Al citofono le targhette portano i nomi di Peppino Impastato, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino, Libero Grassi, Pio La Torre. Solo che l’immobile che ricorda le figure di coloro che hanno dato la propria vita nella lotta alla mafia non è un immobile qualunque: è una villa di 400 metri quadri, a Casteldaccia, che è appartenuta a uno dei boss più sanguinari di Cosa nostra, quel Michele Greco, detto il papa, che da uno degli scorci più belli di Sicilia ha deciso decine di omicidi insieme all’ala corleonese. Adesso l’imprenditore palermitano Gianluca Maria Calì, che ha acquistato l’ex tenuta di mafia nel 2011, ne vuole fare un luogo di riscatto. Una storia antimafia, la sua, che si ripete dopo che l’imprenditore ha denunciato i suoi estorsori anni fa.
«Il riutilizzo in chiave antimafiosa della villa di Casteldaccia per me è motivo di orgoglio e di vanto – dice Calì – Finalmente le figure di Peppino Impastato, Falcone e Borsellino, Dalla Chiesa, Libero Grassi e Pio La Torre potranno vigilare su questo immobile che sarà una casa vacanze per turisti, per dimostrare al mondo intero che la Sicilia non è più terra di mafia ma anche e soprattutto di gente normale, per bene e laboriosa che si rimbocca le maniche e che diffonde un messaggio positivo. La mia voglia eterna di riscatto e di rivalsa, insomma, non si arrende».
La villa è praticamente pronta, «aprirà quasi sicuramente a marzo». Intanto l’imprenditore palermitano in questi mesi la sta promuovendo, ospitando opinion leader e influencer. Recentemente, ad esempio, ha attirato le attenzioni del The Guardian che ha dedicato alla villa di Casteldaccia un reportage a firma del corrispondente Lorenzo Tondo. «Dal maxiprocesso in poi siamo venuti a conoscenza che qui Michele Greco e la cupola di Cosa nostra hanno preso le decisioni più cruente per la nostra storia – ricorda Calì – Come l’organizzazione degli omicidi eccellenti del generale Dalla Chiesa o del deputato del Pci Pio La Torre. Ora da qui non si stabiliranno più violenti assassini ma si potrà godere un panorama mozzafiato, grazie a un immobile che ha un valore simbolico enorme. Io sono l’unico in Italia che può dire di aver riconvertito un bene che è appartenuto alla mafia in un immobile dall’alto valore civile e morale. Voglio dire che questa villa non me l’ha affidata lo Stato, ma l’ho comprata io con i miei soldi. Da qui ho avuto minacce, auto bruciate, intimidazioni».
Calì, noto concessionario d’auto che pochi giorni fa ha dovuto chiudere la sede a Palermo, si è aggiudicato l’immobile – che comprende anche un piccolo molo interno – all’asta al costo di 200mila euro. Nelle intenzioni dell’imprenditore palermitano la villa potrà ricevere fino a 32 persone. E al suo interno c’è anche una gigantografia del celebre scatto di Tony Gentile che ritrae i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a colloquio. Una domanda però aleggia sul bene: dopo più di 20 anni di inutilizzo, come potrebbe reagire una Cosa nostra certamente più debole rispetto ai tempi di Michele Greco ma comunque ancora radicata nel territorio?
«Michele Greco è passato da tempo a miglior vita – risponde l’imprenditore – Ma ha comunque un nipote, Leandro, di 29 anni, che si è dimostrato un tipo molto violento (e che vive nella venerazione del nonno, tanto da farsi chiamare Michele, così come accertato dalle intercettazioni dell’operazione Cupola 2.0, ndr). Attualmente Leandro è al 41 bis, segno di una pericolosità incredibile. Gli stessi inquirenti si sono resi conto che non si tratta di un delinquentello qualunque, tanto che alcune delle stesse persone che lo hanno accusato sono state uccise in questi mesi. Non mi pare si tratti solo di una coincidenza. Ma non bisogna farsi prendere dalla paura. Io so ad esempio che grazie alle mie denunce è stato avviato un processo nei confronti di queste persone».
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