«Che bello, tanti visi e tanto sole»

Che sarebbe stata una bella manifestazione, l’avevamo capito sin dal primissimo pomeriggio, da quando, salendo sulla metro, destinazione Piazza del Popolo, veniamo catapultati in un universo colorato, fatto di pensionati traballanti con il viso allegro da italiani in gita e di giovanissimi fluorescenti che non hanno la kefiah intorno al collo, con cui ci siamo abituati a vederli ad ogni manifestazione, ma la Repubblica sotto il braccio. Un giornale come una bandiera.

L’atmosfera serena, rilassata e “gioiosa”, come ci dirà più tardi Alessandra Longo, firma storica di Repubblica, è confermata al nostro arrivo in piazza. Sono appena le 14 e 30 (l’inizio della manifestazione è previsto per le 16), ma sono già moltissimi i presenti. Mentre sul palco prova l’Orchestra di Piazza Vittorio, a cui è affidato il primo intervento musicale del pomeriggio, in tanti affollano lo stand de L’Unità per comprare la maglietta “Adesso denuncia anche me”, o fanno la fila alla postazione web allestita da Repubblica.it per permettere ai partecipanti di lasciare un messaggio sul sito in tempo reale.

Il cielo sopra Piazza del Popolo è molto più che azzurro, oggi. E’ rosso, verde, bianco, giallo come le decine di bandiere e palloncini, targati soprattutto CGIL e Pd, che lo affollano. Gli slogan sono moltissimi, stampati a caratteri cubitali sugli striscioni ai lati della piazza. “La cultura è una risorsa”, “Le notizie non si coprono col cerone”, “Sapere per contare”, “Diritto di sapere, Dovere di informare” (sul palco).

La frase più bella, però, è contenuta nel cartellone issato dai giornalisti de L’Unità. C’è la foto di Gramsci e vi si leggono le parole che rappresentano non solo lo spirito del giornale, ma anche quello, c’è da scommetterci, delle migliaia di persone accorse, e cioè: “Odio gli indifferenti”. Perché nessuno di quelli venuti qui a Piazza del Popolo, oggi, 3 ottobre 2009, è indifferente. Non lo sono i ragazzi arrivati da lontano, dal Nord Italia, che hanno viaggiato ore in treno per poter venire qui a dire che “appoggiamo la causa e vorremmo che l’opposizione si svegliasse”. Non lo è Isabella, la simpatica ed energica attivista del Pd che non usa mezzi termini e ci dice di essere “incazzata nera” con quelli del suo partito, per come hanno gestito l’affaire Letizia prima e la vicenda D’Addario poi, ma anche perché “il partito è riuscito a dividersi anche qui” (quelli della mozione Marino occupano infatti uno stand diverso, dalla parte opposta della piazza, anche se lì ci dicono che la decisione è dovuta agli organizzatori). Ma più che discutere di scontri intestini, ancora, oggi a Roma la gente ha voglia di rivendicare il suo diritto ad essere informata. E questo è infatti quello che confermano i primi interventi del pomeriggio. Dopo il presentatore, Andrea Vianello, (“Salve, sono un giornalista e noi vogliamo solo fare il nostro mestiere”), salgono sul palco Siddi, segretario della Fnsi (“Non la rabbia, ma la consapevolezza ci può ancora salvare”) e soprattutto Roberto Saviano, blindatissimo. Il suo discorso, breve per ragioni di sicurezza, è il più applaudito e anche il più toccante. “Per me, che non sono abituato – comincia così – è bellissimo vedere tanti visi e tanto sole. In questi giorni si è parlato molto di libertà di stampa. Quando mi hanno chiesto se è possibile che si manifesti per la libertà di stampa in Italia oggi, ho risposto che la libertà di stampa per cui stiamo combattendo è la possibilità di raccontare senza doversi aspettare ritorsioni. C’è una parte del paese che ha necessità della massima libertà di espressione”. Scalda gli animi facendo riferimento alla vicenda di alcuni giornalisti uccisi per aver fatto il loro lavoro, come la Anna Politkovskaja rappresentata in più di una foto in piazza, e dice che “compromettere la libertà di stampa vuol dire compromettere il loro lavoro”. Saviano conclude parlando del recente disastro di Messina: “Quello che è successo lì è frutto del cemento, non della natura. Se si permettesse a chi scrive di rispondere solo alla qualità delle proprie parole, molto probabilmente la parola potrebbe evitare catastrofi del genere. Tutto quello che sta accadendo in questi giorni dimostra che verità e potere non coincidono mai”. Lascia il palco accerchiato repentinamente dagli uomini della sua scorta, tra gli applausi scroscianti della folla che scandisce il suo nome e che canta “siamo tutti farabutti”.

