L'imprenditore ha annunciato di volersi dare fuoco oggi, alla luce dell'assordante silenzio del Viminale. Della sua situazione si è interessato il gruppo di cui fa parte il deputato Mattiello che denuncia: «Accertata la relazione tra danneggiamenti e sue denunce. Perché il ministero non ha dato seguito alle perizie?»
Caso Cutrò, appello da commissione Antimafia «Danni accertati, lo Stato deve farsene carico»
«Ignazio Cutrò rischia la vita e lo Stato deve farsene carico, esistono le perizie che accertano i danni che ha subito dalla mafia, così come i presupposti normativi per soccorrerlo. Il Viminale spieghi perché non lo ha ancora fatto». Davide Mattiello, deputato della commissione nazionale Antimafia, coordina il gruppo di lavoro su testimoni e collaboratori di giustizia e si è occupato del caso dell’imprenditore di Bivona che ha annunciato di volersi dare fuoco oggi pomeriggio a Palermo, in piazza Tredici vittime. Una disperata protesta contro il ministero dell’Interno, accusato di assordante silenzio.
Dopo aver denunciato i suoi estorsori e ricevuto minacce e intimidazioni, Cutrò è stato costretto a chiudere la sua azienda edile rimasta senza commesse. Si è messo alla guida dell’associazione dei testimoni di giustizia, riuscendo a ottenere l’approvazione di una legge che permette la loro assunzione nella pubblica amministrazione. Ma i debiti, in termini di mutui e caselle esattoriali non onorati, sono nel frattempo lievitati, raggiungendo la cifra di 540mila euro. Soldi di cui, secondo il deputato Mattiello, lo Stato dovrebbe farsi carico. «Ho parlato direttamente con l’avvocato che, ormai cinque anni fa, realizzò le due perizie per conto del ministero – spiega il componente della commissione Antimafia – e non ci sono dubbi: è stato certificato sia il danno subito da Cutrò, sia la relazione causale tra i danneggiamenti e le sue denunce. Perché il Viminale non ha dato seguito a queste perizie?». Mattiello sottolinea poi che «le conseguenze più gravi non derivano dall’incendio dei macchinari, per cui Cutrò ha ricevuto 107mila euro dal fondo antiracket, ma dalla terra bruciata che gli è stata fatta attorno, dall’impossibilità di continuare a lavorare».
Alla luce di questa situazione, le strade percorribili sarebbero due: «O lo Stato dà all’imprenditore commesse pubbliche o si fa carico del suo fallimento. Non si tratta di un favore, è una regola basilare che ispira tutta la normativa che riguarda le vittime di mafia». Cutrò è uno dei pochi testimoni di giustizia ad aver scelto di rimanere nella sua terra, diventando, grazie alla nuova legge, dipendente del centro per l’impiego di Bivona. «Lo Stato dovrebbe essergli doppiamente riconoscente. Si tratta di un uomo – ricorda Mattiello – che magistrati e investigatori hanno ritenuto talmente a rischio, da chiedere per lui speciali misure di protezione, oltre quelle ordinarie disposte dal prefetto».
Tuttavia secondo il deputato la responsabilità della situazione attuale è da ripartire anche con le banche. «Le somme più importanti gli vengono chieste da Unicredit e da Banco Sant’Angelo – precisa -. Com’è possibile che non tengano in nessun conto una situazione tanto speciale e minacciano di portargli via la casa dove vive?». Il 24 marzo la commissione antimafia ha richiesto al ministero dell’Interno le due perizie che accertano il danno subito da Cutrò. Documenti che per anni sono rimasti chiusi in un cassetto. «Non mi risulta – conclude Mattiello – che il Viminale abbia contattato la commissione, tanto meno Cutrò».