Tempo dautunno, tempo di scioperi. Tempo di riforme, tempo di grandi cortei studenteschi. Sono stati in molti i ragazzi che sono scesi in piazza, nel fine settimana scorso, per protestare contro la volontà del Ministro dellIstruzione Giuseppe Fioroni di ripristinare i terribili esami di settembre ed annullare le cosiddette verifiche in itinere tanto meno solenni e definitive. Ed è stato ben documentato da Step1 lo sdegno degli studenti catanesi di fronte allennesimo cambiamento che vede il loro percorso scolastico sballottato tra un ciclo ed un altro, tra una politica ed unaltra, e tra un sistema che cambia ogni anno esami di maturità e nomenclature. Non solo scuole: anche gli universitari sono scesi in campo per rivendicare certi intoccabili diritti, vedi la libertà daccesso ai corsi, e per protestare contro le figuracce dei test estivi.
Ma siamo sicuri che ogni sciopero sia voce autentica del dissenso generale? Siamo sicuri che non sia laria fresca dottobre ad accrescere la voglia della protesta? Certo, è una considerazione antica questa. Ma da Berlinguer, alla Moratti, da Zecchino a Fioroni (per citare solo i più recenti) ogni ritocco alla cosa istruzione ha vissuto grandi proteste da parte degli studenti la maggior parte dei quali, però, andava per le strade a manifestare senza aver mai messo occhio ai testi delle riforme, verificato ciò che dicono i ddl, studiato le carte sul tavolo. Dunque che la protesta sia prevenuta sembra una realtà che, probabilmente, è vecchia come il cucco ed appartenente trasversalmente a tutte le ultime generazioni di studenti. Perché lo sciopero è, innanzi tutto, la ricerca personale, da parte degli alunni, di unidentità, di far parte di una collettività, di essere partecipi alla (micro)vita della società frequentata. Non importa, probabilmente, quale sia lordine del giorno, importa non farsi trovare impreparati di fronte agli input forniti dal mondo dei grandi.
Ma tuttavia cè un elemento nuovo, anzi rinverdito, venuto fuori da questultima sommossa studentesca. Le proteste del 68 portavano con sé una forza sociale assolutamente autentica e coraggiosa. La consapevolezza di poter cambiare un certo stato di cose si faceva forza sulla torbidezza della società vecchia, macchinosa e goffa del tempo. Oggi pare che anche i movimenti calchino la mano sulla crisi che ha colpito le istituzioni, risultate meno sacre ed intoccabili di qualche anno fa. E, a tal proposito, cè stato uno striscione esposto nei cortei di Roma che recitava: Via Fioroni, siamo noi i padroni, e che ben descrive lattuale atmosfera di sfiducia. Le poltrone si reggono in precario equilibrio? Allora noi diamo un calcio per farle cadere. Forse lantipolitca non è così significativa come Grillo ci vuol far credere, mossa da molto senso di confusione piuttosto che da lucidità sociale, ma forse non è nemmeno così debole come la politica si augura.
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