Caso Montante, chi sono le spie transitate a Palermo «Uno si vantava di avere scassato tutti i suoi nemici»

Da paladino dell’antimafia ai domiciliari. Queste le sorti dell’ex numero uno di Confindustria Sicilia Antonello Montantecoinvolto nell’inchiesta Double face e che adesso deve rispondere di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti contro la pubblica amministrazione, dalla corruzione alla rivelazione di segreti d’ufficio, all’accesso abusivo a un sistema informatico. E nemmeno uno qualsiasi. Sarebbe entrato a piacimento negli archivi digitali delle forze dell’ordine, per essere sempre informato sul corso delle indagini nei suoi confronti o su soggetti di cui voleva sapere qualcosa, da personaggi istituzionali a pentiti di mafia. Per riuscirci avrebbe messo in piedi una vera e propria rete di spionaggio, comprando la fedeltà di alcuni funzionari, tra squadra mobile, guardia di finanza e servizi segreti, transitati tutti da Palermo e che adesso devono rispondere di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione.

Il primo della lista per gli investigatori è Diego Di Simone, ex sostituto commissario della mobile a Palermo: gli investigatori lo definiscono uno dei soggetti di strettissima fiducia di Montante, il trait d’union tra l’ex presidente di Sicindustria e gli appartenenti alla polizia di Stato; secondo le carte dell’inchiesta sarebbe lui quello che avrebbe violato più volte la banca dati della polizia. Proprio il suo ruolo e le sue competenze gli avrebbero permesso di accedere ai sistemi e agli archivi digitali di quelli che erano i suoi colleghi ogni volta che voleva. «Un’enorme mole di materiale raccolto», così recitano le carte dell’inchiesta. Il suo nome salta fuori proprio quando gli investigatori scoprono la famosa stanza segreta nella villa a Serradifalco di Montante, quella che lui stesso chiama invece «la stanza della legalità». Quella in cui l’ex paladino antimafia nascondeva «una sbalorditiva attività di documentazione». Un’attività, in tutti i sensi, di dossieraggio «inquietante», e che avrebbe prodotto un database da usare all’occorrenza a seconda dell’interesse o dell’esigenza in gioco.

Un file excel in cui Montante avrebbe annotato in maniera certosina dettagli di primo acchito irrilevanti, ma importantissimi nell’ottica di un disegno generale e più ampio: dagli appuntamenti ai messaggi con personaggi del contesto istituzionale, alle registrazioni di alcune conversazioni: ci sono anche documentazioni puntuali dei favori che gli sarebbero stati chiesti nel tempo e riferimenti alle numerose spie utilizzate per violare le banche dati della polizia e carpire informazioni su soggetti ogni volta diversi. Ma Di Simone non sembra essere solo una talpa o, come si sente nelle intercettazioni, un «discepolo e vassallo». Lui è anche procuratore speciale del presidente pro-tempore di Confindustria e, dal 2009, anche responsabile dell’organizzazione della pianificazione e del coordinamento delle attività di sicurezza, vigilanza e accoglienza per conto della Aedificatio spa, società unipersonale soggetta ad attività di direzione e coordinamento da parte di Confindustria. Lui insomma sarebbe una delle figure chiave nella rete messa in piedi da Montante. A fare il suo nome e, in un certo senso, a sponsorizzarlo sarebbe stato Giuseppe Caruso, ex prefetto di Palermo: pur non essendo fra gli indagati, il suo è un nome che ricorre spesso nelle carte del caso. Per i magistrati infatti avrebbe tratto anche lui non pochi vantaggi dal rapporto con l’imprenditore di Serradifalco.

A dare una mano a Di Simone con gli archivi della polizia ci sarebbe stato anche il collega Salvatore Graceffa, vice sovrintendente della polizia in servizio alla questura di Palermo, da oggi colpito da un’interdittiva che lo blocca per un anno. Il suo primo accesso nella banca dati risale al novembre del 2009, solo qualche mese dopo l’assunzione di Di Simone all’Aedificatio spa. Ricerca dopo ricerca, sono tantissimi i nominativi che controlla, di cui stampa le informazioni che gli servono o prende qualche appunto a mano. Tutti documenti rinvenuti nella stanza della villa di Serradifalco e che riguarderebbero anche alcuni collaboratori di giustizia: dalle dichiarazioni rese ai permessi premi di cui usufruiscono alle località segrete in cui si trovavano. Nessuno di questi, però, sarebbe mai stato oggetto di indagini o preliminari accertamenti da parte della mobile di Palermo.

A fare da congiunzione, però, tra Graceffa e Di Simone, c’è un terzo collega, anche lui transitato dalla mobile di Palermo nello stesso arco di tempo dei primi due: Marco De Angelis, adesso in servizio alla questura di Milano. «Guarda, in questo istante sono ancora fuori perché… ora devo andare a fare una cosa poi torno in ufficio, diciamo quindi una mezzoretta e potrei…». Questo il tenore dei messaggi che in particolare Di Simone e De Angelis si sarebbero scambiati, sentendosi per telefono durante gli orari di lavoro dell’uno o dell’altro, o attraverso messaggi e chat. E il punto sembra essere sempre lo stesso, da quanto scrivono i magistrati: nomi su nomi e relative date di nascita. Persone da cercare, da controllare, tutte informazioni che sarebbero poi finite nel personale e gigantesco archivio dell’anello comune, Montante. «Ti ho scritto…hai qualcosa per me?», ma ci sono anche messaggi più diretti: «Mi puoi vedere uno che si chiama così…?».

Quella di Montante, però, sarebbe stata una rete di collaboratori piuttosto fitta. A farne parte, secondo quanto emerso dall’inchiesta, anche il maggiore Ettore Orfanello, ex comandante del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Caltanissetta, con un passato anche tra i finanzieri di Palermo: dopo essere stato sospeso dal servizio per le vicende giudiziarie che lo avevano riguardato, a partire da febbraio-marzo 2015 aveva trovato impiego “in nero” grazie, secondo quanto appurato dalle indagini, all’imprenditore nisseno Massimo Romano, coinvolto anche lui nell’inchiesta. Sarebbe proprio Orfanello che, a sentire i racconti di Romano ai magistrati, si vantava addirittura del suo operato per Montante, per il quale «aveva scassato persone che riteneva nemici, così facendo operazioni di pulizia e legalità».

Tra i collaboratori più fedeli e importanti, infine, ci sarebbe stato anche Giuseppe D’Agata, ex capocentro della Dia di Palermo, passato poi ai servizi segreti: era solito, a leggere ancora le carte dell’inchiesta, «fornire a Montante il contenuto di intercettazioni, consegnandogli anche dei supporti informatici», come le pen drive ad esempio. «Ascoltava le persone e gli dava i cd ad Antonello (Montante ndr), cioè hanno fatto cose assurde…», dice intercettato un altro fedelissimo dell’imprenditore di Serradifalco. Lo stesso che non esita, ancora una volta intercettato, ad annuire all’amico che all’altro capo del telefono parla di Montante definendolo uno che il pentimento, in caso di arresto, ce l’ha nel Dna: «Se va in galera è la prima persona che si pente. È uno che ha fatto dossier di tutti, carte e dossier falsi, con i servizi, con quel cretino di colonnello dei carabinieri, l’ultimo arrivato che ora è nei servizi… Questo si chiama Giuseppe, un pezzo di merda», e il riferimento sarebbe proprio a D’Agata.


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