La famiglia Gandolfo dovrà lasciare i locali concessi dalla Caritas dove da un anno vivono, dopo lo sfratto dall’abitazione in via Sadat. Mario Sedia: «Non mandiamo via nessuno, ma ormai situazione non più idonea, intervenga il Comune». Dispiaciuta l'assessore alla Cittadinanza sociale perché «una mano l'abbiamo tesa»
Caso Giovannino, a rischio l’alloggio della Caritas Ciulla: «Qualcuno alza l’asticella della tensione»
«Venerdì scorso la signora è stata ricevuta dai miei uffici e le è stata presentata un’offerta di aiuto. Lei si è riservata del tempo per rifletterci, ma non sì è più fatta vedere disertando due incontri: temo che ci sia qualcuno che stia alzando l’asticella della tensione». A dirlo è l’assessore alla Cittadinanza sociale Agnese Ciulla in merito alla vicenda della famiglia di Giovannino, il ragazzo di 17 anni affetto da tumore che, assieme alla madre e alle due sorelle, un anno fa è stato sfrattato dall’abitazione in via Sadat, a Palermo. Grazie all’interessamento della Caritas non sono finiti in mezzo a una strada e, da circa un anno, vivono in una stanza del centro Agape in piazza Santa Chiara, con uso comune di locale soggiorno e cucina.
Nei giorni scorsi, però, l’ennesima doccia fredda: la Caritas, infatti, ha chiesto alla famiglia Gandolfo di andare via perché, quella che doveva essere una soluzione transitoria, dopo un anno non sarebbe «più idonea alle esigenze del nucleo familiare». Una notizia che ha destato molte perplessità, rilanciata sui social anche dal presidente del Comitato 12 Luglio Nino Rocca che l’altro ieri ha incontrato l’arcivescovo Corrado Lorefice per chiedere il suo intervento, consegnandogli una lettera. «Ieri, assieme alla madre abbiamo incontrato il presule, il quale si è meravigliato della posizione assunta dalla Caritas rassicurando la signora che nessuno avrebbe mandato loro via».
Dalla Caritas, tuttavia, fanno sapere che la vicenda è molto più complessa di come è stata rappresentata. «Noi non sfrattiamo nessuno, ma si deve trovare una soluzione idonea al più presto perché non ci sono più le condizioni per ospitarli, almeno non in quella stanza – spiega il vicepresidente della Caritas Diocesana di Palermo Mario Sedia -. Le persone non si posteggiano così: doveva essere una situazione transitoria. sono trascorsi quasi 13 mesi durante i quali abbiamo accolto, accompagnato e provveduto alle spese mediche della famiglia Gandolfo, ma dobbiamo evidenziare che la struttura non è idonea, e la loro presenza lì è disfunzionale. Forse qualcuno vuole strumentalizzare questa storia: è giusto che la famiglia abbia una casa vera, una stanza, ma la famiglia deve mostrarsi più collaborativa con noi e, soprattutto, con le istituzioni che devono trovare, se non la soluzione definita, almeno un’alternativa».
Un appello al dialogo costruttivo tra la famiglia e l’amministrazione è l’esortazione anche di Rocca: «Occorre sollecitare il Comune, perché la Caritas non può assumersi questa responsabilità per sempre. L’amministrazione, però, fa orecchie da mercante: da un lato dice di voler aiutare la famiglia e poi presenta soluzioni a nostro avviso irricevibili». Secondo il presidente del Comitato 12 Luglio, infatti, alla signora Gandolfo il Comune avrebbe offerto di sostenere per un anno una quota dell’affitto di un appartamento. «Una proposta fantasiosa – prosegue Rocca – la signora che non ha un reddito dovrebbe pagare attingendo al reddito dell’Inps di cui gode il figlio disabile. Peraltro, nessuno affittirebbe alla Gandolfo un appartamento senza alcuna garanzia. Sono proposte irricevibili che non tengono conto del regolamento per l’accesso ai beni confiscati».
Ma per l’assessore le cose sarebbero andate diversamente, e rivendica la buona volontà del Comune nel venire incontro alla famiglia. «Venerdì scorso abbiamo prospettato delle soluzioni alla signora Gandolfo – spiega l’assessore, senza entrare nel merito degli strumenti proposti e senza alcun riferimento a percentuali o cifre -. Lei, però, non ha fatto sapere più nulla. Temo che qualcuno consigliando male la signora. Con tutta la buona volontà, al momento non possiamo fare di più, non ci sono immobili disponibili. Sono dispiaciuta, perché noi una mano l’abbiamo tesa, non abbiamo chiuso le porte, ma lei deve tornare a incontrarci. il tema non è dare una casa – conclude – ma garantire ospitalità».