Dopo una lunga udienza, è questa la richiesta avanzata dal pubblico ministero per Giuseppe Alicata, accusato di omicidio colposo per la morte del giovane disabile psichico, avvenuta nella struttura nella quale era stato appena ricoverato. In aula si tornerà il 21 febbraio per la replica della difesa, poi la sentenza
Caso Biondo, pm chiede 9 mesi per infermiere «Mio fratello vale meno di un furto di arance»
Nove mesi. È questa la richiesta di condanna avanzata dal pubblico ministero, nell’ultima fase di dibattimento, per Giuseppe Alicata, l’infermiere dell’Asp 8 di Siracusa ritenuto responsabile di omicidio colposo (reato che esclude l’intenzionalità e prevede pene da sei mesi a cinque anni) per la morte di Stefano Biondo, il 21enne siracusano disabile psichico, morto il 25 gennaio del 2011 nella struttura dove era stato trasferito dopo tre anni trascorsi nel reparto di psichiatria dell’ospedale Umberto I.
L’unico imputato è accusato di aver soffocato Biondo con una manovra a tenaglia per fermare una delle sue crisi. La sorella di Stefano ha raccontato di aver trovato il giovane sdraiato a terra con i polsi legati con un cavo elettrico. I due referti dell’autopsia parlano di morte per asfissia meccanica da soffocamento causata dalla compressione della gabbia toracica. Durante la scorsa udienza del processo, che era partito dopo una richiesta di archiviazione del pubblico ministero rigettata dal giudice per le indagini preliminari, anche i teste della difesa hanno confermato le accuse.
Durante la discussione della parte civile, è stata evidenziata la ricostruzione secondo la quale, dal punto di vista istruttorio, la sedazione e il contenimento tramite i legacci ai polsi sarebbero avvenuti nelle prime fasi della crisi del giovane e si sarebbero prolungati per un arco temporale che va dai 30 ai 60 minuti. Il che, stando a quanto ribadito dal legale che rappresenta la sorella di Biondo, renderebbe ancora più grave e meno giustificabile la condotta dell’infermiere.
Un’udienza lunga, durata circa quattro ore, durante la quale il pubblico ministero ha esposto dettagliatamente la ricostruzione dei fatti del pomeriggio della morte di Stefano e l’intera vicenda giudiziaria, contrassegnata da molti test smemorati, tanti rinvii e cambi di magistrati e pubblici ministeri che hanno rallentato l’iter processuale. «Non mi sarei mai aspettata che venissero chiesti solo nove mesi di detenzione. In pratica, per loro, la vita di mio fratello vale meno di un furto di arance», commenta amareggiata la sorella di Stefano, Rossana La Monica. Il 21 febbraio è la data fissata per tornare nuovamente in aula, a parlare saranno i legali dell’imputato e quelli dell’azienda sanitaria provinciale. Quello stesso giorno potrebbe anche arrivare la sentenza.