Condannato a un anno. Questa la decisione dei giudici nei confronti di Antonino Recca, ex rettore dell’università di Catania con la passione per la politica sotto l’effige dello scudo crociato, finito sul banco degli imputati per una vicenda che risale al 2012. E che ha a che vedere con una lista di indirizzi email di studenti e docenti, nata per comunicazioni accademiche e invece utilizzata per fare campagna elettorale. La lettura del dispositivo arriva a margine dell’udienza dedicata alle repliche di accusa e difese. L’ex Magnifico ha scelto di essere presente nella giornata decisiva del processo di primo grado, ma non nel momento della lettura della sentenza che vede per lui un verdetto sfavorevole per l’accusa di utilizzazione di dati segreti a fini non patrimoniali (che assorbe anche la violazione della privacy) e l’assoluzione, perché il fatto non sussiste, per il reato di induzione a dichiarare il falso. Decisioni che gli sono state comunicate al telefono dai suoi avvocati. Giudicato colpevole anche Antonio Di Maria (otto mesi). Viene, invece, assolto Enrico Commis, per non avere commesso il fatto.
A commentare l’esito del processo è l’avvocato Tommaso Tamburino: «L’assoluzione è arrivata per l’ipotesi di reato che noi consideravamo più grave, ovvero quella del presunto tentativo di inquinare le indagini – spiega a MeridioNews -. Contro questa sentenza faremo appello. Si tratta di fatti certamente di poca gravità, e questo viene dimostrato dal fatto che il tribunale, a fronte di una richiesta di risarcimento danni di 100mila euro, ha quantificato il tutto in 20mila euro. Facendo una cosa insolita per un tribunale penale, che spesso rinvia al giudice civile per la quantificazione. In questo caso, invece, i giudici hanno preferito entrare nel merito».
Recca arriva al palazzo di giustizia alle 10.30. Puntualissimo rispetto all’orario stabilito durante l’ultima udienza, in cui la magistrata Raffaella Vinciguerra aveva chiesto per l’ex rettore di Unict la condanna a sei anni per violazione della privacy, utilizzazione di dati segreti e induzione a rendere false dichiarazioni. Con lui – difeso dagli avvocati Guido Ziccone e Tommaso Tamburino -, sul banco degli imputati anche due dipendenti dell’università accusati di avere utilizzato i dati segreti, e cioè gli indirizzi email custoditi dall’ateneo. Si tratta di Enrico Commis, all’epoca dei fatti responsabile dell’area informatica di Unict, che ha scelto come legale Goffredo D’Antona; e Antonio Di Maria, allora componente dello staff di Recca, rappresentato dall’avvocato Walter Rapisarda. Di Maria è inoltre marito di Maria Elena Grassi, la candidata Udc alle regionali 2012 sponsorizzata nei messaggi digitali incriminati e indicata proprio dall’ex rettore, ai tempi accasato nel partito di Pierferdinando Casini e Totò Cuffaro. Il caso scoppia quando da un indirizzo email dell’Ateneo viene mandata una email elettorale in cui si invitava a sostenere Grassi. Destinatarie della missiva ben 22mila persone tra docenti e studenti.
Per ricostruire la vicenda bisogna andare all’11 settembre 2012, quando Commis inoltra a Recca l’indirizzo per accedere alla mailing list di Unict. Il 12 settembre queste istruzioni vengono inoltrare a Di Maria. Pochi giorni dopo, il 15 settembre, avviene il primo tentativo di invio del messaggio elettorale. A provarci è il figlio della candidata, Daniele Di Maria, ma senza successo (madre e figlio finiscono coinvolti nell’inchiesta salvo poi vedere archiviate le proprie posizioni). Passano due giorni dalla prima prova tecnica e l’invio riesce, ma i colpi di scena non finiscono. In pieno clima di polemica, il 19 settembre docenti e studenti ricevono una seconda email, sempre a opera del figlio della candidata. Questa volta, però, il giovane cerca di difendersi, derubricando l’episodio a una strumentalizzazione politica.
«Che posso fare? A ficimu ‘sta minchiata», commentava il professore Recca in quelle settimane, in una registrazione pubblicata in esclusiva da MeridioNews (ai tempi CTzen), nel corso della quale ragiona con Di Maria padre e figlio su come uscire dalle polemiche in corso. «Facemu un minimu di sceneggiata e sta cosa ni ni niscemu e probabilmente ce la giriamo a nostro favore»: l’idea era quella di fare ricadere la colpa sul figlio della candidata, autore di «una ragazzata». Argomenti che gli erano valsi l’accusa di falsa testimonianza, oggi respinta dai giudici.
Nel processo compare anche l’ateneo nella veste di parte civile, rappresentata dal professore Giovanni Grasso. L’avvocato aveva chiesto a Recca e Di Maria un risarcimento danni da centomila euro, escludendo Commis, perché ritenuto estraneo alla vicenda, in quanto avrebbe solo eseguito un ordine dei suoi superiori. Oggi i giudici hanno stabilito che l’ex rettore e l’allora componente del suo staff dovranno risarcire all’istituzione ventimila euro.
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