Si avvicina ai titoli di coda il processo nei confronti di Pino Maniaci, volto e voce dell’emittente televisiva Telejato. L’ultimo atto sarà scritto oggi, quando il giudice monocratico Mauro Terranova pronuncerà la sentenza di primo grado. Maniaci, difeso dagli avvocati Antonio Ingroia e Bartolomeo Parrino, è imputato per diffamazione e per estorsione senza l’aggravante di aver favorito la mafia: secondo l’accusa, avrebbe chiesto soldi e favori agli ex sindaci di Borgetto e Partinico, Gioacchino De Luca e Salvo Lo Biundo, e all’ex assessore di Borgetto Gioacchino Polizzi, in cambio di un trattamento più morbido all’interno del Tg da lui condotto.
Ma se da una parte il giornalista è stato praticamente scagionato da Lo Biundo e Polizzi, che hanno dichiarato di non aver mai subito estorsioni e minacce da parte sua, dall’altra la pubblica accusa lo ritiene responsabile di una presunta estorsione da 366 euro commessa nei confronti di De Luca, cifra che – si è sempre difeso Maniaci – altro non era che il pagamento di una pubblicità fatta al negozio della moglie dell’ex primo cittadino sull’emittente televisiva Telejato, comprensiva di Iva. «Si è mai sentita un’estorsione con applicata l’Iva? Perché 366 e non 400? Fu una libera scelta di De Luca – ha spiegato l’avvocato Ingroia durante l’arringa difensiva del 9 febbraio – quella di stipulare un contratto pubblicitario con Maniaci, voleva corromperlo per ammorbidirlo ma lui ha resistito e ha continuato per la sua strada, mantenendo la sua linea editoriale. Ma c’è di più: a un certo punto De Luca ha detto a Maniaci di non avere intenzione di pagare i restanti mesi di pubblicità in quanto voleva recedere l’accordo e questo dimostra inequivocabilmente che il giornalista non aveva nessuna presa su di lui, altro che soggezione, altro che coartazione della volontà, se De Luca fosse stato coartato avrebbe continuato a pagare».
Questa versione dei fatti troverebbe riscontro nella deposizione del teste chiave dell’accusa, l’ex capitano dei carabinieri De Chirico che all’epoca coordinò le indagini su Maniaci, che all’udienza del 21 giugno 2019 ha ammesso di non aver trovato nessun tipo di ammorbidimento, nei confronti delle persone coinvolte, all’interno dei servizi di Telejato. La dazione di denaro incriminata venne ripresa da una telecamera nascosta per poi essere «presentata come la prova regina dell’accusa» su tutti i media nazionali, con un video «diffuso da mano rimasta ignota per mancanza di volontà degli uffici giudiziari competenti» che, secondo quanto emerso dalla testimonianza del consulente tecnico di parte Francesco Di Gesù del 25 febbraio 2020, sarebbe stato manipolato ad arte in modo da far scomparire dalle scene una terza persona che, proprio in quegli istanti, era presente all’interno della stanza.
L’obiettivo? «Condannare mediaticamente Pino Maniaci per proteggere e salvare Silvana Saguto, il soldato del sistema». Ingroia, che ha chiesto la trasmissione degli atti in Procura per valutare l’ipotesi di reato di calunnia, non ha dubbi: la colpa di Pino Maniaci è quella di aver denunciato per primo le ombre del sistema Saguto, l’ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, radiata dalla magistratura e condannata a otto anni e sei mesi di reclusione dopo lo scandalo che l’ha travolta. «La deposizione dei carabinieri Genco e Tummina all’udienza del 25 febbraio 2020 ha dimostrato che la dottoressa venne più volte presso la caserma dei carabinieri di Partinico che stava indagando su Pino Maniaci».
Ingroia ricorda le intercettazioni della Procura di Caltanissetta, che oltre cinque anni fa ha registrato l’interesse dell’ex magistrata affinché le indagini nei confronti del direttore di Telejato arrivassero presto a destinazione. «Loro ci stanno lavorando – diceva durante una conversazione telefonica – me lo hanno assicurato, Lo Voi (Procuratore capo di Palermo, ndr) mi ha detto: “Prenditi i calmanti e statti quieta, non c’è bisogno di fare niente con Maniaci, stai tranquilla”». Per poi prendersela, in un’altra telefonata, con gli stessi colleghi. «Se questi si spicciassero a fare le indagini che stanno facendo, noi non avremmo bisogno di fare niente. Quello che non capisco è per quale ragione ancora nessuno si muove contro questo stronzo di Telejato».
I legali Antonio Ingroia e Bartolomeo Parrino hanno chiesto l’assoluzione «perché il fatto non sussiste», la pm Amelia Luise, invece, a dicembre ha chiesto la condanna a 11 anni e 6 mesi, al termine di una requisitoria duramente contestata dalla difesa. «È una richiesta di pena sproporzionata, ingiusta e folle – ha detto Ingroia durante la sua arringa difensiva – superiore perfino ad alcuni degli imputati condannati in primo grado per la trattativa Stato-mafia, ben superiore alla condanna definitiva a Marcello Dell’Utri per un ventennio di collusioni con la mafia, ben superiore alla condanna dell’ex giudice Silvana Saguto, a 8 anni e 6 mesi di reclusione per corruzione, falso e abuso d’ufficio. Siamo nel palazzo che fu di Falcone e Borsellino, oppure siamo ripiombati nel palazzo dei veleni e dei corvi istituzionali?».
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