L'editore e condirettore del quotidiano La Sicilia è stato rinviato a giudizio questa mattina. La decisione è stata presa dalla giudice per l'udienza preliminare Loredana Pezzino, dopo che la Cassazione aveva annullato con rinvio la decisione di non luogo a procedere formulata in un primo momento
Ciancio a processo per concorso esterno alla mafia La prima udienza a Catania si terrà a marzo 2018
Mario Ciancio Sanfilippo è stato rinviato a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa. È la decisione presa stamattina dalla giudice per l’udienza preliminare Loredana Pezzino, il cui pronunciamento sull’editore e condirettore del quotidiano La Sicilia era atteso da mesi. Il processo, dunque, si farà. E comincerà il 20 marzo 2018 di fronte alla prima sezione penale del tribunale di Catania. «È un rinvio a giudizio che non mi stupisce – dichiara Mario Ciancio Sanfilippo all’agenzia giornalistica Ansa – La mia assoluta estraneità ai fatti che mi vengono contestati è nelle indagini dei carabinieri del Ros. Sarebbe bastato leggerle per decidere diversamente».
Prima di Pezzino, sull’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa all’imprenditore si era già espressa la togata Gaetana Bernabò Di Stefano. La giudice che, a pochi giorni dal Natale 2015, aveva prosciolto Ciancio. Nelle motivazioni, depositate in cancelleria alcuni mesi dopo, veniva messa in discussione anche l’esistenza del reato stesso, tra errori e punti oscuri. Posizione non condivisa dal capo dell’ufficio gip di Catania, Nunzio Sarpietro, che ha pubblicamente criticato la scelta della collega affermando, senza giri di parole, che quella di Bernabò Di Stefano era una sua valutazione personale non condivisa negli uffici di piazza Giovanni Verga.
Di fatto a ribaltare tutto è stata la corte di Cassazione. Dopo il ricorso della procura di Catania e di Goffredo D’Antona, avvocato che si occupa della posizione dei fratelli Gerlando e Dario Montana. Entrambi costituitisi parti civili per il fratello Beppe, commissario di polizia vittima della mafia a cui Ciancio negò la pubblicazione di un necrologio sul suo quotidiano. I giudici ermellini annullano a settembre 2016 con rinvio alla fase preliminare da assegnare a un nuovo giudice, riaprendo di fatto il caso.
Così si arriva a metà gennaio e all’inizio della fase che si è chiusa oggi. Senza che Mario Ciancio Sanfilippo si sia mai fatto vedere in aula. Al suo posto hanno sempre preso la parola i suoi legali: da un lato il catanese Carmelo Peluso, dall’altro Francesco Colotti, dello studio legale Bongiorno. Ma è stata proprio l’avvocata palermitana Giulia Bongiorno uno dei colpi di scena riservati dalle udienze preliminari. Era stata lei, il 27 aprile 2017, a presentarsi a sorpresa in tribunale e a monopolizzare l’attenzione nel corso di un’arringa durata quasi due ore.
«Ho esaminato la posizione dei pentiti, tutti vicini ai Santapaola – spiegava a margine dell’udienza -. Avrebbero dovuto mettere nero su bianco i rapporti tra la mafia e Ciancio ma in realtà nessuno di loro ha fatto cenno a fatti specifici. Si tratta solo di vaghe dichiarazioni». «Un pettegolezzo generico di un collaboratore di giustizia è soltanto una non prova», continuava quel giorno Bongiorno. Le sue parole, però, non sarebbero bastate a convincere la giudice Pezzino. Che oggi ha messo un nuovo punto fermo su questa storia. In attesa che, tra poco più di un anno, si torni in tribunale.
L’imprenditore, intanto, non nasconde quello che definisce «un moto di indignazione» per via di «una ricostruzione fantasiosa e ricca di errori e di equivoci – aggiunge all’Ansa – che ha deformato cinquant’anni della mia storia umana, professionale e imprenditoriale, alterando fatti, circostanze ed episodi, sostituendo la verità con il sospetto». E, precisando la sua «piena fiducia nell’operato della magistratura», aggiunge una previsione: «Non ho dubbi che sarò assolto da ogni addebito. Sono pronto a difendermi con determinazione, continuerò serenamente a lavorare mentre i miei legali riproporranno con pazienza tutte le innumerevoli argomentazioni a sostegno della mia innocenza. Anche se i tempi si dilateranno – sottolinea – riuscirò a dimostrare chiaramente il grave errore consumato con questo rinvio a giudizio»