Carofiglio, il cuore nero della città

«Raccontare una storia come metodo per interpretare la realtà, narrare una vicenda per dire qualcosa sul mondo». Così, Gianrico Carofiglio esprime la sua concezione della letteratura come dimensione critica e creativa. Carofiglio, magistrato, narratore, è un autore di successo, che utilizza lo strumento del genere giallo per comprendere le contraddizioni della realtà, per tentare di raccontarla nelle sue sfumature. Il suo ultimo libro, Ragionevoli dubbi (Sellerio, pp. 299, euro 12), è un giallo intriso di filosofia. Il protagonista dei suoi romanzi, l’avvocato Guido Guerrieri, si pone tematiche etiche, deontologiche, fa riflettere sulla dimensione della giustizia. Il talento narrativo di Carofiglio, ha trasformato Guerrieri, avvocato, ironico ed autoironico, in un personaggio letterario cult, «meravigliosamente convincente» lo ha definito il Times. Al punto che, come Carofiglio svela a l’Unità, i suoi lettori gli scrivono lettere per informarsi su tutti i dettagli possibili della vita di Guerrieri, persino sul suo stato di salute. Insomma, se il giallo è uno strumento per raccontare una storia ed interpretare la realtà, «il protagonista dei romanzi è un catalizzatore dell’attenzione, è l’elemento che serve a costruire la storia, ad avvincere i lettori». «Vede – spiega – il dibattito sul genere giallo come l’hanno svolto alcuni critici in Italia, non mi interessa. Sembra una riflessione astratta sui generi letterari, quasi un gioco di classificazione. Mi riconosco invece, in una visione critica, che concepisce il giallo come strumento di racconto e di interpretazione».

Il suo è un concetto di letteratura che ricorda quello di Leonardo Sciascia.
«Per me è un grande complimento, Leonardo Sciascia, ha scritto alcune delle cose più belle ed interessanti dell’ultimo cinquantennio. Penso ad una opera qualeIl giorno della Civetta. In Sciascia la letteratura è dimensione critica, è riflessione etico-culturale. Un intellettuale impegnato che ha detto cose importanti sul mondo. Non mi piacciono le distinzioni per generi, credo che l’unica vera distinzione è quella fra libri scritti bene e libri scritti male. Delitto e castigo, solo per citare il capolavoro di un autore che amo molto, è un giallo? Insomma, rientra nel genere perché vi sono gli elementi che lo caratterizzano? È evidente che porsi domande in questa ottica non ha senso. Non si giudica un libro in base a classificazioni astratte, ma dalla qualità».

La stampa statunitense, recensendola, l’ha definita non un autore di legal thriller, ma di trattati filosofici, storie d’amore, romanzi umoristici..
«È un riconoscimento intellettuale quello del New Yorker che mi ha dato enorme soddisfazione, vuol dire che è stato compreso il senso del mio scrivere, il significato della mia narrativa. Con ciò non viene escluso che vi sia una dimensione di suspense giudiziaria, ma viene colta la complessità cultural-letteraria. Vorrei aggiungere, che quello che in Italia viene chiamato giallo, è molto di più, è una indagine sulla realtà. Alcuni ottimi scrittori che scrivono i loro libri, partendo da questo genere, non rispettano tout-court le regole del giallo. Lo usano come plot, per strutturare le loro storie che sono complesse e ricche di sfumature intellettuali».

Sul piano dello stile scritturale quali sono i suoi punti di riferimento?
«Sul piano stilistico-scritturale, direi principalmente Carver, Calvino. Ho imparato, quasi studiandolo, Carver. Io non vado matto per le storie che lui scriveva, ma sono affascinato dalla sua scrittura, dal lavoro sulla frase, sulla parola, la scarnificazione delle parole. E qui vorrei introdurre un argomento per me importante, penso che la scrittura sia l’arte del togliere, allo stesso modo della scultura. Dopo una prima stesura, dopo aver buttato sulla pagina tutte le parole che avevi per raccontare la storia del personaggio, cominci a togliere tutte le parole inutili, per far emergere l’essenza della storia. È la parte più nobile del narrare».

