Autonomia, quale futuro attende lo statuto siciliano Mangiameli: «Senza politici validi non si va lontano»

Quello del futuro dell’autonomia in Sicilia è forse il nodo attorno al quale si è maggiormente polarizzata la campagna elettorale per le Regionali di domenica prossima. Le posizioni a riguardo sono molto contrapposte, a partire dalla rivendicazione dello statuto speciale da parte di Gaetano Armao – designato assessore all’Economia da Nello Musumeci – all’ipotesi abolizione portata avanti dal sottosegretario alla Salute e braccio destro di Matteo Renzi in Sicilia Davide Faraone. MeridioNews ne ha parlato con il professore Rosario Mangiameli, ordinario di Storia contemporanea al dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Catania.

Cosa ne pensa della proposta di referendum di Davide Faraone per abolire l’autonomia siciliana?
«Quanto chiede Faraone è in linea con la proposta del referendum dello scorso anno, ovvero di centralizzare nelle mani di un potere tutta una serie di prerogative, ma ricordiamoci che non andò in porto. L’attuale governo manda avanti i suoi provvedimenti a colpi di fiducia. Poi ci sono le interferenze per persuadere l’elettorato: “i mercati dicono”, “l’Europa ci chiede”. È una tendenza molto forte quella di tirare in ballo entità estranee alla sovranità popolare che vengono sempre evocate per prendere decisioni. Non mi sorprende che si voglia abolire le specialità, ma nel frattempo al Nord si fanno referendum per stabilire una nuova autonomia».

Il governo attuale ha instaurato un cattivo rapporto con le regioni autonome?
«Le regioni del Nord e del Sud hanno con lo stato centrale un rapporto diverso, le prime non volgono pagare le tasse, le seconde chiedono aiuto. Nella logica dello Stato democratico esiste i principio di sussidiarietà e solidarietà nazionale, secondo cui bisogna aiutare le parti meno avanzate. Inoltre bisogna ricordare che l’industrializzazione al Nord è avvenuta anche grazie al lavoro degli emigranti meridionali. L’industrializzazione, non l’hanno fatta da soli ma anche grazie al lavoro dei nostri nonni e padri: quella ricchezza è di tutti e deve servire a tutti, anche ad aiutare coloro che si trovano lontani dai processi di sviluppo».

Cosa bisogna fare?
«Sviluppare una maggiore solidarietà nazionale, ma anche quella internazionale. Accogliere e regolamentare è la prima cosa, poi dare diritti, mettersi nella possibilità di una collaborazione vera rispettando il principio di solidarietà nel nostro paese e nell’Unione Europea. L’emigrazione e la buona accoglienza dei migranti possono contribuire alla nostra ricchezza, ma con il riconoscimento dei diritti altrimenti si generano violenza, delinquenza e antagonismo in politica».

L’autonomia è una risorsa o va abolita?
«Come al solito diamo la colpa dell’incapacità politica alle istituzioni. Si può dire di tutto, ma il problema è come la gestiamo questa autonomia. Se non c’è una classe politica valida, come non c’è, se non c’è rapporto corretto tra governanti e governati, non arriveremo mai da nessuna parte».

Nove anni fa Raffaele Lombardo vinse le elezioni con un programma autonomista. Oggi invece c’è chi pensa di vincere puntando sull’abolizione della specialità. Cosa è cambiato?
«Lombardo si mise nella condizione di sfruttare l’onda di Forza Italia orfana di Totò Cuffaro. A fare conseguire quel risultato a Lombardo contribuì anche la sinistra che non fu capace di condurre una buona campagna elettorale. Lombardo stesso riconobbe che Forza Italia aveva fatto la parte più importante nell’acquisizione del consenso e la paragonava a un’idrovora che catturava voti. Il partito di Berlusconi era una forza politica nazionale, mentre Lombardo apparteneva al partito cattolico moderato di Casini che raccoglieva un forte consenso in Sicilia. Pertanto si propose all’interno delle alleanze berlusconiane come il contraltare alla Lega, una specie di Lega siciliana. La politica autonomista in questo c’entrava poco e il regionalismo non non ha avuto nulla a che vedere con la vittoria del centrodestra nel 2008».


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