Camastra, verifiche sulle presunte infiltrazioni mafiose Dall’interesse per le elezioni all’agenzia pompe funebri

«Voti purtroppo non gliene possiamo levare in questo momento, per rispetto di quello. Perché altrimenti mi sentirei di fargli un tradimento». Sono partiti anche da frasi come questa – contenuta nell’ordinanza dell’operazione Vultur, che ha fatto luce sulla presenza di Cosa Nostra a Camastra – i componenti della commissione inviata, la scorsa estate, dal prefetto di Agrigento Nicola Diomede per capire se nel Comune in provincia di Agrigento possano esserci state infiltrazioni della criminalità organizzata.

A farne parte sono stati la viceprefetta Elisa Vaccaro, il vicecapo della squadra mobile Vincenzo Di Piazza e il comandante del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Agrigento Fabio Sava. A loro il compito di capire se nel piccolo centro di duemila abitanti – soggetto da tempo alle pressioni di Cosa nostra e Stidda, con le due realtà mafiose che, negli anni, hanno alternato periodi di scontri ad altri di convivenza – il clan guidato da Rosario Meli abbia condizionato le scelte dell’amministrazione guidata dal sindaco Angelo Cascià, che respinge ogni accusa. «La mia storia parla per me, non ho mai cercato appoggi di questo tipo. È una vicenda che mi ha dato dispiacere, ho quasi 70 anni e non si impazzisce così di colpo», replica Cascià a MeridioNews. Ex bancario oggi in pensione, Cascià è tornato alla guida del Comune nel 2013. Dopo una prima esperienza iniziata nel 2003 e la riconferma sfumata cinque anni dopo per appena 16 voti. Nonostante non sia stato coinvolto nell’inchiesta, il Viminale ha deciso di chiedere un approfondimento da parte della prefettura per capire se all’elezione del primo cittadino possa essere stata in qualche modo interessato Meli, il quale potrebbe avere influenzato la raccolta del consenso attraverso quella capacità di intimidazione vantata anche nei colloqui in carcere con i familiari: dove, pur consapevole di potere essere intercettato, non esita a definirsi «capomafia»

Conosciuto come u puparu e con alle spalle condanne definitive per mafia, Meli sarebbe stato interessato alla vittoria di Cascià per motivi che, nell’inchiesta Vultur che a luglio 2016 lo ha riportato dietro le sbarre insieme al figlio Vincenzo e ad altre tre persone, rimangono poco chiari. Anche se sono più di uno i passaggi in cui i sodali del capomafia esplicitano su quale candidato puntare. A parlarne per esempio è Lillo Piombo, titolare della tabaccheria che, per i magistrati della Dda di Palermo, sarebbe stata il centro delle attività del clan. Punto d’incontro per risolvere problemi, cassa per il pagamento del pizzo e pure confessionale dove rivelare il contenuto dei colloqui con la polizia. Come accade nell’estate 2013. Un anno e mezzo prima, tra le campagne di Licata e Camastra, erano stati ritrovati i cadaveri di Giuseppe Condello e Vincenzo Priolo. Uccisi con chiare modalità mafiose. Le indagini spingono la polizia a interrogare diverse persone di Camastra, territorio dove Condello in una determinata fase sarebbe stato rivale di Meli, al punto da riuscire a fare valere le proprie richieste estorsive. Gli investigatori appurano che le persone, dopo essere uscite dalla questura, andavano a raccontare a Piombo le domande ricevute. La vicinanza tra quest’ultimo e Meli emerge anche dalle valutazioni politiche: mesi prima, in piena campagna elettorale, il tabaccaio aveva detto di sostenere un candidato, che gli inquirenti identificano in Cascià, per rispetto nei confronti del capomafia. A maggior ragione perché in quel periodo era in carcere: «Se c’era quello qua, possibilmente non mi interessava il resto di niente. Dove votavo votavo, non mi faceva né caldo e neanche freddo. Ma non c’è lui», dice Piombo.

Dal canto suo, però, il primo cittadino si difende sottolineando che «in questi quattro anni non ho mai ricorso a somme urgenze, perché non mi piacciono, non capisco come avrei fatto ad agevolare queste persone». Sulle parole di Piombo, la risposta è netta: «Non so perché sono state dette queste cose, so che ho sempre avuto un comportamento onesto». Le pressioni sulle elezioni si sarebbero però manifestate anche sotto forma di minacce a due candidati della lista che sosteneva l’avversario di Cascià, Gaetano Provenzani. I due hanno raccontato, nel corso del processo che si sta svolgendo nell’aula bunker del carcere di Petrusa, di avere ricevuto minacce da Giuseppe Meli, terzogenito del capomafia. «Ci sconsigliò di candidarci, ci fece capire che avremmo potuto avere problemi e in qualche modo ci disse che non avremmo dovuto portare i voti al candidato sindaco Gaetano Provenzani», hanno detto. Giuseppe Meli è stato arrestato sei mesi dopo l’operazione e oggi deve rispondere di detenzione di arma clandestina e ricettazione

All’attenzione della commissione prefettizia ci sarebbe anche la vicenda legata all’impresa funebre riconducibile ai Meli, già presente nell’operazione Vultur. E in particolare sulla scelta del Comune di non effettuare alcuna segnalazione alla prefettura in merito a questa attività. Titolare è la convivente di Giuseppe Meli. La donna risulta avere aperto l’agenzia a inizio gennaio 2013. Per gli inquirenti, la scelta di costituire e registrare la ditta rappresenta soltanto il debutto ufficiale dei Meli in un settore dove in realtà già in passato avrebbero fatto affari, come soci di fatto – e sottoponendo a estorsione – un’altra impresa di Camastra. Tuttavia, nel momento in cui il titolare di quest’ultima avrebbe iniziato a resistere alle richieste di dividere i ricavi dei funerali, ma non le spese, i Meli avrebbero deciso di mettersi in proprio, consapevoli di non avere bisogno di pubblicità: «Non ho che farmene delle carte appese, io li chiamo e gli dico “vedi che ho aperto l’agenzia”», spiega, come si evince dall’ordinanza, il capomafia Rosario Meli alla moglie qualche settimana prima. 

Ma in che modo il Comune potrebbe avere favorito l’agenzia dei Meli? La risposta starebbe nel possesso dei requisiti morali previsto per potere esercitare le attività funebri. Elementi che, considerati i guai giudiziari della famiglia, avrebbero potuto spingere l’ente locale a chiedere un intervento del rappresentante del governo per valutare un provvedimento interdittivo. A riguardo, il primo cittadino commenta: «C’è un processo in corso, io non so se un Comune può fare questo genere di iniziative senza rischiare di incorrere in qualche causa civile che potrebbe in qualche modo danneggiare l’ente». Mentre sul fatto che i Meli avrebbero praticamente il monopolio dei funerali a Camastra, Cascià si limita a raccontare la propria esperienza. «Posso dire che in questi anni ho avuto tre funerali e li ho fatti tutti con un’altra impresa». Starà comunque al comitato per l’ordine e la sicurezza della prefettura dare un parere a Diomede sulla relazione prodotta dalla commissione ispettiva. Per poi passare la palla al ministero degli Interni a cui spetterà l’ultima parola sull’ipotesi dello scioglimento per mafia del Comune. A Camastra le elezioni amministrative sono previste per questa primavera


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