Bilancio della Regione, il giorno della verità sui conti Intanto il governo centrale impugna un altro collegato

Il conto alla rovescia è ormai finito. Questa mattina alle 11 all’Istituto Storia Patria di Palermo, la Corte dei Conti presenterà il giudizio di Parifica sul bilancio 2018 della Regione Siciliana. I magistrati contabili diranno cioè se le entrate e le uscita dell’anno scorso sono coerenti e sostenibili. Dopo mesi e mesi di attesa, dunque (di norma il giudizio di parifica arriva intorno a giugno), messe da parte le tradizionali arancine di Santa Lucia, si conoscerà l’esatto stato dell’arte dei conti della Regione.

Perché si è arrivati fino a metà dicembre? Fino alla scorsa primavera, i tempi di trasmissione dei documenti finanziari alla magistratura contabile erano stati rispettati. Ma proprio a giugno, quando era attesa la parifica, la Corte dei Conti in una lettera ha comunicato alla Regione che sarebbe stato necessario un ulteriore approfondimento dei residui attivi e passivi inseriti in bilancio, che avevano appunto prodotto un disavanzo le cui cifre non convincevano la magistratura contabile. Cos’è, in soldoni, il disavanzo? La differenza del totale delle entrate rispetto al totale delle uscite. Al fianco della parole disavanzo, spesso si sente parlare di residui attivi e residui passivi. I primi sono le previsioni di entrate nel bilancio regionale che, nonostante siano state emesse (ad esempio in termini di cartelle esattoriali), non sono effettivamente state riscosse. Nel caso dei residui passivi, al contrario, sono pagamenti che la pubblica amministrazione avrebbe dovuto saldare e non ha saldato. In entrambi i casi, dunque, si sarà creato un disallineamento tra la previsione e la realtà del bilancio.

Ma la Corte dei Conti non si è limitata a chiedere spiegazioni sul disavanzo per il 2018 (che parrebbe ammontare a oltre 450milioni di euro), alla luce del fatto che il precedente governo non aveva rispettato i tempi della ricognizione previsti dal decreto 118 del 2011. Nei precedenti decenni, infatti, era prassi che, non soltanto in Sicilia, si creasse un disallineamento tra le previsioni di entrata nelle casse regionali e le uscite effettive. Una modalità a cui Roma ha appunto deciso di mettere fine nel 2011, con il decreto legislativo 118 in materia di armonizzazione dei sistemi contabili degli Enti Locali. In quel documento si dava tempo alle Regioni e agli Enti Locali fino al 31 dicembre 2015 per chiarire a quanto ammontasse il proprio disavanzo complessivo, dando la possibilità di spalmarlo in trent’anni.

In Sicilia, questo lavoro non è stato fatto. Così ecco che la scorsa estate la Corte dei Conti scrive nuovamente alla Regione, chiedendo il dato, questa volta reale e certificato, sul disavanzo complessivo. È così che la Ragioneria generale, diretta da Giovanni Bologna, in poco più di un mese provvede all’accertamento dei bilanci passati, con un esame su 64mila capitoli in uscita e 14mila capitoli in entrata. Sulla base di questo lavoro fatto dalla Ragioneria e presentato alla Corte dei Conti, la Regione ha annunciato a settembre il blocco della spesa, almeno fino alla parifica: il disavanzo, dopo il riaccertamento, era aumentato ancora di 400 milioni di euro. Che si aggiungono ai 450 già certificati per il 2018. E a quelli che arrivano dagli anni ancora precedenti e che, sommati, ammonterebbero a quasi otto miliardi di euro. 

Sulla disputa legata ai conti della Regione (e alle responsabilità politiche) proprio lo scorso settembre è stata sancita una spaccatura significativa tra il governatore Nello Musumeci e il presidente dell’Assemblea, Gianfranco Micciché. Il primo ha accusato l’Ars di avere voluto i testi collegati alla Finanziaria, cioè tutta una serie di norme e provvedimenti di spesa che non sono finiti nel principale documento contabile ma in testi allegati; Micciché ha rispedito le accuse al mittente, sostenendo invece che quei disegni di legge che per mesi hanno paralizzato il lavoro dell’Ars fossero frutto della volontà politica dell’esecutivo. E c’è da scommetterci che le polemiche non si placheranno adesso. In parte per l’atteso giudizio parifica, che si preannuncia di lacrime e sangue, in parte per la tegola piovuta ieri pomeriggio, quando il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia, ha impugnato il collegato in materia di attività produttive, «in quanto – si legge nella nota di Palazzo Chigi – varie norme eccedono dalle competenze attribuite alla Regione dallo statuto speciale e violano vari principi costituzionali». Dalla norma sull’edilizia popolare, fino agli articoli sul personale regionale, anche sanitario. Così l’Ars sarà chiamata ancora una volta a fare marcia indietro, prendere atto degli errori commessi, rettificare e correggere il tiro sui profili di incostituzionalità sollevati da Roma. Già a ottobre, infatti, il consiglio dei ministri aveva impugnato altri due collegati: quello sulle autonomie locali e quello sul personale e pubblica amministrazione. 

Il quadro, insomma, è tutt’altro che rassicurante. Al contrario, lo scorso 5 dicembre il procuratore della Corte dei Conti, Maria Rachele Aronica, ha anticipato che «c’è da recuperare parecchio disavanzo» di cui una buona parte «già va recuperata sul bilancio di quest’anno. Spero che la Regione non produca ulteriori disavanzi».

Ma a quanto ammonti complessivamente il «buco» nei conti della Regione, lo si saprò con certezza soltanto questa mattina. Poi sarà corsa contro il tempo per approvare entro fine anno le variazioni e l’assestamento di bilancio, i debiti fuori bilancio e l’esercizio provvisorio.


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