Aspettative non corrisposte

Il tour di Lou Reed in quest’inizio 2006 è stato contraddistinto sinora da concerti il cui livello qualitativo non è stato costante, i meglio riusciti sono quelli eseguiti nei teatri. Non ho assistito al concerto di Catania, quindi non mi pronuncio in merito, ma ritengo indispensabile ricordare alcune cose d’importanza non marginale che possono contribuire a fornire una chiave di lettura. Infatti, leggendo gli articoli ed i commenti comparsi nel forum di Step1, risulta chiaro che l’oggetto del contendere non ha tenuto conto di alcuni dati di fatto, ormai assodati da tempo.

Come ha ben ricordato qualcuno, la vostra discussione ha riguardato soprattutto una questione di aspettative. Da molti anni Reed segue un proprio percorso, affermato nei testi ancor prima che nella musica, e non è colpa sua se la maggior parte delle persone sono a conoscenza più di “Sweet
Jane”, “Heroin” o “Walk on the wild side” e non di altri suoi gioielli meno conosciuti e non celebrati nelle enciclopedie del rock. Ritengo quindi fuori luogo aspettarsi (desiderare è altro) che lui ora le esegua, e che sia ciò a determinare o meno la soddisfazione dei presenti.

Reed è infinitamente avanti rispetto al periodo dei Velvet Underground o di Transformer, è infinitamente avanti dal punto di vista ” umano “, e i suoi brani hanno assunto sempre più una
valenza universale, non contestualizzabile, il che è cosa tutt’altro che marginale. Provo a spiegarmi ricorrendo a qualche esempio:
1) ” Waiting for my man ” descriveva la realtà di chi attende uno spacciatore per procurarsi la dose, ” Heroin ” con algidità e coinvolgimento descriveva un ” viaggio ” come nessun altra canzone è stata in grado di fare, il concept album ” Berlin ” narrava il contatto con la morte attraverso gli occhi d’una coppia tossicodipendente.
2) Nel 1992, quando viene pubblicato” Magic an loss ” ( dedicato a due persone care morte per cancro ), il tema della morte e della perdita viene affrontato in un contesto che può vedere
protagonista ognun* di noi. Solo due anni prima in New York trattava di AIDS, senzatetto, razzismo, abuso minorile…
3) Sino a giungere a oggi, a quella ” Who am I “, da ” The Raven”, punto finale d’un percorso iniziato dai brani citati al punto 1, scritti con una dose d’eroina in tasca ( ma assolutamente non in
virtù di questa ), e la realtà warholiana a far da parete. Who am I, brano semplicemente trascendentale ( consiglio vivamente la lettura del testo ), e per nulla stupisce che l’artista si dica
interessato al buddismo.

Perciò, tornando al discorso delle aspettative, su quale base chiedere oggi l’esecuzione dei vecchi brani (pardon dei suoi Hits: l’eseguita ” Street Hassle ” non è proprio di primo pelo ), che lo farebbero sembrare la parodia di sé stesso ? Esiste qualcuno che durante il periodo cubista di Picasso avrebbe chiesto al genio spagnolo un quadro collocabile nel periodo blu? Ne dubito proprio ( è un esempio, ma credo renda l’idea ). Vi sono artisti che ripetono sé stessi all’infinito, vedi un concerto di Paul Mc Cartney o Simon & Garfunkel, e artisti che si evolvono, umanamente e nella sostanza prima che nella forma.

