È bastato un provvedimento strumentale, basato sul principio che la cannabis light sia una sostanza stupefacente, per mandare in profonda crisi un settore che in Italia conta 3000 aziende, circa 30mila operatori e un volume d’affari superiore ai 500 milioni di euro. Tutto nasce con l’entrata in vigore del cosiddetto decreto legge Sicurezza, voluto dal governo […]
Il settore cannabis light in Sicilia dopo il dl Sicurezza. «Operai fermi e magazzini pieni. Un disastro»
È bastato un provvedimento strumentale, basato sul principio che la cannabis light sia una sostanza stupefacente, per mandare in profonda crisi un settore che in Italia conta 3000 aziende, circa 30mila operatori e un volume d’affari superiore ai 500 milioni di euro. Tutto nasce con l’entrata in vigore del cosiddetto decreto legge Sicurezza, voluto dal governo di Giorgia Meloni e firmato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’11 aprile scorso. Una misura che ha reso contro legge tutto il comparto emergente della cannabis light: da chi la produce fino a chi vende. «Sono vietati l’importazione, la cessione, la lavorazione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, l’invio, la spedizione e la consegna delle infiorescenze della canapa coltivata», si legge nel testo del decreto. Si possono, invece, utilizzare i semi e il fusto della pianta (parti non contenenti principi psicoattivi) solo per scopi industriali.
Attualmente, non esistono dati ufficiali e precisi sul numero di lavoratori impiegati nel settore della cannabis light in Sicilia. Tuttavia, diverse fonti indicano che l’industria dal 2016 è in crescita e ha offerto opportunità occupazionali significative. In Sicilia, si contano oltre 50 negozi specializzati in prodotti derivati dalla cannabis, con città come Catania e Palermo che guidano il mercato regionale. Un esempio significativo dell’espansione del settore nell’Isola è, per esempio, l’apertura a Ragusa del più grande impianto in Italia per la produzione di derivati della canapa, destinati ai settori farmaceutico e cosmetico.
«Al momento regna l’assoluta incertezza per il nostro settore, che è quello della cannabis light», racconta a MeridioNews Michele D’Agostino dell’azienda Canapa dell’Etna. «La nostra realtà è nata nel 2017 e in pochi anni abbiamo fatto incetta di premi e riconoscimenti. Coltivavamo la canapa nel territorio di Linguaglossa, in provincia di Catania, per poi fare spedizioni sia a livello nazionale che internazionale». Il problema però è tutto legato al futuro: «A pieno regime avevamo impiegati 15 operai, in particolare durante il periodo della raccolta, ma adesso è tutto fermo – continua D’Agostino – Abbiamo anche il problema dei magazzini che sono pieni di prodotto che però non può essere venduto». Un valore economico considerevole che rischia di mettere in crisi le aziende agricole. «Stando così le cose – continua il produttore – bisogna aggiungere anche lo stop alla semina per la prossima stagione. Stiamo saltando un ciclo di produzione. Il danno? Attualmente per noi si attesta sui 200mila euro».
Fondamentale per lo sviluppo di questo settore è stata una legge del 2016 approvata per regolamentare la coltivazione della canapa per fini industriali ma che ha lasciato una sorta di vuoto per quanto riguarda l’utilizzo cosiddetto ricreativo. Da allora ci sono state pronunce e sentenze che hanno escluso il fatto che la cannabis light sia equiparabile a una sostanza stupefacente. In questo senso è fondamentale capire come la cannabis light abbia un livello molto basso di Thc (tetraidrocannabinolo) che è quello che ha un effetto psicoattivo e si lega ai recettori del cervello, alterando l’umore, la percezione e la memoria, mentre contiene maggiori quantità di Cbd (cannabidiolo), principio attivo che provoca un più blando effetto di rilassatezza. L’unica strada all’orizzonte è quella dei ricorsi, ma i tempi non saranno sicuramente brevi e per le aziende è crisi.