Le indagini documentano gli assetti e le dinamiche criminali della famiglia mafiosa all’indomani dell’operazione Cupola 2.0. Due i fermi e due gli arresti eseguiti dai carabinieri. Tra questi c'è anche il presunto attuale reggente della cosca
Colpo al cuore del clan di Belmonte Mezzagno Blitz nella notte: smantellato il nuovo vertice
Blitz dei carabinieri nella notte dopo che la direzione distrettuale antimafia di Palermo ha emesso un fermo di indiziato di delitto nei confronti di due persone ritenute responsabili di associazione mafiosa. Contemporaneamente i militari hanno eseguito una ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip del tribunale di Palermo, nei confronti di altre due persone, già sottoposte agli arresti domiciliari, ritenute responsabili di estorsione aggravata dal metodo mafioso. In particolare le indagini hanno portato oggi al fermo di Salvatore Francesco Tumminia «ritenuto l’attuale reggente della famiglia mafiosa di Belmonte Mezzagno – spiega il comandante del reparto operativo dei carabinieri Mauro Carrozzo –. Le indagini sono iniziate all’indomani dell’operazione Cupola 2.0 del 4 dicembre 2018 con la quale abbiamo smantellato la riorganizzata commissione provinciale di Cosa nostra palermitana». Gli arrestati di questa nottee sono Antonino Tumminia e Stefano Casella mentre è stato fermato, oltre a Tumminia, anche Giuseppe Benigno.
Tutto parte dai giorni successivi l’arresto Filippo Bisconti, «all’epoca ritenuto al vertice del mandamento mafioso di Belmonte Mezzagno – continua Carrozzo – che pochi giorni ha deciso di collaborare con la giustizia. L’arresto e la collaborazione di Bisconti si può dire che abbiano determinato un cambio di gestione della risoluzione delle controversie interne alla famiglia mafiosa, vista l’assenza di gravi fatti di sangue sotto la sua gestione, quando queste venivano risolte con la diplomazia criminale. Da gennaio 2019 queste sono state invece risolte con la violenza tant’è che Belmonte Mezzagno è stato teatro di tre gravi fatti di sangue». In particolare, ricostruiscono i militari, il dieci gennaio dello scorso anno Vincenzo Greco è morto un agguato in tipico stile mafioso mentre rincasava dal lavoro nei campi. L’8 maggio 2019 il commercialista Antonio Di Liberto, poco dopo essere uscito di casa a bordo della propria autovettura, è stato freddato da una scarica di proiettili. Infine il 2 dicembre scorso due sicari, a bordo di uno scooter e travisati da caschi integrali, noncuranti della presenza di numerosissimi passanti, approfittando del traffico in una via del centro cittadino hanno sparato nove colpi di pistola contro l’auto condotta da Giuseppe Benigno, per poi darsi alla fuga. Per un caso fortuito, solamente due proiettili hanno colpito l’imprenditore alla spalla sinistra. Benigno nonostante le ferite, è riuscito a guidare la propria auto fino a raggiungere il pronto soccorso dell’ospedale Civico di Palermo. Lo stesso Benigno è stato raggiunto nella notte dal provvedimento restrittivo dopo che nei giorni successivi al plateale tentativo di omicidio in suo danno, si era dato alla fuga trovando rifugio presso alcuni parenti a Piubega, comune in provincia di Mantova, dove è stato rintracciato dai militari. Benigno è ritenuto interno alla famiglia mafiosa di Belmonte Mezzagno.
Le attività di indagine, che erano state focalizzate sul territorio belmontese già all’indomani dell’omicidio di Vincenzo Greco, hanno consentito, in tempi brevi, di ricostruire parte dell’organigramma della famiglia mafiosa di Belmonte Mezzagno individuando l’uomo che, secondo i carabinieri, ne avrebbe assunto il vertice: Tumminia, da poco tornato in libertà dopo essere stato condannato per associazione mafiosa a seguito dell’operazione Perseo (16 dicembre 2008). Tumminia secondo quanto ricostruito dai militari avrebbe accentrato il potere nelle proprie mani gestendo il settore delle estorsioni, infiltrandosi nelle istituzioni sane della città e ponendosi quale punto di riferimento per i propri sodali e per i propri concittadini per la risoluzione delle problematiche più svariate. In particolare avrebbe gestito una controversia sorta a seguito di una richiesta estorsiva formulata nei riguardi di un artigiano. Le intercettazioni facevano emergere le lamentele dell’artigiano che, dopo aver raccontato al fratello di aver ricevuto un pizzino contenente la pretesa estorsiva e le connesse minacce di morte e del presunto coinvolgimento in tale vicenda di Stefano Casella e Antonino Tumminia (entrambi destinatari della una misura cautelare in carcere), si sarebbe rivolto al capo famiglia affinché intervenisse per evitargli il pagamento del pizzo.
Poi c’è un altro episodio, tra gli alti degno di nota ovvero il presunto condizionamento del locale Dipartimento Regionale Sviluppo Rurale e Territoriale – ufficio servizio per il territorio di Palermo, che dipende dall’Assessorato Regionale dell’agricoltura, dello sviluppo rurale e della pesca mediterranea. Secondo quanto ricostruito dai carabinieri «in relazione alle interferenze di Salvatore Francesco Tumminia quale capo famiglia del sodalizio mafioso di Belmonte Mezzagno, nel regolare svolgimento del cantiere della forestale operativo nella zona – spiega il capitano Gaetano Borgese, comandante della terza sezione del nucleo investigativo – c’è da dire che il capo famiglia,con pressioni fisiche e morali su alcuni dipendenti che avevano ruoli di vertice sul resto dei dipendenti stagionali, imponeva loro particolari turni di servizio e la composizione delle squadre in modo tale che i lavoratori più vicini a Tumminia fossero favoriti: ricevendo mansioni meno impegnative, compiti più leggeri o che comunque gli assicurassero una certa libertà per poter restare a disposizione del capo famiglia. Tumminia andava addirittura al cantiere della forestale pur non avendo alcun titolo».