Calcio Catania, l’inverno del nostro scontento Un pezzo di Siberia sugli spalti del Massimino

E sia: stavolta è fin troppo comodo starsene qui a scrivere, seduti al calduccio, davanti a uno schermo luminoso e tiepido, con un tasso di umidità che – grazie agli artifici domestici dell’elettricità – si approssima a livelli compatibili con la conservazione della specie umana. Stavolta, almeno stavolta, mi sento di spendere due parole in favore di ciascuno degli ottomila tifosi del Catania che, nel pomeriggio di ieri, sedevano sugli spalti del Massimino. O che, se non sedevano, saltellavano su e giù per le scale, o cercavano rifugio all’impiedi sotto l’anello delle tribune. Mentre sotto i loro occhi scorreva la scialba storia di questo Catania-Monopoli finito zero a zero.

Ottomila persone, di ogni età, ciascuna delle quali ha affrontato a suo modo la domenica pomeriggio di un inverno inutilmente annunciato. Chi incoscientemente sfidandolo a capo scoperto e con indosso un giubbottino poco più che decorativo. Chi previdentemente provvedendosi di sciarpe, berretti e maglioni supplementari: per arrendersi sì, ma con onore, alla pioggia e al vento che avrebbero trovato comunque la loro strada. Chi, infine, nascondendo sotto gli abiti civili altri inconfessabili capi di vestiario fuori ordinanza: calzettoni arrotolati attorno ad altri calzettoni, mutandoni del nonno o calzamaglie di ultima generazione sotto la tela dei jeans, pigiami non smessi al mattino per giocarsi al meglio le proprie possibilità di sopravvivenza.

E tutto questo, in quell’angolo di Siberia in cui ieri si è trasformato lo stadio Massimino, solo per veder la nostra squadra raggranellare il solito pareggio interno contro un avversario di nome Monopoli. Un avversario che, sul suo campo, avevamo battuto all’andata. In quel lontano scorcio d’estate in cui, per un attimo, ci s’era illusi che perfino questa potesse essere una stagione felice. Un avversario che ieri ci ha ricordato invece come questo sia il terzo consecutivo inverno del nostro scontento. E lo ha fatto per voce di Matteo Pisseri, indesiderato eroe della partita e soprattutto, per nostra sfortuna, portiere del Monopoli. Che ha messo le mani sulle poche occasioni più o meno casualmente capitate a una squadra – la nostra – che, di idee di gioco, ha mostrato una volta ancora di averne poche, ma confuse. 

Avrebbero meritato, queste ottomila persone, che l’ostinazione con cui hanno sfidato i rigori dell’inverno trovasse un senso almeno nel calcio di rigore che l’arbitro, al trentacinquesimo del secondo tempo, ha assegnato ai rossazzurri. Che, per un attimo almeno, il loro cuore fosse scaldato da un gol che desse un perché a questo pomeriggio. E invece niente: quando il tiro dagli undici metri di Calil si è andato a spezzare sui pugni di Pisseri, l’inverno del loro scontento s’è fatto ancora più inverno. 

Poi, si potrà aggiungere anche che, se la brutta pagina che porta il nome di Pulvirenti non s’è ancora chiusa, ciò si deve anche al fatto che ci sono a Catania ottomila persone che il calcio lo vivono così: ottomila persone capaci di andare alla partita, con questa società, in questa serie C, perfino in un pomeriggio come questo. Si potrà aggiungerlo, e non senza ragione. Ma un altro giorno, quando farà meno freddo. Stavolta, proprio, non me la sento. E, se ieri fossi stato in campo, i loro fischi, a fine partita, sarei andato a prendermeli sotto gli spalti. Almeno questo. 

Ceterum censeo Pulvirentem esse pellendum.


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