Vianello torna sul palco ed elenca i nomi di tutti i giornalisti, personaggi, associazioni e giornali che hanno aderito alla manifestazione. L’elenco si allungherà di ora in ora. Alcuni nomi: Striscia la notizia, il Tg2, il Tg3, il Messaggero, Libera. I personaggi accorsi poi sono moltissimi: Monica Guerritore, Paola Cortellesi, Stefania Sandrelli con tutta la famiglia, Jasmine Trinca, Gianni Minà, Furio Colombo…

Gli interventi musicali sono affidati a Teresa De Sio, Marina Rei (che canta La Libertà, di Gaber) , Nichy Nikolai e Simone Cristicchi, cui va il premio della battuta più divertente: appena salito sul palco esclama: “Sono qui per una comunicazione di servizio, c’è da spostare un’auto targata Bari parcheggiata davanti a Palazzo Grazioli”.

È quindi la volta di Sergio Lepri, splendido 90enne ex direttore dell’Ansa, che ricorda: “Sono cresciuto sotto il fascismo e so bene cosa significa una stampa asservita al potere, so bene cosa vuol dire ascoltare una sola voce e non poter far sentire la propria. Nella Costituzione abbiamo un articolo bellissimo, l’articolo 21, ma esso non basta a difendere la libertà dei giornalisti di svolgere il proprio lavoro in maniera onesta ed imparziale. Abbiamo ancora spazi di libertà, anche se c’è in Parlamento una proposta per modificare l’articolo 21, ma c’è questa piazza e il grido che da qui si leva. Impegniamoci tutti per evitare che si soffochino le voci libere. Questo grido vada a tutte le piazze d’Italia”. Ovazione. La folla, se possibile, nel frattempo si è moltiplicata e ormai occupa tutto lo spazio possibile, da Via del Corso a Piazzale Flaminio, fin su a Ponte Margherita. “Partecipazione sorprendente”, diranno in serata gli stessi organizzatori.

Ma non si parla solo di libertà di stampa. Viene lasciato spazio anche all’urlo di rabbia dei precari della scuola che occupano con i loro striscioni la terrazza del Pincio. Una di loro sale sul palco per chiedere “il ritiro dei tagli, più finanziamenti alla scuola pubblica, rispetto delle diversità culturali”, in definitiva “le dimissioni immediate del ministro Gelmini”. La piazza è con lei, anzi con loro.

Si torna però sul tema centrale della manifestazione. Vianello invita sul palco il direttore di Reporters sans Frontieres, che dice: “al Parlamento Europeo sta per essere avviato un dibattito sulla libertà di stampa in Italia, ma, ricordate (ricordiamo) che la soluzione deve venire da voi, non da altri. You are not alone”. Quindi è il turno di uno dei nostri attori cosiddetti satirici più amati dal pubblico, che infatti lo saluta affettuosamente, Neri Marcorè. “Siamo in un regime di libertà vigilata”, questo l’incipit, “e in trasmissione (Parla con me) stiamo tutti studiando il codice penale per evitare di commettere reati inconsapevolmente con una battuta. Siamo qui a chiedere un diritto, non un privilegio”, continua. “Non dobbiamo avere paura, dobbiamo continuare ad urlare il nostro non sono d’accordo”. Termina l’intervento leggendo un brano di Alexis de Tocqueville, La democrazia in America: “La nazione che chiede solo sicurezza al suo governo, è già schiava del suo benessere, e da un momento all’altro arriverà l’uomo che si preoccuperà di asservirla”.

Infine, non potevano certo mancare i riferimenti alla vicenda Feltri- Boffo. Prende la parola un giornalista de L’Avvenire, Eugenio Faticante, e fa arrivare a Boffo la solidarietà di tutta la piazza. Quindi viene letta la lettera di don Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana, “Chi avrebbe mai detto che anche Famiglia Cristiana sarebbe finito nella lista di nemici?”, scherza Vianello. Sciortino va dritto al punto: “Questo paese necessita di una stampa critica. La stampa non è lo zerbino del potere.”

Sono da poco passate le 20 quando questa “festa dei cittadini”, come l’ha definita Ezio Mauro, finisce con la folla, ancora numerosa, evidentemente non stanca, ma, a questo punto felice di esserci stata, balla sulle note de Il Pescatore suonata da Enrico Capuano.


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