Emanuele Scieri, commissione per cercare verità «Sarà ascoltato anche il supertestimone Viberti»

Dopo diciassette anni dalla morte del paracadutista siracusano Emanuele Scieri, ritrovato senza vita all’interno della caserma della Folgore ‘Gamerra’ di Pisa nell’agosto del 1999, si prova ancora a fare luce sulla vicenda. Lo scorso 4 novembre, giorno della festa delle forze armate, è stata istituita una commissione parlamentare d’inchiesta presieduta dall’onorevole siracusana Sofia Amoddio. «Ci metteremo tutta la nostra dedizione – dichiara a Meridionews – per arrivare alla verità, ma dipenderà soprattutto dai militari che saranno chiamati a parlare. Abbiamo scelto di secretare le sedute, a partire da quella di ieri in cui è stato ascoltato uno dei commilitoni, perché la questione è delicatissima».

Nel corso dei lavori sarà chiamato a deporre anche il commilitone Stefano Viberti, l’ultima persona ad aver visto vivo il parà siracusano. Viberti, che è considerato il supertestimone per aver passeggiato insieme a Scieri all’interno della caserma proprio la notte del 13 agosto, è stato definito dal procuratore Enzo Iannelli «depositario di verità non rivelate» dopo che, durante un interrogatorio durato ore, stava per cedere anche se, alla fine, non ha detto niente di utile alle indagini.

Dall’estate del 1999, ci sono state quattro inchieste sulla morte di Scieri: la prima amministrativa interna alla caserma di Pisa che non ha portato a nessun esito; poi quella che ha portato alla condanna per nonnismo di alcuni caporali della procura militare di La Spezia per vicende antecedenti alla morte; e, infine, la procura di Pisa ha archiviato senza arrivare a dibattimento due inchieste per omicidio, prima preterintenzionale e poi colposo. «Chi non ha ancora parlato ha la possibilità di farlo – sottolinea Amoddio – con l’ulteriore vantaggio che l’eventuale reato di falsa testimonianza al processo sarebbe ormai prescritto».

Nel corso della prima udienza della commissione sono stati ascoltati la madre del parà, Isabella Guarino, e alcuni rappresentanti del comitato Verità e giustizia per Lele, associazione nata subito dopo le dichiarazioni rilasciate dai vertici della caserma Gamerra di Pisa. Le ipotesi avallate dai militari sulla morte di Lele Scieri parlavano prima di suicidio, poi di una prova di coraggio, ma anche del tentativo di sporgersi per osservare una ragazza affacciata a un balcone di una palazzina accanto o di cercare il campo del telefonino.

«Non abbiamo mai creduto a tutto questo – afferma Carlo Garozzo, amico di Scieri e membro del comitato –, l’ipotesi del suicidio è impensabile e le ferite sulle mani e sui piedi sono incompatibili con un volo accidentale dalla scaletta. Siamo convinti – aggiunge – che ci sia stata l’interferenza di qualcuno o comunque l’omissione di soccorso da parte di chi era presente ed è scappato lasciandolo agonizzante per più di nove ore».

Sono ancora molti i dubbi e i lati oscuri dell’inchiesta. Perché il parà siracusano non è stato cercato subito quando non ha risposto agli appelli e ai contrappelli la notte stessa del 13 agosto, quando si sapeva che era rientrato in caserma insieme agli altri? Che senso hanno avuto le due ispezioni straordinarie fatte alla Gamerra il giorno di ferragosto, alle ore 5.30 e poi di nuovo alle 21.30, nelle quali i militari confermano di non aver trovato Emanuele? Come è possibile che poi, il 16 di agosto, il cadavere sia stato ritrovato in stato di decomposizione in un luogo quotidianamente accessibile a tutti?

«All’inizio eravamo convinti – ricorda Garozzo – che la verità sulla morte di Lele sarebbe uscita fuori subito, perché era successo in una caserma e non in un centro commerciale o in un qualsiasi altro luogo e, invece, abbiamo dovuto fare i conti con un pesante velo di omertà e coperture». La ministra della Difesa Roberta Pinotti, ascoltata in audizione, ha affermato che «la morte di Lele Scieri è una ferita ancora aperta, un vulnus inaccettabile da tutti noi e dalle istituzioni» e ha messo a disposizione della commissione tutti gli atti, anche quelli più sensibili, perché non restino indefinite le responsabilità.

A tenere alta l’attenzione, negli anni, sono stati gli amici dell’associazione. «Continueremo a oltranza – dicono –. Quando è arrivata l’epoca dei social, abbiamo creato un gruppo su Facebook che oggi conta circa 9mila iscritti. Un ragazzo ha disegnato un logo e, dopo averlo visto attaccato sulla pettorina degli atleti di una maratona cittadina, abbiamo pensato di farne un vero e proprio adesivo». Giallo e immediatamente identificabile è diventato un promemoria sulle automobili e sulle vetrine non solo di Siracusa, ma di molte città d’Italia.

Leggi il dossier sul caso Scieri


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