Sul piano letterario-filosofico, accennava prima alla sua passione per Pirandello.
«Mi piace quella temperie culturale, quella chiave interpretativa filosofica. Quel giocare coi paradossi e con le contraddizioni. Penso ad un grande romanzo quale Il fu Mattia Pascal. Non la speculazione astratta, ma la riflessione che nasce dal raccontare una storia con le sue molteplici dimensioni narrative. Nel prossimo libro, mi accingo a fare una operazione culturale, che ha qualcosa di pirandelliano. Dovrei uscire con un romanzo a fumetti, il cui protagonista principale è un personaggio secondario delle storie di Guerrieri, cioè il poliziotto Tancredi. In buona sostanza, un racconto strutturato su di un gioco di parallelismi. Personaggi e storie sono leggermente sfasate, le une rispetto alle altre, nella prospettiva di cercare di raccontare le plurime sfaccettature della realtà. È una narrazione che a me piace, con alcuni personaggi forti, un vero e proprio noir, duro».

Qual è il titolo?
«Il titolo provvisorio è Cacciatori nelle tenebre, un noir metropolitano, che vuole raccontare il cuore nero della città».

Che rapporto ha con Bari, la sua città?
«Guardi, uno dei più bei complimenti che ho ricevuto da quando faccio lo scrittore, è quello che mi ha rivolto il sociologo Franco Cassano. Dopo aver letto un mio romanzo, mi ha detto che alcune strade che percorre ogni giorno è come se le avesse viste per la prima volta. Insomma, ha guardato ai luoghi della città con occhi nuovi. Credo, che per uno scrittore che ama la sua città, far vedere quel che normalmente non si vede o rimane celato, sia un importante riconoscimento. La letteratura, l’invenzione narrativa, può aiutare a svelare e disvelare gli angoli nascosti di una città, dell’esistenza, della vita sociale».

In realtà, lei non è solo uno scrittore nato a Bari, è un siculo-pugliese o meglio un pugliese-siculo.
«Lo scriva, sono al 50% per cento siciliano. E non solo per questioni di parentela, credo anche culturalmente. Ho detto prima della mia predilizione per i grandi scrittori siciliani quali Pirandello, Sciascia, solo per citarne alcuni. La storia della letteratura italiana degli ultimi secoli è segnata positivamente dall’esperienza culturale siciliana. Aggiungo, che mi piacciono anche i contemporanei».

Com’è la Bari attuale?
«Una metropoli del Sud, vivace e non priva di contraddizioni. Insomma, alla stregua di altre realtà del Meridione non è affatto un luogo immobile, come alcuni stereotipi vogliono far credere. È una città dove si mescolano lo slancio verso il futuro, ed anche sacche di arretratezza. È una città dove succedono molte cose, e così come la Puglia, una realtà dove alcune cose stanno migliorando».

Carofiglio è uno di quegli scrittori che non solo vendono molti libri, ma riempiono le sale quando i testi li presentano. A Catania alla Facoltà di Giurisprudenza, vi era davvero tanta gente alla presentazione di Ragionevoli dubbi. Che rapporto ha con il successo?
«Guardi, non le nascondo una mia timidezza. Comunque, sto diventando un esperto in incontri pubblici e cerco di avere un dialogo continuo con i lettori. Per chi ama i libri, per chi ama scrivere, la questione centrale è riuscire a raccontare le proprie storie. Certo è gratificante sul piano intellettuale avere successo. Ma è più rilevante, esprimersi con il proprio stile, proporre una dimensione etica. Attenzione, non moralistica ma etica. Perché ad alcuni potrà anche sembrare fuori moda, ma l’interpretazione della realtà si fonda anche sui valori».

L’intervista è stata realizzata da Salvo Fallica e pubblicata su L’Unità del 15 febbraio 2007


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