«Con la loro tesi difensiva, gli avvocati di Andrea Antico sono rimasti fermi a oltre 20 anni fa». Nell’udienza di oggi del processo con rito abbreviato per l’omicidio volontario aggravato dai futili e abietti motivi di Emanuele Scieri – il parà siracusano ucciso il 13 agosto del 1999 all’interno della caserma Gamerra di Pisa – hanno discusso Fiorenzo e Alberto Alessi, padre e figlio che difendono l’ex caporale. Per lui, la scorsa settimana, la procura ha chiesto una condanna a 18 anni di reclusione. Per gli altri due ex caporali imputati per lo stesso reato, Alessandro Panella e Luigi Zabara, per cui si procede con il rito ordinario, la procura ha già chiesto il rinvio a giudizio.
Ancora in servizio nell’esercito e in carica come consigliere comunale a Monte Colombo-Montescudo (in provincia di Rimini, in Emilia Romagna), Antico anche oggi non era presente in aula. «La tesi difensiva è che lui non era in caserma – spiegano a MeridioNews gli avvocati di parte civile Ivan Albo e Alessandra Furnari – Nella loro discussione di oggi hanno sollevato dubbi sulla ricostruzione fatta dalla procura ipotizzando anche che l’aggressione non sia mai avvenuta. In conclusione, per loro avevano ragione le archiviazioni del 1999», affermano i due legali che oggi hanno discusso in aula. «Ho contestato la loro perizia medico-legale di parte – sottolinea l’avvocata Furnari – in cui si sostiene che non c’è prova della presenza di terzi e che le ferite sul cadavere di Lele sono riconducibili alla caduta». Anche quella sul dorso del piede, quelle sulle nocche delle mani e al polpaccio, compresi i frammenti di ghiaia trovati all’interno dei jeans che indossava Scieri.
In un paio d’ore, l’avvocato Albo ha ripercorso la cronologia di quella sera dalle 22.15 all’1 di notte. Cioè dal momento in cui Stefano Viberti (l’ultimo ad avere visto il parà in vita) lascia Scieri lungo il viale della caserma, dove avevano fumato insieme una sigaretta, fino a quando «l’ex caporale Meucci ha visto nella camerata i tre imputati nervosi che sudavano freddo», dice il legale riferendosi alle dichiarazioni rese dal teste. «Lo spostamento in avanti delle lancette dell’orologio non può essere una linea difensiva – afferma il legale – Dopo l’aggressione, durata venti minuti o mezz’ora al massimo, c’è stata la fase dell’occultamento del cadavere con cui – aggiunge – sarebbe compatibile anche l’orario della chiamata a Enrico Celentano».
L’ex comandante della Folgore che, insieme all’allora aiutante maggiore Salvatore Romondia, è accusato di favoreggiamento e per cui la procura ha chiesto quattro anni di carcere e la valutazione dell’ipotesi che si tratti di depistaggio. Come ha già detto il procuratore capo di Pisa Alessandro Crimi, «il livello di conoscenza dell’episodio fu abbastanza immediato da parte della struttura di comando». Conosciuto per essere l’autore dello Zibaldone – una sorta di manuale con un elenco di atti di nonnismo a cui sottoporre le reclute – Celentano viene intercettato nel 2018 mentre al telefono dice al fratello una frase che dà l’idea del suo modo di intendere la gerarchia militare: «Il corpo è la bottiglia e il comandante è il tappo. Tutto quello che succede sotto a me non riguarda».
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