Chi è Salvatore Campo, il presunto estorsore antiracket Quando diceva: «Nel movimento mele marce inevitabili»

«Quando un movimento cresce a dismisura,
inevitabilmente si formano delle mele marce all’interno. È questo il problema: quando alle associazioni antiracket non si dà nemmeno una lira, non mi si può chiedere di cacciare fuori i soldi di tasca mia perché sarebbe una cosa assurda. Mi sono spiegato?». È questo il sunto di un discorso fatto da Salvatore Campo, il presidente dell’associazione antiestorsione A.Si.A. che da ieri è indagato con le accuse di estorsione continuata, peculato e falso ideologico. L’occasione è un incontro organizzato alla sede etnea dell’Ars dal Movimento 5 stelle per presentare la norma che istituisce paletti più severi per l’accesso al fondo antiracket della Regione, nell’ottobre dello scorso anno. Periodo che rientra già nell’arco temporale monitorato dall’inchiesta che ha portato ieri al suo arresto. 

L’associazione presieduta da Campo per anni è stata nell’elenco della prefettura di Catania, che ha il ruolo di controllare e certificare i membri e l’operato di queste realtà. Ritirato dal portale online ufficiale durante lo scorso
mese di maggiol’ufficio territoriale etneo non ha ancora provveduto alla ripubblicazione dell’albo aggiornato, come segnalato da questa testata proprio il giorno prima dell’operazione My racket. Durante la conferenza stampa sono i finanzieri a dare il numero delle associazioni iscritte nel registro prefettizio: sarebbero sette. «Alcune associazioni sono ancora con il punto interrogativo e stiamo valutando. Alcune di quelle che c’erano in precedenza sono state escluse», aveva detto lunedì scorso la viceprefetta Rosamaria Monea a MeridioNews

Oltre che nella lista prefettizia,
A.Si.A è presente anche nell’elenco delle associazioni antiracket e antiusura della Regione siciliana aggiornato al 13 marzo scorso. È dai documenti dell’ente regionale che si evince che i fondi avuti sarebbero superiori rispetto a quelli dichiarati da Campo nel suo intervento: nel 2017, infatti, risulta che l’associazione ha fatto richiesta alla Regione per 26.950 euro e l’impegno per l’elargizione è stato di 17.882,70 euro. Per l’anno precedente risulta uno stanziamento di 25.882,00 euro. Nell’ambito dell’operazione di ieri è di 37mila euro il totale dei fondi pubblici sequestrati che sono costati a Campo l’accusa anche di peculato. 

Una figura storica nel panorama delle associazioni antiestorsione etnee, Campo è socio dell’Asaec già dalla sua nascita nel 1991. «Lo abbiamo allontanato dopo pochi anni di attività – racconta Linda Russo, socia fondatrice dell’associazione che oggi conta una settantina di iscritti – già nella seconda metà degli anni ’90». Il motivo è semplice: «Aveva dei comportamenti che non condividevamo, in particolare tendeva sempre a voler seguire da solo e per conto suo i casi degli imprenditori che si avvicinano a noi per chiedere sostegno. In poche parole – aggiunge Russo che ricorda ancora le prime riunioni fatte nel suo negozio di arredamento – già allora aveva un’idea privatistica dell’associazione». 

Allontanato dall’Aseac, poco dopo è a Giarre che Campo fonda la sua di associazione. «La cosa che trovo assurda è che nessuno sia venuto da noi a chiedere perché se ne fosse andato», dice Russo poco stupita dei risultati investigativi venuti fuori ieri. «Le cose si sanno prima che arrivino le prove a darne conferma e, purtroppo – sostiene – so che questo non è un caso isolato anche se non si può fare di tutta l’erba un fascio. Le prefetture prima avevano un ruolo di controllo che, negli ultimi anni, non si capisce più bene come venga svolto», lamenta. L’Asaec ha già annunciato che, se si arrivasse a processo, si costituirebbe parte civile «perché un modus operandi del genere distrugge tutto il lavoro fatto anche da realtà serie e affidabili». 

C’è proprio l’
Asaec, per esempio, dietro alla proposta del disegno di legge regionale – oggi diventato legge – che restringe i criteri con cui le associazioni possono richiedere finanziamenti pubblici. «Abbiamo sempre denunciato la pericolosità che un ingente fiume di denaro avrebbe comportato nell’azione associativa antiracket – spiega il presidente di Asaec Nicola Grassi – compromettendone la purezza volontaria e gratuita. Usciti dalla Fai, abbiamo rinunciato a dubbie reti regionali, rifiutando di accedere a ogni tipo di finanziamento pubblico. C’è molto lavoro da fare – aggiunge Grassi – le denunce sono in calo e questo ci impone seriamente una riflessione sull’efficacia dell’azione antiracket».


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