Capaci, dopo rivelazioni pentito indagato ex poliziotto «Sono innocente, mai fatte quelle rivelazioni a Riggio»

Strage e associazione mafiosa. Questi i reati che i magistrati di Caltanissetta contesterebbero all’ex poliziotto tirato in ballo dal collaboratore di giustizia Pietro Riggio, ex agente della penitenziaria arrestato per mafia ed estorsioni che collabora da 11 anni e che a giugno 2018 ha parlato di quest’uomo, raccontando di un suo ruolo preciso nella strage di Capaci. Dichiarazioni che, un anno dopo, sono entrate al processo d’appello Capaci bis. Secondo Riggio, uno dei collaboratori che ha testimoniato nel processo ad Antonello Montante, un poliziotto detto il turcogli avrebbe confidato «di aver partecipato alla fase esecutiva delle strage Falcone. Si sarebbe occupato del riempimento del canale di scolo dell’autostrada con l’esplosivo, operazione eseguita tramite l’utilizzo di skate-bord». Anche se alcuni avvocati del processo Montante sostengono che sia stata fatta confusione e che questo poliziotto in particolare, con questo preciso soprannome, non abbia testimoniato da nessuna parte.

Intanto, come si apprende dall’AdnKronos, l’ex poliziotto sarebbe stato iscritto nel registro degli indagati. Per l’accusa avrebbe ricoperto il ruolo di «compartecipe ed esecutore materiale della strage». L’ex agente tirato in ballo da Riggio ha lasciato la polizia nel 2002. E, oggi, si difende dalle accuse mosse dal collaboratore nisseno, rigettandole con forza e dichiarandosi completamente estraneo ai fatti che gli vengono attribuiti. «Sono innocente, all’epoca dei fatti nemmeno sapevo che esisteva la località di Capaci. Io mi trovavo al settimo corso per sovraintendente che è iniziato nel gennaio 1992 fino a luglio 1992. Ho appreso della strage mentre mi trovavo a quel corso», avrebbe detto lo scorso 6 marzo ai pm nisseni, come riporta ancora AdnKronos. In quell’occasione avrebbe parlato anche dei suoi rapporti con il collaboratore di giustizia Riggio. 

«L’ho conosciuto nel carcere di Santa Maria Capua a Vetere nel 1998. Dopo la scarcerazione lo stesso si era offerto di darmi un lavoro. Poi però dal 2002 in poi non l’ho più visto. Non ho mai fatto alcuna confidenza a Riggio in merito a vicende legate alla strage di Capaci – spiega ancora l’ex poliziotto – né in relazione a un mio coinvolgimento nella stessa. Non so proprio perché mi abbia tirato in ballo in queste vicende». L’ex poliziotto sembra stupito del comportamento di Riggio. E insiste sulla circostanza che non avrebbe mai fatto alcuna confidenza di questo genere al collaboratore nisseno. Che, invece, dal canto suo ha raccontato ai pm di aver appreso di alcuni particolari sulla strage del 23 maggio ’92 proprio da quell’ex poliziotto che, tuttavia, «non mi ha mai detto espressamente che era presente alla strage di Capaci». A suo dire, il suo ruolo sarebbe stato quello di posizionare l’esplosivo sotto l’autostrada. 

Sempre a detta di Riggio, dietro la strage di Capaci ci sarebbero anche i servizi segreti libici. Un dettaglio che dichiara di aver appreso sempre da quell’ex poliziotto adesso indagato dalla procura nissena. Una storia che Riggio avrebbe raccontato anche a una persona con cui era detenuto: il compagno di cella non sembrò meravigliarsi della rivelazione, e avrebbe replicato che l’ex poliziotto «era al Sismi e che il suocero era nei servizi libici e che stava a Catania». Sarebbe stato sempre l’ex poliziotto, ancora una volta, a dire al collaboratore di giustizia che «per le operazioni particolari si avvaleva spesso di una donna che faceva parte dei servizi libici, anche lei coinvolta nella strage di Capaci». Riggio avrebbe raccontato solo ora tutti questi dettagli perché secondo lui «i tempi oggi sono maturi perché si possano trattare certi argomenti senza rischiare la vita. Tanti segnali mi inducono a fare tale affermazione», ha detto ai pm. Come, ad esempio, la sentenza di primo grado del processo sulla trattativa fra Stato e mafia. 

Riggio avrebbe rivelato ai magistrati anche di essere stato rimproverato dall’ex poliziotto da lui tirato in ballo per la scelta di collaborare. Ma non è finita qui. Avrebbe anche riferito che tra la fine degli anni Novanta non ci fosse un vero interesse ad arrestare Bernardo Provenzano e che nel 2000 Cosa nostra avrebbe voluto uccidere l’ex giudice istruttore Leonardo Guarnotta, oggi in pensione, in passato membro del pool antimafia coordinato dal giudice Antonino Caponnetto. Uno di quelli che, insieme a Di Lello, Falcone e Borsellino, istruì il Maxiprocesso. «Ricordo che venne a casa mia (l’ex poliziotto ndr), siamo intorno al 2000, mi tranquillizzò dicendomi che sarei tornato in servizio, che la ‘nostra organizzazione’ aveva bisogno di fare favori alla politica quando ve ne era la necessità – riporta ancora l’Adn -. Mi disse che era stato incarico di uccidere il giudice Guarnotta e che a tal fine aveva già eseguito un sopralluogo nei pressi di un palazzo, ritengo fosse quello dove abitava il magistrato. Ricordo che ci trovavamo in un bar di via Rosso di San Secondo, vicino a un giornalaio. Mentre parlavano fece anche uno schizzo che riproduceva la zona dove si trovava il palazzo. Con una scusa mi allontanai, dicendo che dovevo andare a prendere mio figlio e che sarei tornato da lì a poco».


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