L’inchiesta che vede come protagonisti alcuni dipendenti della Asp di Catania e, tra questi, Angelo Lombardo, il fratello dell’ex presidente della Regione Siciliana, parla di malcostume. Un comportamento che però, secondo il pubblico ministero Fabio Regolo, avrebbe determinato dei veri e propri reati contro il patrimonio, in questo caso, a danno dell’Azienda sanitaria provinciale. Che in seguito si è anche costituita parte civile nel procedimento. I cosiddetti furbetti del cartellino sarebbero 19, tra dirigenti medici, veterinari, tecnici di laboratorio e assistenti amministrativi, finiti sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti dopo la denuncia sporta nel 2015 dal direttore del distretto sanitario di Gravina, Carmelo Di Stefano. Proprio lui, insieme ai controlli effettuati dalle telecamere del Nas dei carabinieri, avrebbe contribuito a raccogliere il materiale utile a far scattare la richiesta di rinvio a giudizio.
Secondo quanto è possibile leggere all’interno della richiesta di applicazione di misure cautelari, firmata dal pm ma non accolta in seguito dal gip, in base alle registrazioni video i lavoratori «si mettevano d’accordo tra loro affinché uno timbrasse il badge magnetico degli altri, consentendo a quest’ultimo il presunto comportamento di arrivare in ritardo, andare via in anticipo, o uscire per dedicarsi a faccende personali, fino ad allontanarsi a bordo dei rispettivi mezzi o a piedi». Anche l’indagato eccellente Angelo Lombardo, a quanto risulterebbe dalle rilevazioni, avrebbe utilizzato «raggiri e artifici» per mettere in moto lo stesso meccanismo, grazie all’aiuto di una collega. Quest’ultima avrebbe marcato per Lombardo diverse volte, accumulando un totale di cinque ore e 42 minuti che sarebbero costati all’Asp 70,77 euro «non dovuti», aggiunge il sostituto Regolo.
In tutte le tre sedi controllate – quella di Gravina, Tremestieri Etneo e di Sant’Agata Li Battiati – gli uomini dell’Arma hanno posizionato alcune microcamere interne, poste sopra l’orologio marcatore, e alcuni apparecchi di rilevazione esterni per cogliere i movimenti dei dipendenti. In questo modo, attraverso il riscontro degli orari lavorativi e delle immagini, veniva abbinato il nominativo di ciascun lavoratore ogni qualvolta strisciava il proprio badge o vidimava il cartellino, riconoscendo le caratteristiche somatiche di ognuno. «Successivamente – continuano i magistrati – venivano individuati i mezzi e, attraverso i numeri di targa, si procedeva alla loro identificazione». Nella formulazione delle cosiddette esigenze cautelari, il magistrato inquirente fa infine riferimento alle condotte «fraudolentemente assenteiste» degli indagati. «La cui gravità – si legge nel documento – si coglie nell’immediatezza, a prescindere dal mero riferimento al danno economico». Che, nelle parole del sostituto Fabio Regolo, sarebbe poca cosa rispetto alla delicatezza degli interessi in gioco, «come la tutela della salute dei cittadini e il buon andamento del servizio pubblico».
Ma il magistrato fa inoltre riferimento all’«allarme sociale» dei fatti, a suo avviso, significativo proprio per la riuscita manomissione delle apparecchiature di rilevazione degli orari, effettuata da alcuni lavoratori, «dimostrando una particolare propensione al crimine e una certa pericolosità». Da parte sua, Giuseppe Giammanco, direttore generale dell’Asp 3 di Catania, ha fatto sapere di aver optato per la costituzione a parte civile «dopo avere attivato i provvedimenti disciplinari per ciascuna delle posizioni contestate, così come previsto dalla vigente normativa e nel rispetto dei regolamenti aziendali», dichiara a MeridioNews.
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