Sono ore concitate al Teatro Biondo. Lunedì scatterà la cassa integrazione per 10 lavoratori (inizialmente sembrava dovessero essere di più, 12), scelti da tutti i settori tranne la sartoria composta da una sola dipendente. Le lettere con la brutta notizia sono state recapitate solo oggi. I sindacati sono sul piede di guerra e durante l’assemblea di stamattina (presenti l’Ugl e le sigle confederali) hanno lasciato intendere di essere pronti a tutto, dalla trattativa sindacale ad azioni più radicali come lo sciopero, l’occupazione della sovrintendenza o dello stesso teatro.
La prima di Emma Dante, lo spettacolo Odissea a/r che inaugurerà la stagione il 28 ottobre, non è ancora a rischio perchè, dicono le parti sociali, «c’è ancora margine per la trattativa», ma servono risposte immediate: il rientro del taglio di 250mila euro da parte della Regione, l’esclusione di qualunque ipotesi di cassa integrazione (anche per i dieci cui è stata già inviata la lettera) e un piano industriale triennale che contenga collaborazioni con altri teatri, anche all’aperto, prolungamento della stagione anche d’estate (attualmente finisce a maggio e non riparte prima di ottobre), internalizzazione dei servizi come la portineria o il marketing. Anche perchè mettere a rischio anche un solo spettacolo, se non addirittura l’intera stagione, si ritorcerebbe contro gli stessi dipendenti. Per questo non è stata ancora presa alcuna decisione sulle prossime mosse, in attesa che la controparte istituzionale convochi un tavolo tecnico congiunto.
Per chiudere il bilancio in pareggio (mancavano all’appello circa 130mila euro) il teatro in pratica ha deciso di mettere 10 dipendenti in una sorta di cassa integrazione per sei mesi (tecnicamente si chiama fondo di integrazione salariale a circa l’80 per cento dello stipendio), che consentirà allo Stabile di risparmiare circa 120mila euro e raggiungere – o quasi – il suo scopo. Una soluzione cui i sindacati si sono opposti dal primo istante.
«Vogliono assassinare il teatro, lo vogliono privatizzare – attacca Maurizio Rosso della Slc Cgil -. Non serve a niente mandare a casa per sei mesi dodici lavoratori, è una mancia e l’anno prossimo ci saranno gli stessi problemi. Servono soluzioni strutturali, serve un piano triennale di lavoro e investimenti. Come si fa ad andare avanti se i soci non versano le loro quote e se non c’è organizzazione? Bisogna studiare un accordo di secondo livello riorganizzando la struttura del lavoro. Abbiamo fatto tante proposte in questi anni – insiste Rosso -: l’esodo incentivato per sei o sette persone darebbe un po’ di respiro, incentivare la collaborazione fra i teatri, anche quelli in pietra, realizzare una stagione estiva ad esempio in cooperazione con il Verdura, aprire un bookshop e una caffetteria del Biondo, puntare sulla tecnologia. Invece la politica che fa? Continua a tagliare da dieci anni. C’è troppo pressappochismo, così chiudiamo».
«Basta con le bugie – prosegue Rosso -. I lavoratori di questo teatro non guadagnano 50mila euro l’anno ma 22mila lordi e lo Stabile paga 200mila euro di interessi bancari. E poi trovo la proposta che vogliono farci firmare un controsenso: è paradossale che, da una parte, i lavoratori facciano gli straordinari come se ci fosse carenza di personale, e dall’altra ci sia personale in esubero tanto da doverlo mandare a casa per sei mesi, e al contempo, però, si mantengono i servizi esterni. Alajmo? Non sono innamorato di questo o quel personaggio ma ha fatto un buon lavoro. Ha riportato a Palermo una delle più grandi artiste del mondo come Emma Dante, è un prestigio averla qua. E ha creato la scuola di teatro, triplicato gli incassi e quadruplicato gli abbonati. Sono dati oggettivi che nessuno può negare. Dove è mancato è nell’organizzazione del lavoro. Non ha avuto la capacità di guardare a lungo termine, in questo ha peccato e glielo dico sempre: non doveva tagliare l’accordo di secondo livello. Se mancano servizi – conclude Rosso -, la Regione punti sulla formazione: invece di affidarci agli esterni, formi i dipendenti del teatro sui servizi mancanti come la portineria o il marketing eliminando le esternalizzazioni».
Per Nino Ficarra dell’Ugl, direttore degli allestimenti, «è in atto un continuo killeraggio. Ogni anno il consiglio di amministrazione mette in atto programmi sulla base dei fondi promessi dai soci che poi, a somme già impegnate, decide di tagliare. Il prossimo anno il piano di ristrutturazione prevede nuove economie: temo che non ci saranno dodici cassaintegrati ma 48 licenziati, andremo tutti a casa se continua così. Non si possono fare tagli a sorpresa di 100 o 200mila euro dopo che hai già programmato la stagione e hai le bollette da pagare. Il personale del Biondo è ai minimi tabellari di un contratto di lavoro che non viene rinnovato dal 2009. Gli straordinari non sono un capriccio ma una necessità, anzi, per mandare avanti il teatro le maestranze non bastano e serve personale esterno. I soci, cioè Regione e Comune, mantengano gli impegni iniziali». Per Ficarra il riconoscimento di via Roma come teatro nazionale è un palliativo: «Per fare un teatro nazionale servono 16mila giornate lavorative e investimenti di almeno altri 2 milioni di euro l’anno, quando qui si fa fatica a ricevere 100 o 200mila euro. Se il Biondo non deve più esistere lo dicano apertamente. Basta con gli interventi tampone».
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