da un affittuario all’altro, essendo i terreni di proprietà della Chiesa, c’è bisogno di coinvolgere il sacerdote (non indagato). A occuparsi degli aspetti burocratici sarebbe stato sempre Nicastro, mentre non è chiaro se Sanfilippo abbia avuto un ruolo. Quel che è certo è che quando i carabinieri, nel corso delle indagini, si presentano davanti al prelato non riescono a recuperare il contratto d’affitto. «L’acquisizione di tali contratti – si legge nell’ordinanza – avveniva solo all’esito dell’emissione di apposito decreto da parte di questa autorità giudiziaria, atteso l’immotivato e inspiegabile diniego opposto dal parroco a effettuare la consegna della documentazione richiesta. Pare del tutto verosimile – continua il giudice – che tale atteggiamento fosse teso a ostacolare le indagini o, comunque, a poter addurre giustificazioni al clan Sanfilippo».

Oltre a essere stato costretto a cedere i terreni, la vittima dell’estorsione ha dovuto convivere, così come tanti altri braccianti e proprietari agricoli, alle vessazioni del clan. In alcuni casi, i Sanfilippo avrebbero impedito di arare i terreni, per non perdere l’erba da far brucare ai propri capi di bestiame. La famiglia mafiosa sarebbe stata addirittura in grado di decidere «chi potesse abusivamente accedere nelle aree del demanio forestale regionale, al fine di commettere reati, quali il furto di legna». In una circostanza, le vittime delle estorsioni sono state convocate dai carabinieri nella speranza di convincerli a sporgere denuncia contro il clan. Anche in quel caso, però, il timore di andare incontro alla violenza dei Sanfilippo ha avuto la meglio. «Poi, certo, se la vede lui se si sta confessando», è uno dei commenti registrati dalle microspie installate nella sala d’attesa della caserma.

E c’è anche chi non è stato in grado di reggere la tensione. «In tono di supplica – si legge nella ricostruzione di un colloquio in caserma – (la vittima, ndr) domandava al maresciallo di desistere dall’eseguire il sopralluogo, in quanto temeva per la propria incolumità e per
quella dei suoi familiari. Sebbene venisse ulteriormente rassicurato, lo stesso continuava a manifestare un reale stato di malessere, al punto da cadere in terra colto da malore». L’uomo, in precedenza, aveva sporto denuncia nei confronti di alcuni soggetti vicini ai Sanfilippo ma, pochi giorni dopo, era stato avvicinato con un messaggio eloquente: «Come chiami di nuovo i carabinieri, ti massacriamo di botte così come i miei cugini hanno fatto con tuo padre». Parole chiare a cui era seguita la decisione di ritirare la denuncia.


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