Sul banco degli imputati erano finiti il commissario Vincenzo Emanuele, l’allora assessore al Bilancio Gaetano Tafuri, il ragioniere Francesco Bruno, il dirigente all’Urbanistica Luigi Asero e il dirigente al servizio Entrate Carmelo Pricoco. Imputati di falso ideologico. Per Tafuri «sentenza ridà onorabilità a quel periodo»
Buco di bilancio al Comune, tutti assolti Secondo il giudice «il fatto non sussiste»
La città era al buio, i lavoratori senza stipendio, i creditori bussavano alla porta con insistenza. Ma «il Comune in quegli anni riteneva di potere comprare abbonamenti per vedere il Catania Calcio». Il giudice Roberto Passalacqua ha dichiarato assolti «perché il fatto non sussiste» e prescritti il commissario Vincenzo Emanuele, l’allora assessore al Bilancio Gaetano Tafuri, il ragioniere generale Francesco Bruno, il dirigente all’Urbanistica Luigi Asero e il dirigente al servizio Entrate Carmelo Pricoco. Tutti erano accusati di falso ideologico in atto pubblico. Si tratta di uno stralcio del processo sul buco di bilancio a palazzo degli Elefanti, che ha messo sotto la lente d’ingrandimento alcuni preventivi dell’amministrazione guidata dall’ex sindaco Umberto Scapagnini. Il tutto, secondo la procura, per evitare la dichiarazione di dissesto finanziario nel quale sarebbe trovato l’ente. Nel procedimento il Comune di Catania è stato parte civile con l’avvocata Agata Barbagallo. L’accusa lo scorso 28 settembre aveva chiesto la condanna a otto mesi per Vincenzo Emanuele, a tre anni e sei mesi per Francesco Bruno e a tre anni e due mesi per l’allora assessore al Bilancio Tafuri, l’assoluzione per Carmelo Pricoco e l’avvenuta prescrizione per Luigi Asero.
«Questa è la terza assoluzione – dichiara Gaetano Tafuri – e ciò mi commuove perché ho vissuto malissimo in questi anni. So con quale attenzione ho svolto il ruolo di assessore per questa città. La giustizia esiste e ripaga delle sofferenze e per l’impegno messo. È giusto che chi ricopre un incarico istituzionale venga controllato, ma chi lo subisce vive male. Questa sentenza restituisce onorabilità all’agire di quel periodo».
Le indagini, guidate dalla pm Alessandra Chiavegatti, avevano evidenziato le presunte falsità che facevano alterare, sulle carte, i conti. Durante la requisitoria il pm Marco Bisogni ha più volte ribadito: «I bilanci dal 2003 sono inaffidabili; lo dicono le relazioni del ministero, della Corte dei Conti, i fatti. I dati sono stati accertati da più soggetti ed elementi indipendenti. I bilanci di previsione raccontavano una storia che mai si realizzava nel consuntivo». Per l’accusa, infatti, «i conti riportati negli atti non rispettavano i principi di certezza, liquidità ed esigibilità». Le falsità si sommavano; erano l’una dietro l’altra. «La situazione di alterazione della contabilità era macroscopica – prosegue il pubblico ministero – Pur di fare quadrare i conti, con l’operazione Catania Risorse il Comune ha venduto a se stesso anche immobili inalienabili. I debiti fuori bilancio non si riconoscevano in bilancio per evitare l’impatto negativo. Contemporaneamente c’era una sovrastima delle entrate, irrealizzabili». Accadeva così che le fatture di Sidra e Multiservizi «comparivano nei conti delle società – rileva il pm – ma non in quelli del Comune. Alla voce condono edilizio si prevedevano incassi per 40 milioni di euro anche se in una relazione venivano indicati solo quattro milioni. Dopo l’arrivo dei 140 milioni da Roma, la voce arriva pressoché a zero. Insomma era nata in maniera fittizia, fraudolenta». Dietro a tutto, oltre alla responsabilità tecnica, «la scelta di evitare il debito strutturale era politica».
Per Giovanni Rizzuti, difensore di Vincenzo Emanuele, il compito del suo assistito «è durato solo tre mesi e non poteva di certo scoprire quanto si celava dietro ai conti. Doveva fidarsi di quello che veniva presentato e traghettare la città verso nuove elezioni dopo le dimissioni di Scapagnini». Estraneo a ogni responsabilità secondo l’avvocato Enrico Trantino, legale di Gaetano Tafuri, è l’ex assessore al Bilancio che «si è limitato ad apporre un visto, dato che c’è una distinzione di competenze tra la politica e i dirigenti». Ma è stato Carmelo Galati, difensore di Francesco Bruno, a ripercorrere alcuni passaggi tecnici della vicenda conclusa con l’arrivo dei 140 milioni di euro da Roma. Ai quali bisogna aggiungere «i 42 milioni – sottolinea il legale – provenienti dalla Regione. Bruno rappresentò al sindaco che sarebbe servito immettere liquidità». E a lavorare sul versante politico, per fare arrivare la moneta sonante, sarebbe stato Raffaele Stancanelli. «L’attore principale, il merito dei 140 milioni è il suo», dichiara l’ex ragioniere fuori dall’aula.