Caso Mered, la Corte nega accertamento test Dna «Esame superfluo rispetto alle prove già ammesse»

«L’accertamento di carattere biologico appare del tutto superfluo alla stregua delle acquisizioni probatorie già in atto». Per il giudice Alfredo Montalto sembra essere fuori discussione, al momento, l’ipotesi di volare in Svezia per sottoporre – di nuovo – al test del Dna Lidya Tesfu, compagna del trafficante di esseri umani Yehdego Medhanie Mered, e il piccolo Rae, figlio della coppia. Un diniego piombato oggi nell’aula della seconda corte d’assise dopo il rigetto delle settimane scorse ad ammettere a processo il test già svolto dal genetista Gregorio Seidita, esperto nominato dall’avvocato della difesa Michele Calantropo, che dimostrava «con assoluta certezza che il figlio non è dell’uomo in carcere». Uomo che ha sempre dichiarato di essere vittima di un clamoroso scambio di persona e di essere in realtà Medhanie Tesfamariam Behre, rinchiuso al Pagliarelli da oltre due anni.

Un test che era stato preceduto da un altro esame disposto sempre dalla difesa dell’imputato per cercare di dimostrarne una volta e per tutte l’identità. Un esame che metteva a confronto il suo Dna con quello della donna che dichiara di esserne la madre e che confermava la parentela fra i due. Tanti i dubbi che solleva adesso questa ennesima scelta presa dalla Corte dinanzi alla quale si sta celebrando il processo al presunto boss della tratta. Corte che ha invece ammesso, in passato, lo svolgimento di una perizia fonica per confrontare le voci intercettate e attribuite da investigatori e magistrati a Mered con la voce del ragazzo in galera. Perché, quindi, non dare l’assenso anche a questo tipo di esame, ripetibile e inconfutabile? Quanto meno per fugare definitivamente, dopo più di due anni, i pesanti dubbi sulla reale identità della persona in galera.

Negata anche la possibilità di sentire come testimone la donna che dichiara di essere una delle sorelle dell’imputato, Seghen Tesfamariam, poiché la sua audizione, come quella di altri testi indicati dalla difesa, «appare ulteriore e sovrabbondante, visto che le circostanze cui sarebbero chiamati a deporre sono state ampiamente scandagliate già con l’escussione di altri testi». Dinieghi che scivolano a margine di un’udienza, quella di oggi, in cui il pm Claudio Camilleri si è dedicato a controesaminare il perito informatico della difesa, Danilo Spallino, sentito la settimana scorsa. Quasi una lezione di fondamenti di informatica durata poco meno di due ore e che ha sviscerato in lungo e in largo più il metodo di lavoro adottato dal tecnico che i risultati cui è giunto col suo esame. Il processo proseguirà a fine novembre


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