In merito poi alla forma ed ai richiami a stilemi rock, non ritengo che l’energia dipenda dal movimento sul palco, e ciò non vale solo per quello che da tempo non è più “Mr. Rock’n’roll animal”. Esistono musicisti che trasmettono una notevole energia pur da fermi – e qui cito un concerto di Jeff Beck a Pistoia, dove il corpo sembrava una statua con le sole mani in movimento – e musicisti che pur dimenandosi sul palco non coinvolgono per niente ( chiaramente non alludo al salto e la roteazione del braccio a mo’ di compasso d’un Pete Townshend o Hendrix quando sul palco del Festival di Monterey dà fuoco alla chitarra ). Sarebbe il caso di distinguere tra energia fisica ed energia mentale: Lou Reed sul palco trasmette precipuamente questa seconda. Tranne qualche comica esibizione corporea durante il tour di ” Rock’n’roll animal “, o durante le colloquiali ( non solo) serate al Bottom Line di New York immortalate in ” Take no prisoner “, l’artista newyorkese è sempre stato schivo, quasi guardingo, l’antitesi di uno Springsteen, tanto per dare un’idea.
E quando in un concerto pisano sentii uscire dalla sua bocca ” I love more than you’ll ever know ” (vi amo più di quanto mai voi saprete) quelle parole rappresentarono la quadratura del cerchio riguardo al rapporto fra lui e i suoi fans, i suoi estimatori, spettatori etc…

Questo atteggiamento è confermato anche dal suo porsi in modo disponibile verso chi ne ha capito l’opera e dalla chiusura e diffidenza verso quella parte ( non esigua ) di mondo giornalistico che gli ripropone le stesse domande trite e ritrite, sugli anni che furono, quando non peggio.

Non voglio con queste righe fare l’apologia di Mr. N.Y. city man. Difetti ne ha, come tutti e anche più. E tanto per fare un esempio rimanendo sul tour in questione, una cosa che fatico a perdonargli è il ridurre la chitarra di Rathke a pura gregaria, e questo ancor più dopo avere assistito a loro duetti di tutto rilievo; o quella dimostrazione dell’insegnante ( scusatemi, ma non riesco a chiamarlo maestro ) di Tai Chi, persona che ci parli assieme e sembra un distributore di depliants dei propri corsi.

Penso che una cosa non trascurabile, riguardo al concerto di Catania, è che esso non si è svolto in un teatro: l’atmosfera ne avrebbe risentito positivamente, al di là della pura questione dell’acustica del luogo. Un concerto che, stringi stringi, mi sembra sia stato più apprezzato, e non per nostalgia, da un pubblico maturo; mentre quello più giovane è rimasto condizionato dalle aspettative non corrisposte. Ciò viene espresso benissimo nelle seguenti parole ( di Vale – Valeria ):
——
“Noi giovani ci aspettiamo che il rock sia sempre un tipo di musica “da sudare”, che ci catturi e ci faccia scuotere dentro e anche fuori, dalla testa ai piedi. Ci aspettiamo un coinvolgimento a 360°. E questo coinvolgimento è ancora più importante e atteso per noi, quando davanti ci troviamo un Lou Reed o un Eric Clapton o un Mick Jagger, pietre miliari della storia del rock e miti viventi di oggi. A proposito dell’ultimo che ho citato, mi sembra che riesca a coinvolgere bene ancora oggi giovani e vecchi fans. Mi riferisco in particolare agli ultimi recenti concerti in Brasile: il numero enorme di persone che erano presenti ai live si commenta da solo (mi sono limitata a vedere le notizie sui
tg nazionali).”
——
Parole alle quali mi permetto, senza voler essere presuntuoso, di aggiungere che il recente concerto dei Rolling Stones in Brasile era gratuito ( essendo lì ci sarei andato anch’io ), che Jagger e soci riscaldano ormai da anni la stessa minestra cambiando etichetta sulla lattina, e qualche volta viene loro pure acida ( vedi l’ultimo album in studio ), che il signor Jagger gira per il mondo in aereo per curare i propri affari ( vedi alla voce: money ), che gli Stones, pur se l’energia non latita affatto ( in questo caso fisica, non mentale ), infarciscono i loro concerti di effetti speciali a go-gò, fuochi d’artificio ed affini. In pratica l’esatto opposto di Lou Reed.

Dopo aver tratto giovamento dal mostrarsi ribelli, i Rolling Stones diedero alle stampe un disco dal titolo ” It’s only rock’n’roll “, frase che riassume benissimo il loro credo: l’esatto opposto di quello del protagonista del recente concerto catanese. Ho usato questo esempio per chiamare in causa due semplicissime parole: forma e sostanza, e m’auguro che esse possano essere uno spunto di riflessione.

Concludo così, sperando d’aver portato qualche elemento utile alla vostra discussione.


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