Il clan mafioso di Paternò, che sarebbe stato guidato da Salvatore Assinnata, faceva cassa con lo spaccio di droga. Nelle pagine dell'ordinanza The end a puntare il dito sono due collaboratori di giustizia che citano anche Domenico junior, il giovane protagonista dell'annaccata delle candelore per la festa di Santa Barbara
Assinnata: cocaina, sniffate e crediti da recuperare L’intercettazione: «Dumani ama arricogghiri soddi»
Sopra tutti ci sarebbe stato il «patrozzo»: Salvatore Turi Assinnata. Sotto, un gruppo di giovani rampanti divisi tra estorsioni, droga da spacciare e soldi da recuperare, spesso con difficoltà. Nelle pagine dell’ordinanza dell’operazione The end, notificata a 14 persone alcune delle quali già detenute, emergono numerosi aneddoti della mafia a Paternò. Grosso centro a pochi chilometri da Catania, da sempre snodo nevralgico per gli affari di Cosa nostra con tre clan che ormai da un decennio si spartiscono la zona. Da un lato gli Assinnata, dall’altro i Morabito e i Rapisarda.
A risultare decisivi per chiudere il cerchio dell’indagine sono stati due collaboratori di giustizia. Si tratta di Filippo Santo Pappalardo e Francesco
Musmarra. Il primo appartenente in passato proprio al gruppo degli
Assinnata, vicino ai Santapaola di Catania, mentre il secondo riconducibile alla famiglia
Morabito-Rapisarda alleata con il clan dei Laudani. Scorrendo le pagine dell’ordinanza uno dei giri di boa fondamentali che porta i carabinieri sulle tracce dei presunti affiliati arrestati la scorsa settimana è il sequestro di mezzo chilo di cocaina purissima. Nel 2012 i militari trovano la polvere bianca a Giovanni Messina, considerato un uomo di fiducia di Turi Assinata, figlio dell’anziano capobastione Domenico.
«La droga veniva acquistata con i soldi del clan, confluivano nella cassa comune e poi Salvatore Assinnata si occupava della divisione degli stipendi», spiega Pappalardo in un verbale. Nella lista finiscono non solo le quote mensili ma anche singole dosi che gli spacciatori «avevano il diritto di trattenere per venderle in proprio». Musmarra svela anche alcune dinamiche interne degli Assinnata. Il presunto reggente, almeno dal 2013, sarebbe stato Luca Vespucci. Un militante che viene definito «storico» che sarebbe andato a parlare direttamente con Musmarra per chiarire la sua posizione: «Dovevamo parlare con lui mi disse, e non con il giovane Domenico Assinnata, perché il nonno Mimmo non voleva che si mettesse in mezzo».
Il giovane da tenere alla larga sarebbe lo stesso protagonista dell’inchino della candelora durante la festa religiosa di Santa Barbara. «Prima della scarcerazione di Vespucci – prosegue il pentito Musmarra – era Domenico junior che parlava come capo». Nonostante il nome di quest’ultimo non compaia tra i destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare, le citazioni nelle pagine degli atti si susseguono. A parlare è sempre Musmarra: «Il principale spacciatore degli Assinnata è Ciro Beato, tutti i proventi nell’ultimo anno andavano a Domenico Assinnata […] nell’ultimo periodo so che stava spacciando solo Mimmo Assinnata junior nella sua casa nel quartiere Ardizzone».
Ciro Beato, anch’egli finito agli arresti, è un presunto affiliato con la passione per la cocaina. La polvere bianca, secondo Musmarra, veniva spacciata «nel bar Palumbo» e successivamente «vicino al bar Aiosa». Gli affari ultimamente però non sarebbero andati a gonfie vele con debiti accumulati e creditori da soddisfare ed è per questo motivo che il clan avrebbe tolto a Beato «tre scooter tra i quali un Sh300 e un Liberty 150», racconta sempre il pentito. Il vero snodo nevralgico dello spaccio nel Comune etneo sarebbe stata piazza Purgatorio, nel cuore del centro storico paternese. Il clan aveva un’organizzazione precisa con ruoli ben delineati. La droga veniva custodita all’interno di due abitazioni da dove ogni giorno veniva trasferita per la vendita al dettaglio. Troppi clienti però avrebbero pagato soltanto dopo la consumazione, scatenando l’insofferenza di uno dei presunti spacciatori che tra una sniffata e alcune imprecazioni diceva: «Dumani ama arricogghiti soddi, picchì si m’avissi a chiamari chiddu a mia mi unchia a minchia».