L’occasione è la due giorni organizzata da Amnesty, Diritti in cantiere, il tema affrontato invece è quello della narrazione delle migrazioni. L'esponente della giunta si rifà alla cronaca e bacchetta la stampa: «Com'è che ho appreso questa storia leggendola da un giornale straniero e qui non ne sappiamo niente?»
Caso Mered, assessore Catania si sbilancia «Neanche il dubbio c’abbiamo qui in Italia»
«Non sempre tutto quello che acquisiamo come informazione è un’informazione reale o corretta. Spesso ci sono forme di spettacolarizzazione che non rispondono a verità e anche noi a volte ne restiamo vittima». A dirlo è l’assessore alla Mobilità Giusto Catania, intervenuto ai Cantieri Culturali alla Zisa in occasione dell’iniziativa Diritti in cantiere, la due giorni promossa da Amnesty International, che ha scelto Palermo per celebrare la XXXII assemblea generale dal 23 al 25 aprile. A stare a cuore all’assessore Catania, promotore fra gli altri della Carta di Palermo, è soprattutto la narrazione della migrazione, il modo cioè in cui il fenomeno viene raccontato, specie attraverso i media.
E per sviscerare l’argomento, tira in ballo uno dei casi di cronaca più attuali e scottanti, di cui però in Italia si discute molto poco. Un caso seguito a una delle più grandi tragedie del mare, il naufragio del 3 ottobre 2013. Episodio che fece scattare un’enorme caccia all’uomo, rendendo il boss della tratta Medhanie Yehdego Mered, individuato come il principale responsabile, di fatto uno dei latitanti più ricercati al mondo. Almeno fino al maggio scorso, quando in un bar di Khartoum venne arrestato un giovane eritreo che oggi sta affrontando il processo davanti alla quarta sezione penale del tribunale di Palermo. Ma all’indomani dell’estradizione in Italia, si insinua prepotente un tarlo incontrollabile e spaventoso: che la persona catturata, che da mesi dice di essere Medhanie Tesfamariam Berhe, non sia il vero trafficante, ma un migrante in attesa di iniziare, come molti altri connazionali, le procedure per intraprendere il viaggio via terra in Libia e poi quello per mare verso l’Europa.
«Il Guardian ha dimostrato che si tratta di uno scambio di persona, mostrando delle fotografie in cui il vero trafficante si trovava a una festa. Mentre il ragazzo arrestato continua a stare in carcere malgrado ci siano delle immagini che mostrano il contrario – spiega Giusto Catania – Ho citato questo caso al convegno di Amnesty per sottolineare la necessità di approfondire la verità sul tema delle migrazioni, perché spesso le informazioni non arrivano corrette. Questa storia nei nostri giornali italiani non l’abbiamo letta, ed è paradossale che io l’abbia appresa leggendo un giornale britannico». Tuttavia, l’assessore Catania non entra nel merito del processo in corso a Palermo, del quale non conosce i dettagli. Ma insiste sul silenzio dei media: «Mi pare emblematico che la questione venga posta con forza da un giornale autorevole ma straniero mentre qui non sappiamo niente, neanche il dubbio c’abbiamo in Italia».
«Com’è che noi non ne sappiamo niente?», non può non domandarselo l’assessore, che aggiunge: «Troppo spesso quello che pensiamo di sapere sulle vicende dei migranti non risponde nemmeno a elementi minimi di realtà». Come si raccontano le migrazioni? In cosa consistono e quanti morti restano vittime del Mediterraneo? Ma soprattutto perché basta catturare un presunto responsabile per mettere fine a una storia? Sono tutte domande sollevate dall’assessore Catania.
«Le uniche notizie che abbiamo sempre sono quelle relative agli eventuali arresti degli scafisti e la notizia si ferma a quello e basta, tutto il resto non c’è, compresa la sofferenza delle persone – dice – Poi addirittura alcune volte quando arrestano un trafficante, come in questo caso specifico, e qualche giornale autorevole come il Guardian dice che non è quello giusto, già in Italia non lo sappiamo più perché la notizia è già stata archiviata nel momento in cui si è saputo dell’arresto».