Paolo Salvatore Sangiorgi è stato denunciato, insieme ai familiari, per invasione di terreni ed edifici. La villa, la casa e il garage di Palagonia gli erano stati tolti nel 2016, «eppure tutto è rimasto nella sua disponibilità», lamentano gli attivisti
Beni occupati dal trafficante nonostante la confisca «Assurdo sia stato il cicerone durante i sopralluoghi»
Beni confiscati definitivamente da settembre del 2016 ma, dopo oltre quattro anni, ancora occupati abusivamente proprio da chi aveva subito la confisca. Il 60enne Paolo Salvatore Sangiorgi è stato definito un «trafficante di droga» dai carabinieri di Palagonia che lo hanno denunciato, insieme alla moglie (di 54 anni), alla figlia (19 anni), al figlio (36 anni) e alla moglie di quest’ultimo (di 32 anni), per invasione di terreni ed edifici. In effetti, l’uomo nel suo curriculum criminale può vantare una condanna (già scontata) a 14 anni di carcere per associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di droga. Sangiorgi è anche il titolare del bar rimasto ferito nell’agguato in cui è stato ucciso il consigliere comunale di Palagonia Marco Leonardo, nell’ottobre del 2016.
«Quando abbiamo fatto la richiesta per il sopralluogo di quei beni (che sono stati inseriti tra quelli messi a bando dall’Agenzia dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, ndr) – spiegano a MeridioNews Matteo Iannitti de I siciliani giovani e Dario Pruiti di Arci Sicilia – il coadiutore Santi Cutrali ci ha avvisati del fatto che fossero tutti e tre occupati». Nell’edificio di via Cesare Battisti abita Sangiorgi con la moglie e la figlia; nella villetta nel terreno di contrada Codavolpe vive invece il figlio con la moglie; il garage di via Grotte è diventato un deposito di minimoto, biciclette e quad. «La cosa surreale è stata che ad accompagnarci e a farci da cicerone, con un senso di impunità totale – sottolineano gli attivisti – sia stata proprio la persona a cui quei beni sono stati tolti anni fa e che continua, invece, ad averne la piena disponibilità». Nonostante un’ordinanza di sgombero già comunicata sia agli occupanti che alla prefettura di Catania due anni fa.
Subito dopo il sopralluogo, i rappresentanti delle associazioni sono stati auditi in commissione regionale antimafia. «Abbiamo anche riferito – sottolineano gli attivisti – che l’edificio in cui vive Sangiorgi è dotato di un sistema di videosorveglianza attivo, e che riprende anche la pubblica via, i cui monitor sono collocati al primo piano dell’abitazione». Il secondo piano, invece, è ancora allo stato grezzo e viene utilizzato per stendere la biancheria o come ripostiglio e deposito. «È ovvio – sottolineano dalle associazioni – che su questi beni non abbiamo alcuna intenzione di presentare nessun progetto».
Da quando l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc) ha pubblicato il primo bando per individuare enti, associazioni e cooperative sociali a cui assegnare a titolo gratuito i beni confiscati, si è aperto un mondo. A ogni sopralluogo almeno una anomalia: tracce di presenze recenti nel quartier generale del clan Zuccaro a Gravina; il bene dello Stato (che era appartenuto a Domenico Piticchio, il cognato dell’ex consigliere provinciale dell’Udc Antonino Sangiorgi, condannato nell’inchiesta Iblis) a Palagonia in cui lo Stato, almeno inizialmente, non è potuto entrare perché bloccato da un lucchetto; un canile in una villetta a Pedara gestito da una associazione con l’autorizzazione – non ufficiale, ma solo una concessione verbale – dell’ex sindaco; e anche il caso di un appartamento a Pedara abitato da una famiglia che stava per comprarlo prima del provvedimento di confisca.