Beppe Fiorello nel noir mediterraneo

Si sono concluse da pochi giorni a Catania le riprese di “Troppi equivoci”, il cui protagonista principale è Beppe Fiorello. L’episodio fa parte della serie televisiva Crimini – curata da Giancarlo De Cataldo e che comprende otto storie – è stato scritto da Andrea Camilleri, per la regia di Andrea Manni e prodotto da Rai Fiction e Rodeo Drive Media. Nella città di Catania la produzione è stata per due settimane, nelle quali hanno girato buona parte delle scene. Tra gli altri attori c’erano anche i catanesi Gilberto Idonea e Antonio Catania. Noi abbiamo incontrato Beppe Fiorello sul set televisivo, mentre girava una scena. 

Lei ha iniziato televisivamente con il Karaoke e poi è approdato alla fiction. Come è avvenuto questo passaggio?
Io devo moltissimo a due personaggi, Nicolò Ammaniti e Marco Risi. In primis Ammaniti che mi ha incontrato a Riccione, dieci estati fa, dove si trovava per presentare un suo libro, “L’ultimo capodanno”, di cui Marco Risi stava scrivendo la sceneggiatura. Lui in quella occasione mi conobbe, mi guardò, mi studiò e mi chiese di fare uno dei personaggi di “L’ultimo capodanno”. Io all’epoca stavo quasi per intraprendere la carriera musicale.  Sotto le insistenze di Ammaniti per farmi fare un provino con Risi, che tra l’altro feci malissimo apposta forse perché la carriera musicale e discografica mi stava piacendo tanto, convinsi ugualmente Risi che io ero il personaggio che lui cercava. 
In questo film mi notò Carlo Verdone, che mi volle per un “C’era un cinese in coma” e tra questi e altri film è arrivata la fiction. Con Sironi raccontammo l’assassinio di Salvo D’Acquisto, e poi i grandi personaggi che mi hanno portato fino ad oggi. 

Lei ha interpretato diversi personaggi vissuti realmente. Che emozione le dà farli rivivere per trasmettere al pubblico i loro tratti?
Quando vado a raccontare storie di personaggi realmente esistiti o storie realmente accadute, provo una sensazione di rispetto per una persona che ha subito un’ingiustizia nel caso di “Un uomo sbagliato” una sensazione di stima per il personaggio come Salvo D’Aquisto. E poi una grande voglia di saperne di più di quel fatto o di quel personaggio.

Spesso scelgo di fare un film ponendomi sempre da spettatore alla lettura della sceneggiatura e cerco di capire se io quel film lo vedrei o no. “Troppi equivoci” l’ho scelto, come tutti gli altri miei film,  perché lo avrei visto  se lo avesse fatto un altro attore e poi perché c’è una firma che è quella di Camilleri, che io stimo moltissimo. Inoltre l’ho scelto perché c’è la storia di un uomo qualunque, che io amo moltissimo.

Con “Troppi equivoci” la vedremo nel genere noir medirettarneo…
Sì, mi ha appassionato molto, non avevo mai fatto un giallo se non a teatro una volta.

“Troppi equivoci” è la storia di un ragazzo che si trova sommerso in una situazione  troppo più grande di lui. E’ un giallo ambientato a Catania, il linguaggio è quello tipico di Andrea Camilleri, ma un po’ più dinamico, più moderno, meno arcaico di Montalbano.

Ha mai incontrato Camilleri?
Non l’ho mai conosciuto, ma spero di incontrarlo presto. Dai racconti che mio fratello mi fa deve essere una persona divertentissima. La sua imitazione in radio mi diverte moltissimo, il che mi fa capire che Camilleri è una persona di grande ironia, simpatia e spessore. Lui la Sicilia la racconta bene perché sa cogliere spesso anche quel sano cinismo della Sicilia, che spesso è crudele verso gli altri, rende una Sicilia molto profumata nei suoi racconti, di cui mi piace molto anche il linguaggio che usa.
Poi c’è stata l’espressione televisiva di Montalbano, che è stata fedele alla scrittura dei racconti, grazie al regista Sironi, lo stesso di Salvo D’Aquisto, e grazie a Luca Zingaretti che nonostante la sua non sicilianità, ha interpretato un ottimo siciliano, perché è un grande attore. 

Facciamo un salto indietro, quando il suo amato padre le diceva che da grande avrebbe fatto l’attore…
Non è proprio che mi diceva così. Ma aveva intuito che nel mio essere un po’ timido, un po’ più silenzioso rispetto ai miei fratelli, meno estroverso, lui in quei silenzi diceva che c’era della poesia, del talento poetico nel senso attoriale del termine. Io ridevo perché pensavo che un attore non poteva avere un carattere come il mio. Nell’adolescenza ero convinto che per fare l’attore bisognasse essere per forza estroverso e sfacciato, guardando all’esempio di mio fratello,  che era così. Secondo me bisognava essere come lui, ma negli anni ho capito che il mio carattere è un’essenza fondamentale per fare questo mestiere.

Mentre per Fiorello non è così?
Viceversa per mio fratello si è svelato che quella sua sfacciataggine e quel suo essere estroverso lo porta a pensare che lui non possa essere un attore. Ma questo lo dice lui e forse ha ragione, perché lui si svela talmente tanto da temere che il pubblico vedrebbe troppo Fiorello,  sostenendo che lui non può nascondersi dietro un personaggio.
Personalmente il pubblico mi conosce meno, quindi riesce ad identificarsi nei miei personaggi. E questo è uno dei segreti dell’essere attori.

Ecco perché l’intervista per un attore è sempre un po’ faticosa, non perché siamo snob, ma perché spesso svelare tutto di noi può rovinare la fantasia del pubblico. Se la gente sa troppo di me, non si può identificare quando io vado a proporre dei personaggi. L’attore deve essere sempre il più misterioso è possibile. Se no si rovina una magia, io credo che sia questo uno dei segreti che un grande attore deve avere. 

Quali sono i suoi progetti fra cinema e televisione? 
Prima di “Troppi equivoci” andrà in onda Joe Petrosino, un grande personaggio che ha combattuto la mafia già dai primi del Novecento. E’ stato ucciso a Palermo dalla mafia il 12 marzo 1909, esattamente 60 anni dopo la mia nascita, io sono nato il 12 marzo 1969.

Poi ho un progetto cinematografico che racconterà di una tragedia accaduta nel Canale di Sicilia, nella notte di Natale del 1996, quando una nave di clandestini fu speronata mentre stava tentando di fare un passaggio di consegne di questi esseri umani, andò a picco e morirono 280 persone. Per molti anni non si disse nulla di questa vicenda fin quando un pescatore di Porto Palo decise di raccontare che quando pescavano, spesso tra i pesci trovavano resti di persone, a un amico che conosceva un giornalista di Repubblica, ma nonostante l’inchiesta di Repubblica, di Gian Maria Bello, non fu mai detto nulla, mai è stata denunciata veramente questa faccenda che coinvolge in po’ tutto il Mediterraneo. Non c’è una parte politica che ha più o meno colpevole. Cerchiamo di capire chi c’è dietro un clandestino perché arrivano e di rispettarli un po’ di più. 

Melania Mertoli

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