Un momento che avrebbe potuto risolutivo, quello in cui avrebbe dovuto parlare il giovane sotto processo ormai da quasi due anni e che dal suo arresto dichiara di essere vittima di uno scambio di persona. Una deposizione sfumata e che slitta a luglio. Sul suo volto una maschera contrita di disperazione
Caso Mered, salta l’atteso esame dell’imputato Procura ritenta con estensione dell’estradizione
Il processo che si celebra da quasi due anni a carico del presunto trafficante di esseri umani Medhanie Yehdego Mered continua a essere caratterizzato dall’effetto sorpresa. Oggi avrebbe dovuto essere un giorno fatidico, quello dedicato all’esame del ragazzo sotto processo e che dal suo arresto dichiara di chiamarsi Medhanie Tesfamariam Behre e di essere vittima di un clamoroso scambio di persona. Aveva preso la parola solo in un’occasione e per una manciata di minuti, durante un’udienza preliminare nell’estate del 2016. Il suo momento era tornato proprio oggi, di fronte ai giudici della prima corte d’assise e a un folto pubblico accorso per l’occasione, dai giornalisti agli studenti del liceo Galilei impegnati in un progetto di alternanza scuola-lavoro. Ma l’esame slitta addirittura a luglio.
L’accusa infatti ha preso la parola chiedendo alla corte di poter modificare il capo d’imputazione iniziale, relativo al tempo intercorso nello svolgimento dell’attività criminale oggetto del processo e con una nuova contestazione di reati concorrenti. Costringendo di fatto la difesa a chiedere un termine a difesa, necessario per capire il nuovo quadro designato oggi in aula dal pm Ferrara e farlo comprendere anche al ragazzo detenuto. Nella nuova memoria depositata oggi dall’accusa si precisa, però, che già in precedenza nei mesi scorsi si è provveduto a richiedere quanto nuovamente ribadito oggi, cioè l’estensione dell’estradizione già concessa e più volte sollecitata, richiesta rimasta inevasa.
L’accusa tira nuovamente in ballo i contatti con trafficanti di uomini libici e un ruolo attivo nell’organizzazione dei viaggi di migranti verso le coste siciliane, elementi messi insieme dopo un’attività d’indagine integrativa della procura di Palermo, partita dall’analisi del cellulare sequestrato al ragazzo detenuto al momento dell’arresto. Dettagli già contenuti e descritti nelle cento pagine depositate a novembre e che contestano a presunto trafficante due ulteriori episodi di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e associazione a delinquere, alla base della richiesta di estensione dell’estradizione.
L’avvocato del ragazzo detenuto, Michele Calantropo, chiarisce: «Le contestazioni oggi formulate in udienza erano già state proposte nel novembre 2017 a seguito del deposito di attività integrativa di indagine, anche se si chiede oggi la prosecuzione del giudizio su questi capi di imputazione alla luce di una recente sentenza della Cassazione che non prevede l’estradizione in alcuni casi – spiega -. Quello che balza agli occhi è che il Sudan non solo non abbia risposto alla richiesta di estensione dal novembre 2017, ma che neghi ai propri Ufficiali di testimoniare fuori dai confini nazionali».
L’avvocato Calantropo, da parte sua, ha però depositato il risultato della consulenza tecnica a firma del genetista Gregorio Seidita, volato un mese fa in Svezia insieme all’avvocato per sottoporre al test del Dna il piccolo Rae Yehdego Mered, individuato dalla procura come figlio certo di Mered. E il risultato ha lasciato davvero ben pochi dubbi: «Credo sia abbastanza rilevante il contenuto di questa consulenza – dice in aula il legale -. Per avere certezza della paternità del bambino, riconosciuto con certezza come figlio del trafficante, abbiamo fatto questo test e il figlio non è del mio cliente».
L’accusa però sembrerebbe non aver ricevuto alcuna nota in merito a questo esame. «L’ho appreso leggendolo dai giornali, ma non ho avuto a riguardo nessuna nota», spiega infatti il pm Ferrara, che si è quindi riservato e che si pronuncerà solo in seguito sulla possibilità di acquisire o meno il risultato prodotto. «Ci si dispiace come il deposito delle risultanze di un atto regolarmente comunicato all’ufficio di procura in data 9 maggio 2018 non sia stato trovato – commenta su questo punto l’avvocato -, ma è comprensibile perdersi in questo labirinto di carte».