«No alla violenza sulle donne». «No al linguaggio sessista». «Abbasso il Patriarcato». Sono tra i messaggi scritti nei cartelli tenuti in alto e agitati dagli uomini della Cgil Catania: una ventina di segretari del sindacato etneo che ha dato vita al flash mob durante l’iniziativa di preparazione della manifestazione nazionale del 7 ottobre a Roma. Presente a Catania anche la segretaria nazionale Lara Ghiglione. Un modo per legare gli insegnamenti della Costituzione ai diritti delle donne: tema caldo in Sicilia dopo lo stupro di Palermo e il femminicidio del Trapanese, il quinto sull’Isola, tra i 77 casi in Italia.
Ad aprire i lavori è stata Elvira Morana, responsabile per le Politiche di genere della Cgil Sicilia, che ha sottolineato come in Sicilia lavori appena il 30 per cento delle donne, spesso precarie, e con una differenza di 24,4 punti percentuali rispetto all’occupazione maschile. «Ci vuole un’azione sistemica di genere che intersechi tutti i settori – spiega Morana – Formazione, sanità, sociale, transizione ecologica, welfare. Se si vuole assicurare il futuro della regione, bisogna assicurare alle donne un ruolo centrale nei processo di sviluppo. Le donne possono fare la differenza».
«La lotta alla violenza sulle donne parte prima di tutto da una nuova consapevolezza maschile che deve attraversare le nostre famiglie, le nostre scuole, i nostri pensieri», dice Carmelo De Caudo, segretario generale della Cgil di Catania. Un tema che interseca naturalmente quello del lavoro, la cui mancanza è spesso tra i motivi principali di mancati allontanamenti da uomini violenti e denunce. «Da oltre 20 anni, si è avviato un processo di regressione in termini di perdita delle conquiste normative e legislative nel mondo del lavoro e in termini di uguaglianza e parità di diritti», spiega nella sua relazione Rosaria Leonardi, segretaria confederale etnea. Che ha esposto i dati sulla situazione occupazionale femminile a Catania, più grave della già non rosea media regionale con solo il 27,3 per cento delle donne tra 20 e 64 anni occupate. A preoccupare però è il 67 per cento delle inattive, cioè di quante catanesi non cercano ufficialmente lavoro.
Unica nota a prima vista positiva è il tasso di disoccupazione al 16,3 per cento, più basso rispetto al 2022: parziale ottimismo subito frenato dal dato sulle tipologie del lavoro femminile esistente. Per lo più part time involontario (26,3 per cento), contratti precari (21 per cento), una differenza di stipendio nel settore privato pari al 33 per cento, una percentuale di giovani donne tra i 15 e i 34 anni che non studiano né lavoro pari al 53,3 per cento, di cui il 16 per cento laureate. Dati che non tengono conto, ricorda Leonardi, «delle tantissime donne che lavorano in nero, nel sommerso e nell’irregolarità, nonché del tanto lavoro di cura in famiglia non riconosciuto socialmente». Problemi che avrebbero anche delle soluzioni: migliori servizi pubblici, più asili nido con rette di compartecipazione minime, consultori potenziati, medicina del territorio.
I lavori sono stati chiusi dalla segretaria nazionale Cgil Lara Ghiglione, che detta la linea: «C’è una cultura del possesso radicata. Bisogna investire sul lavoro, sulla partecipazione delle donne alla vita sociale, politica, ed economica del paese – spiega – L’emarginazione e la discriminazione delle donne sono la base che determina l’escalation, anche di violenza. La Cgil è in campo proprio per determinare un cambiamento culturale e sostanziale nella vita delle donne». «»
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