Riposto, parla l’avvocato dell’omicida-suicida: «Lo avevo visto il giorno prima ed era sereno come sempre»

«Lo avevo visto il giorno prima e mi è sembrato normale, tranquillo e sereno come sempre». A parlare a MeridioNews è l’avvocato Antonio Cristofero Alessi, il legale che negli ultimi anni ha assistito Turi La Motta. L’uomo condannato all’ergastolo che sabato mattina, durante l’ultimo giorno della settimana di permesso premio, si è suicidato davanti alla caserma dei carabinieri di Riposto dopo avere ucciso Melina Marino, la 48enne con cui avrebbe avuto una relazione, con un colpo di pistola alla testa. La stessa arma usata, novanta minuti dopo per sparare al volto della 50enne Santa Castorina. Sul collegamento dei due delitti e sul movente gli inquirenti stanno ancora indagando anche tramite l’analisi di tabulati telefonici e contatti sui social network. Il punto fermo tra le ipotesi è che tutti e tre si conoscevano: La Motta e Marino – non sposata e madre di due figli – sarebbero stati legati da un rapporto sentimentale che Castorina, in qualche modo avrebbe potuto ostacolare.

«Conoscevo bene anche le due vittime – aggiunge l’avvocato parlando al nostro giornale – che davvero erano delle persone per benissimo. E, ovviamente, conoscevo bene il mio assistito. Anche nell’ultimo periodo, non avevo notato nessun tipo di cambiamento in lui, né nell’umore né nell’atteggiamento». Fratello di Benito, ritenuto il rappresentante della famiglia di Cosa nostra dei Santapaola nel territorio di Riposto, Turi La Motta era stato condannato all’ergastolo – con sentenza definitiva nel 2000 – per associazione per delinquere di stampo mafioso e per due omicidi, quelli di Leonardo Campo e di Cosimo Torre. Dopo anni passati in carcere, l’uomo era stato inserito in un progetto di lavoro fuori dalle mura dell’istituto penitenziario lavorando prima in un’attività di produzione di formaggi e poi in un panificio della cittadina ionica in provincia di Catania. L’intero periodo di pandemia dovuta al Covid-19, La Motta l’aveva trascorsa in regime di semilibertà vigiliata, vivendo in casa del fratello Daniele e della cognata. Nel carcere non rientrava neanche per dormire la notte. Finita l’emergenza pandemica, il 63enne era tornato detenuto nell’istituto penitenziario di Augusta potendo però continuare a lavorare e a usufruire dei permessi premio. Su questo, già ieri il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha chiesto all’ispettorato generale di avviare urgenti accertamenti.

«Quello dei giorni scorsi – sottolinea l’avvocato Antonio Cristofero Alessi – non era il primo. Aveva sempre mantenuto una buona condotta. Non c’era stato nessun segnale pregresso e nessuno poteva immaginare ciò che poi è accaduto». Fin dal ritrovamento del primo dei due cadaveri vicino a un rifornimento sul lungomare di Riposto, La Motta è stato il sospettato numero uno. Tanto che i carabinieri hanno invitato l’avvocato, che casualmente si trovava in caserma per un altro caso che segue, a telefonargli per farlo costituire. «L’ho chiamato al cellulare e mi ha risposto subito – racconta il legale – Gli detto: “Vieni che ti stanno cercando tutti” e lui, chiamandomi per nome, si è subito mostrato disponibile: “Sto venendo, vengo io lì“». E, in effetti, cinque minuti dopo la telefonata, La Motta si è presentato davanti alla caserma dei carabinieri di Risposto con già l’arma in mano. «Io sono rimasto all’interno ma ho sentito i militari, che erano scesi, più volte intimargli di buttare la pistola a terra. Poi ho sentito lo sparo. Non hanno potuto fare niente per disarmarlo – sostiene il legale – Io speravo che sapendo della mia presenza e della mia disponibilità a continuare ad assisterlo, si tranquillizzasse».

Intanto, oggi c’è stato l’interrogatorio di garanzia del pregiudicato 55enne Luciano Valvo che è stato arrestato con l’accusa di concorso in omicidio per avere accompagnato in auto La Motta per il primo delitto. Davanti al giudice per le indagini preliminari Luca Lorenzetti, Valvo si è avvalso della facoltà di non rispondere affermando solo di essere innocente e che a La Motta si è limitato a dare un passaggio a bordo della sua Volkswagen Golf di colore nero. È stato poi il suo avvocato difensore Enzo Iofrida a dichiarare che non è vero che il suo assistito fosse pronto a scappare quando è stato fermato in casa sua e nemmeno che, dopo il primo delitto, abbia riaccompagnato La Motta a casa. «Abbiamo il gps che lo dimostra». Il gip si è riservato la decisione sulla convalida del fermo e sulla misura cautelare a carico dell’uomo che, al momento, si trova detenuto nel carcere di piazza Lanza a Catania.


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