Luigi Navanzino, Santina Maria Grimaldi e Vincenzo Forgia sono tre professionisti della ceramica. Tutti e tre lavorano nel Calatino e tutti hanno a cuore la più nota delle tradizioni artigianali siciliane. «Un mestiere che continua a tramandarsi di padre in figlio», raccontano. E chiedono sostegno
Caltagirone, nella bottega dei mastri ceramisti «Per innovare serve sicurezza delle tradizioni»
Con le loro radici saldamente legate alla tradizione siciliana e la loro continua tensione verso la sperimentazione, Luigi Navanzino, Vincenzo Forgia, Santina Maria Grimaldi hanno saputo rinnovare l’arte della ceramica calatina. Sempre alla ricerca di svariate soluzioni, ogni loro opera è più un punto di partenza che un punto di arrivo. Luigi Navanzino lo sapeva sin da bambino che voleva diventare ceramista. In fondo, quello di artigiano è un mestiere che ha ereditato dal padre Francesco. Ha solo 35 anni ma può essere considerato a pieno titolo erede della tradizione antichissima della ceramica. «Nelle mie opere – racconta – reinterpreto la tradizione con fantasia, estro e innovazione». Ma la creatività del giovane artigiano si esprime anche nella creazione di preziosi presepi maiolicati con placchette madreperlate.
«Lavoro l’argilla al tornio per dargli la forma desiderata spiega Navanzino – poi faccio asciugare il pezzo, che viene infornato a 980 gradi. Successivamente, smalto l’oggetto che poi decoro a mano». Più che un mestiere è «una passione – dice – con cui bisogna fare i conti in tempi di crisi. La nostra è un’attività di ceramisti a conduzione familiare e questo ci consente di resistere». A differenza di molti ceramisti che scelgono di acquistare il pezzo già pronto da decorare per abbattere gli elevati costi di produzione, i Navanzino restano tra i pochi che realizzano per intero l’oggetto. Ma le difficoltà, ammette, sono tante. «Lo Stato non aiuta e molti giovani interessati a questo mestiere, che continua a tramandarsi da padre in figlio, sono costretti a fare altre scelte».
«Se ancora non ho chiuso i battenti – confessa l’artista calatina Santina Maria Grimaldi, che 30 anni fa si è «reinventata un nuovo modo di trasformare l’argilla» – lo devo a un gallerista inglese che ha acquistato molte mie opere. Tante piccole attività sono finite sul lastrico perché in Italia non ci sono agevolazioni come, invece, nel resto del mondo». L’arte di lavorare la creta lei l’ha appresa nelle botteghe di Gaetano Romano, Mario Lucerna e Vittorio Giuseppe Nicoletti. «Non dimenticherò mai – ricorda a proposito dello zio Nicoletti – l’emozione che sentivo mentre lo osservavo dedicarsi ai suoi lavori artistici». Unica nel suo genere, Grimaldi ha ideato i primi presepi in miniatura maiolicati contraddistinti da preziosi rivestimenti in oro e argento ottenuti con elaborati procedimenti di cottura a terzo fuoco, o addirittura quarto, che conferiscono al pezzo una particolare lucentezza. Malgrado le difficoltà di un settore in piena crisi, l’artigiana invita le future generazioni ad «avere consapevolezza delle proprie tradizioni per puntare al cambiamento».
«Da anni lavoro a un ambizioso progetto», svela il maestro ceramista Vincenzo Forgia, classe 1948, ex professore di Storia dell’arte. Si riferisce alla ricostruzione di un piccolo villaggio museale di cannatari (antichi maestri della ceramica) «che consentirebbe – dichiara – al turista di passaggio di alloggiare a Caltagirone e produrre ricchezza in un territorio fortemente colpito dalla crisi». Oggi, è solo grazie alla pensione che può dedicarsi anche allo studio della ceramica. Di sua recente pubblicazione sono un volume sulle formelle maiolicate (stampi per mostarde) che ha collezionato nel corso degli anni.
Depositario di antiche memorie, conoscitore di tradizioni, simboli e culture, Forgia sperimenta stili e tecniche diverse. Come il raku, per esempio. «È una tecnica di origine giapponese in armonia con i quattro elementi primordiali (terra, acqua, aria e fuoco) presenti anche nel tradizionale presepe siciliano dove l’acqua è rappresentata dalla massaia con la brocca, il fuoco da colui che si riscalda, la terra dai contadini che portano in dono i loro prodotti e l’aria dallo zampognaro che la trasforma in suono». L’artista spiega che realizzare una ceramica con questo metodo è piuttosto complesso:«Durante il processo raku il pezzo subisce un forte shock termico, è quindi necessario utilizzare un’argilla robusta e refrattaria. Che, dopo essere stata modellata, viene cotta a 950 gradi e successivamente decorata con particolari ossidi», conclude.