Benedettini, studiosi a confronto su presente e futuro «Le nostre ricerche? Hanno sempre impatto sociale»

«È un tema caldo quello del contributo che gli umanisti possono dare nella società contemporanea». Entra subito nel cuore dell’argomento Marco Mazzone, professore associato di Filosofia e teoria dei linguaggi e moderatore, all’ex Monastero dei Benedettini di Catania, del quarto Colloquio Disum, Presente e futuro della conoscenza, l’appuntamento che ogni anno riunisce i docenti del dipartimento di Scienze Umanistiche in un confronto a più voci. «Si tratta della quarta edizione del colloquio – spiega Mazzone a MeridioNews – ed è in linea con un percorso intrapreso già dalla seconda edizione». Se l’obiettivo iniziale era quello di mettersi reciprocamente a conoscenza sulle linee di ricerca in un incontro interno al dipartimento, dal secondo anno si è creata una finestra di dialogo tra il dipartimento e il mondo esterno

«Che siano istituzioni e imprenditoria locale e nazionale, il Ministero della ricerca, la città o gli stakeholders, ovvero persone influenti». Quest’anno maggiore coinvolgimento anche degli ex studenti. «Abbiamo coinvolto i laureati nell’ambito del patrimonio culturale, che oggi nel campo dell’umanistica digitale sono ormai professionisti e che racconteranno le loro esperienze e in che misura il percorso di studi catanese li abbia preparati a dovere». Come nel caso della studentessa, oggi project manager in progetti della comunità europea, che in un video messaggio sottolineerà come la visione da umanista in qualche caso sia più adeguata rispetto a quella specifica su singoli problemi o su dettagli tecnici. L’umanista diventa così quasi un opinionista, che valuta le situazioni e indirizza il lavoro della squadra. 

«Oggi i progetti di ricerca europei devono tutti contenere delle competenze di tipo umanistico – osserva il professore – perché le ricadute di temi caldi spesso hanno a che fare con aspetti di questo tipo». Qual è quindi il ruolo che gli umanisti dovrebbero avere rispetto a temi quali quelli dei diritti negati, della deviazione culturale o della gestione dei conflitti? «Sempre più saremo valutati per l’impatto sociale delle nostre ricerche. Che forse è meno immediato e meno facilmente misurabile, ma è fondamentale nel tempo e il caso della mediazione culturale lo dimostra. Quando si tratta di affrontare problemi dove nessuna procedura meccanica o algoritmica può essere di supporto – continua – per esempio costruire identità, relazioni o confrontarsi con problemi sul terreno dell’incertezza, dove non abbiamo ancora conoscenze tecnicamente e scientificamente provate, l’umanista può fornire una propria specifica competenza».

Come iniziano a capire anche i giovani studenti di Filosofia e teoria dei linguaggi. Mazzone insegna in diversi corsi di laurea, a studenti con varie ambizioni. L’approccio in generale pare buono, c’è interesse per la materia, anche se bisogna fare una distinzione. «Quando insegno in corsi di filosofia il contenuto filosofico è più in primo piano, con la triennale invece faccio perno soprattutto sull’idea che avere conoscenze di tipo teorico-linguistico fornisce una strumentazione di metodo nella comprensione e nell’analisi di testi. Oltre a fornire competenze di base necessarie per la formazione dello studente». Che per essere completa ha bisogno di un lavoro quotidiano concreto su testi e contesti. «Riassumiamo, analizziamo, individuiamo parole chiave e il modo migliore per esporre un testo in modo orale e scritto».

«Bisogna essere un po’ strabici oggi per formare un umanista all’altezza, nel senso che si deve riuscire a non perdere di vista il passato e la tradizione, con tutto quello che di straordinario e profondo ha da darci». Ma è fondamentale anche un occhio al futuro, alle tecnologie, a come sta cambiando il mondo del lavoro. «Penso che un buon corso di laurea, oggi, debba avere buon equilibrio tra queste due componenti. Se li attrezziamo bene i nostri studenti avranno anche opportunità in questa direzione moderna».


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