Sono 26 i piani di riutilizzo di immobili e terreni sottratti alle mafie co-finanziati dall'Unione europea e dal fondo di rotazione nazionale. Tutti però in ritardo di due-tre anni rispetto ai tempi previsti. Tra autorizzazioni che arrivano dopo mesi, pochi funzionari dedicati e ipoteche delle banche
Beni confiscati, i progetti frenati dalla burocrazia «Solo le telefonate costano più del finanziamento»
«La vicenda dei beni confiscati insegna una cosa: su questa materia gli enti si stanno facendo le ossa giorno dopo giorno». E ne passano tanti di giorni affinché un bene confiscato a Cosa nostra in Sicilia diventi fruibile per la collettività. Nonostante l’isola sia la prima regione italiana per numero di appartamenti e terreni sottratti alle mafie – il 43,53 per cento nazionale -, meno della metà di questi sono davvero nella disponibilità dei cittadini. E non solo per problemi di fondi. Al momento, dei 26 progetti di riutilizzo co-finanziati dall’Unione europea e dal fondo di rotazione nazionale, neanche uno è ufficialmente terminato. Perché ancora non assegnato a un’associazione o a una cooperativa, oppure perché le aziende coinvolte nei lavori non hanno ancora ricevuto tutti i pagamenti dovuti. I ritardi rispetto ai piani iniziali sono in media di due-tre anni. «Per un progetto di mille euro o per uno di un milione le carte sono uguali, un fascio alto così», lamenta un dipendente comunale del Ragusano. «Solo le telefonate ci stanno costando più del finanziamento», continua. «Spesso, più che applicare le norme in maniera ferrea, serve il buonsenso. Anche perché già sulla carta sforeremmo i tempi previsti», aggiunge un collega di un Comune del Palermitano. I dipendenti pubblici denunciano la schizofrenia di una burocrazia a tre diversi livelli: regionale, nazionale ed europea.
Nel caso dei beni confiscati basta una tiepidezza dei funzionari per fallire
Dei 26 beni interessati dai finanziamenti, la maggior parte sono concentrati in provincia di Catania e Palermo. In questi casi a gestire la partecipazione al piano sono due consorzi creati tra alcuni Comuni dell’area, anziché le singole amministrazioni. Seguono Trapani, Ragusa, Caltanissetta e Siracusa. Intese come province. Si nota infatti l’assenza di grandi città e capoluoghi. Di base l’iter è abbastanza semplice: dopo la confisca, i beni vengono assegnati ai Comuni che possono scegliere se tenerli per sé o riassegnarli ad associazioni e cooperative per fini sociali. Spesso però per eventuali ristrutturazioni o adeguamenti non ci sono i fondi. E qui entrano in gioco i finanziamenti, a cui si concorre presentando un progetto. «Una volta approvati, le scadenze sono dettate dalla Comunità europea – spiega un dipendente comunale – Quando non le rispettiamo, il progetto viene definanziato ed è il Comune a doverne sostenere il costo». Al netto delle proroghe, diventate ormai un’abitudine. «Solo che magari chiedi sei mesi in più e ti rispondono dopo quattro mesi», sorride amaro il responsabile dei Lavori pubblici di un Comune del Palermitano.
Gli errori
La gran parte dei ritardi sembra accumularsi in partenza. Addirittura a partire dalla confisca.
«Quando l’immobile è stato assegnato dall’Agenzia nazionale dei beni confiscati al Comune ci si è basati solo sugli intestatari catastali, cioè il boss, senza fare una visura ipotecaria – racconta Salvatore La Rosa, geometra del Comune palermitano di Trabia – E infatti nel nostro caso c’erano le ipoteche delle banche. Per risolvere la situazione abbiamo perso tempo e il Comune si è dovuto accollare le spese». Un errore non isolato, ripetuto anche a Lentini. Non solo. «Durante il percorso di approvazione delle procedure, il Genio civile e la Regione hanno sollevato un rischio esondazione relativo alla vicinanza di un torrente, nonostante fosse già stato verificato in fase di presentazione del progetto», spiega Armando Rossitto, volontario di Libera, ex vicesindaco e assessore alla Legalità del Comune di Lentini. Un caso che fa il paio con la necessità – scoperta solo dopo – di demanializzare un torrente nel Comune di Partinico.
I tempi e la burocrazia
Al netto degli imprevisti, anche le fasi più semplici nascondo delle complicazioni. «I contratti prima di diventare esecutivi devono essere autorizzati, ma possono passare anche tre mesi e intanto i lavori si dovrebbero bloccare, altrimenti rischiamo grosso – spiega un responsabile comunale che preferisce restare anonimo – Se si fosse verificato un infortunio, io sarei uscito dal Comune in manette. Com’è possibile così rispettare le scadenze?». «La costruzione del nostro progetto è finita, ma manca da stipulare il contratto per gli arredi per i quali dobbiamo affidarci alla lista di fornitori delle pubbliche amministrazioni – aggiunge Marco Antonio Bascio, geometra del Comune di Campobello di Mazara – Solo che questa procedura costa di più, ha tempi più lunghi e io, che sono un tecnico e non un amministrativo, sono in difficoltà. Ho chiesto aiuto ai miei colleghi del Comune». Tempi lunghi a cui si sommano quelli delle prefetture per controllare la lista dei soci dei gruppi che vincono il bando di assegnazione.
Per avere una risposta passano tre mesi. Com’è possibile così rispettare le scadenze?
Le competenze
E proprio le competenze sembrano essere spesso l’intoppo principale. Tanto a livello locale come nazionale. «A Roma hanno creato una struttura dove ci sono pochi funzionari che non credo si siano sempre occupati di opere pubbliche. Non dico che siano impreparati, ma non ci capiamo e si crea un cortocircuito. Magari è anche colpa del carico di lavoro, perché hanno più di 200 Comuni da gestire», si sfoga un altro dipendente, riferendosi all’Agenzia nazionale dei beni confiscati, da sempre in carenza di organico. «È facile per loro fare dei rilievi immotivati ai progetti, ma io per smontarli perdo dei giorni – continua – Se conto le ore passate a sollecitare e a spiegare… Cose allucinanti che in 27 anni di lavoro non mi erano mai capitate». Un
leitmotiv che accompagna i racconti degli uffici di quasi tutta l’isola, con poche variazioni sul tema. «Spesso però anche nelle pubbliche amministrazioni non ci sono le competenze e l’aggiornamento necessari – commenta Rossitto – Le lungaggini burocratiche sono dovute alla necessità di evitare errori e infiltrazioni che screditerebbero le istituzioni, ma nel caso dei beni confiscati basta, non dico una contrarietà, anche una tiepidezza da parte dei funzionari e degli enti locali per fallire». Un sentimento riassunto così da Bascio: «Più difficili di questo progetto fino a oggi non me ne sono mai capitati».