«E' impensabile laurearsi a 29 anni e pretendere che, scrivendo sul proprio biglietto da visita il titolo di ingegnere, tutte le porte si aprano». La storia di Claudio Cherubino, giovane siciliano che oggi vive negli Stati Uniti e fa il Developer Programs Engineer, porta un argomento al viceministro Martone. Ve la raccontiamo in questa intervista
Claudio, un ingegnere catanese a Google «Il mio consiglio: Laurearsi presto e bene»
Giovane, catanese e laureato. Ha studiato all’Università etnea ma oggi vive a Mountain View, in California, e lavora per Google. E quando, stupiti, gli chiedono come abbia fatto, lui risponde: «Nulla in particolare. Se non provare a fare il lavoro che mi piace davvero, piuttosto che accontentarmi di trovare un lavoro e basta».
E sì, perché dalla laurea in ingegneria ad oggi Claudio Cherubino non si è fermato un attimo. Già durante gli anni dell’università si era dato da fare. Poi la laurea nel 2004 e la prima esperienza lavorativa in proprio. Una piccola impresa che si occupava di consulenza informatica. «Le cose non andavano male ma non ero pienamente soddisfatto», racconta Claudio che negli anni a seguire ha poi lavorato per diverse aziende, sia pubbliche che private. «Il lavoro non mi è mai mancato – dice – e ad andarmene sono sempre stato io. Cercavo qualcosa di stimolante, che mi appassionasse davvero. A lavoro passiamo otto ore, se non più, della nostra giornata. Provare a impiegarle facendo quello che mi piace è sempre stata una mia prerogativa». Così nel 2007 arriva la collaborazione con l’Istituto nazionale di Fisica nucleare di Catania che, tramite il progetto Grid computing lo porta a viaggiare dal capoluogo etneo all’America Latina. «Il lavoro mi piaceva. Ma ben presto ho capito che la realtà pubblica italiana non faceva per me. C’erano situazioni che non mi quadravano per come erano gestite le assunzioni e i ruoli là dentro. Quindi ho lasciato». Determinato, ambizioso ma soprattutto preparato, nel 2010 Claudio viene assunto da Google. Trascorre un anno a Londra, poi il trasferimento negli Stati Uniti dove tutt’ora vive e lavora.
Non uno dei tanti cervelli italiani in fuga, quindi, ma un giovane professionista che da sempre ha avuto ben chiaro il suo obiettivo. E ha lavorato per raggiungerlo. «E’ vero che l’Università in Italia funziona male, che la crisi sta cancellando tutte le speranze lavorative dei giovani. Ma è vero anche che i ragazzi, spesso, non si impegnano abbastanza – dice – E’ impensabile laurearsi a 29 anni e pretendere che, scrivendo sul proprio biglietto da visita il titolo di ingegnere, tutte le porte si aprano. Bisogna metterci del proprio, sforzarsi di fare bene e presto». Laurearsi in tempo, iniziare a lavorare da subito, se non mentre si studia, imparare l’inglese ed essere disposti a spostarsi. Questi, secondo Claudio, sono i primi passi che conducono al successo professionale. «All’estero i giovani si laureano molto prima. L’università dura appena tre anni, poi subito il lavoro. I ragazzi escono di casa a 18 anni e vanno a vivere da soli. Qua non è così. Anzi, cambiare città per lavoro viene visto come un sacrificio», sostiene Claudio che, dal canto suo, a fare la valigia per seguire la propria passione professionale non ci ha pensato un attimo.
E quando gli chiediamo se tornerebbe a casa per fare il suo lavoro, risponde: «Apprezzo quelli che restano a Catania per migliorarla. Non capisco, invece, quelli che restano e si lamentano. Certo, mi mancano parenti e amici ma della città nulla. Perché so che tornando non potrei fare quello che faccio adesso». Il developer programs engineer. «Un ruolo a metà – spiega – Mi occupo di sviluppare programmi ma faccio anche l’advocacy. Ovvero incontro comunità di sviluppatori esterni (università, aziende, startup) che vogliono utilizzare gli strumenti di Google e illustro loro tutte le potenzialità».
Di lasciare il posto, però, questa volta Claudio non ha nessuna intenzione. «Ho sempre sentito la spinta a fare di più. E far parte di qualcosa di grande come Google è il sogno di sempre che si realizza. Al momento non riesco a immaginarmi altrove. Qua si lavora bene e l’ambiente è molto stimolante. L’azienda spinge tutti a pensare in grande e qualunque cosa fai di buono viene premiata. A differenza delle mie esperienze lavorative in Italia, posso dire che la meritocrazia esiste. Resto qua».